Un manuale più serio di quanto non sembri

16 Settembre 2007

Cristina Lavinio

Breviario per i lettori borderline è il sottotitolo di Tutti i puntini sulle i, l’ultimo piccolo libro di Salvatore Pinna (CUEC 2007) che, con il suo solito stile comico-umoristico, aforistico ma anche narrativo, in una mescidanza di generi brevi differenti, ci svela i misteri e le leggi della scrittura narrativa in modo più serio di quanto non appaia.
I lettori borderline sono i lettori che, a furia di leggere e quanto più leggono, sono a rischio di precipitare nella scrittura, di proporsi come scrittori loro stessi. Anche se c’è sempre qualcuno che li scoraggia deplorando che ci siano più scrittori che lettori. Ma non bisogna battere ciglio e, invece, sedere pazientemente sulla riva del fiume: prima o poi passerà un manoscritto di chi ha cercato di scoraggiare lo scrittore in erba. Che poi, quando si mette a scrivere, è sempre in erba, anche se di età avanzata: è uno scrittore giovane, che corre tutti i rischi dell’insuccesso, creato del resto da lui stesso (p. 8: “Creatore di disgusto”), anche se può raggiungere un record alla portata di tutti: “essere primo nella speciale classifica dei libri meno prenotati” (p.9).
E così, di frammento in frammento (e ogni frammento è munito di relativo titoletto) questo “breviario” procede con grande precisione e serietà, mettendo, come dice il titolo, “tutti i puntini sulle i”. E anche i trattini (p. 11). Con serietà, dicevo, al di là di una comicità fondata su giochi linguistici e su riprese di luoghi comuni svelati come tali da un loro improvviso rovesciamento o slittamento di senso. Ed è un “comico cosmico” (anche questo passaggio è documentato), che finisce per toccare, con grande sapienza, tutte le tematiche narratologiche, su cui i teorici della letteratura hanno scritto fiumi di pagine e libri corposi. Questo magro libretto, invece, gioca ad ‘essiccare’, a ‘levare’, in un laborioso itinerario che fa bene non solo alla letteratura, come diceva paradossalmente Balzac (citato per aver scritto a Flaubert: “Scusa se ti scrivo una lettera lunga, ma ho poco tempo”). Ma il prosciugare e scorciare, prendendosi tutto il tempo necessario, fa bene – ripeto – anche a un manuale come questo, che pure dichiara l’inutilità dei manuali di scrittura creativa. Eppure ha ragione Salvatore Pinna, che, prima ancora che lo leggessi, me ne diceva: “E’ un vero e proprio manuale: c’è un indice, ci sono i capitoli intitolati, c’è un ordine non casuale”; ci sono gli esempi, aggiungo, costituiti da altrettanto ironici racconti sparsi qua e là, e da un lungo e ‘centrale’ racconto a puntate: una riscrittura ampliata e aggiornata della leggenda della Sella del diavolo. Lo si può definire racconto a puntate perché si interrompe per ben tre volte, per continuare pagine dopo, accuratamente indicate; mentre nelle pagine intercalate hanno ripreso a svilupparsi raccomandazioni metanarrative che poi si interrompono nuovamente, lasciando spazio alla prosecuzione della leggenda, vista con gli occhi di Gesualdo e Bartolina, che, infrascati sulla Sella (come tante altre coppiette), assistono a uno spettacolo grandioso…
Dicevo di un comico ‘cosmico’: da questo prontuario e dalle raccomandazioni che, scrupolosamente, percorrono ed evocano tutti gli ingredienti utili per fare un buon romanzo, si ricavano anche una visione del mondo, una teoria dell’arte, del cinema e della letteratura (e dei loro rapporti), un gusto letterario e un impegno culturale di un autore che è qui e ora, nel mondo e, insieme, nella Sardegna di oggi, con le sue temperie politiche e culturali, le sue eterne vocazioni o manie identitarie, le sue ufficiali passioni per la limba comuna e i suoi sotterranei mugugni, la sua grande stagione artistica e letteraria, con numerosi scrittori che collezionano premi, i suoi giornalistici miti vecchi e nuovi, da Gialeto ad Atlantide, ecc. ecc. Ma sempre guardando anche all’insieme e non dimenticando le relazioni e le proporzioni rispetto al resto del mondo e della letteratura, presenti e passate, procede il discorso di questo libro, che si potrebbe definire dunque come glocale (con un termine che Salvatore Pinna non usa, ma nato anch’esso da un gioco linguistico, tra locale e globale).
Non restano che fare esempi su quanto ho affermato, ricordando che, è vero, questo libro può essere letto e gustato anche ad apertura casuale di pagina, leggendo qua e là e però prendendosi anche tutto il tempo necessario per riflettere su enunciati e brani apparentemente autonomi e ‘fulminanti’: anche il lettore borderline, come lo scrittore che ha ‘essicato’ i suoi dettami in nome di una brevitas superconcentrata (e che ha impiegato del tempo per prosciugare il suo discorso), deve prendersi del tempo per capire. Del resto, con le sue formulazioni paradossali e i suoi giochi linguistici e non, questo libro induce a ragionare, se è vero che “tutto ciò che è imprevedibile ti fa ragionare” e che “La conoscenza nasce dalla sorpresa”, come leggiamo in sentenze che escono dalla bocca di due personaggi (p. 68).
Insomma, è vero che il libro, date le sue dimensioni, si legge in fretta, ma non gli si rende giustizia leggendolo troppo in fretta. Né procedendo per salti, perché, ripeto, anche la ‘struttura’ vuole la sua parte. Come nei libri che si rispettino. Perciò, anche sulla scorta dell’indice, vediamo come dai princìpi (di buona scrittura, relativa soprattutto alla scelta dei temi e degli ingredienti narrativi: per esempio, quanta Sardegna, quanti temi sociali riversare sulle pagine ecc.), si passi alla centralità dei personaggi e al loro rapporto con l’autore e con il mondo, al contesto – o agli ambienti- in cui il racconto li fa muovere. Tutte cose da decidere/scegliere, prima di scrivere, per poi passare alla stesura/composizione del racconto, con tanto di incipit, di plot o di sequenza di eventi che scompigliano la situazione iniziale, di finale. E qui, sulla fine, Salvatore Pinna sembra mettere un grande punto interrogativo, ribadito dall’ironico “illieto fine” del suo stesso manuale: illieto fine è il titolo di una pagina che è solo dichiarata “in via di allestimento”. Il fatto è che “I grandi libri hanno questo di buono, che non finiscono mai”: opzione forte per il cosiddetto nonfinito, tanto che bisognerebbe aggiungere l’incompiuto agli altri generi letterari (p. 43): un incompiuto che ha i suoi massimi rappresentanti in Sterne, Musil, Gadda… (e, dalle nostre parti, nell’Angioni de La casa della palma, se non altro per la circolarità dell’epigrafe eliotiana con cui si apre: “la fine di tutto il nostro esplorare sarà arrivare al punto da cui siamo partiti e conoscere il luogo per la prima volta”, p. 49). Ma segue, nel breviario, una ritrattazione palinodica di quanto appena affermato, con il raccontino della zanzara innamorata.
Il fatto è che le trame nascono dal desiderio, sembra dire Pinna nel procedere dei suoi esempi paradossali su trame possibili. E sono trame persino per (e di) Reality show: come quella, gustosissima, dell’”isola dei moribondi”: “malati di perduta notorietà e di certificata terminalità” che si fanno i dispetti e si nascondono a vicenda siringhe, flebo e bombole di ossigeno, di fronte a un pubblico che vota da casa chi deve mollare la flebo… Emerge chiaramente, in queste pagine dove si parla di eroi “ubiqui” e “luogorroici”, il problema del rapporto tra finzione e realtà, con una realtà in genere stupida, nella sua banale quotidianità, che l’arte (sia essa la pittura, il cinema o la letteratura) ricrea e rende invece ‘godibile’: un problema, che è sempre “nell’aria, e le pozzanghere per terra” (riprendo qui il gioco di p. 63, per esemplificare / ricordare così l’andamento di questo “breviario”, dato che altrimenti il mio parlarne rischia di farlo dimenticare).
Né si deve dimenticare la pregnanza della dichiarazione di poetica messa in bocca, a conclusione del racconto sulla Sella del diavolo, a Bartolina (la ragazza è diventata sapiente, pensa e dice parole preziose, usa le parole “come gioielli”, quasi per un dono improvviso dell’Anzipirri – il nome del diavolo di cambosiana memoria). Dice Bartolina: “La bellezza è superflua, ma senza di lei non ci saremmo, è un superfluo necessario”: al di là della bellezza che eccita, e quindi determina gli appetiti e atti sessuali da cui tutti deriviamo, chi legge è autorizzato a estendere tale sentenza alle bellezze artistiche e dunque all’arte in generale: di cui in tanti hanno detto e sono/siamo convinti che serve proprio per la sua apparente inutilità, per il suo essere superflua.
Dalle trame, si passa poi a un “si trama in Sardegna”, dato che “i temi sardi tirano” (p.74) e “un approccio identitario non guasta”. Oppure si può “sfrucugliare nel terreno del deleddismo e del suo epigonato falso ottocento” (p. 74), magari utilizzando personaggi (sardi) scelti “tra i nomi di rilievo storico” o “per qualche strana attitudine”. Per esempio Bustianu Satta, Efisio Marini, Sigismondo Arquer: persino superfluo fare i nomi degli autori così evocati: rispettivamente Marcello Fois, Giorgio Todde e Giulio Angioni… Ma è riconoscibile anche, in queste pagine, Michela Agus (p. 97, con il suo “libro autoerotico”), mentre Salvatore Niffoi è più volte esplicitamente citato, magari come uno che si deve ancora riprendere dall’esperienza del Campiello. Tanto più che lì c’erano la leggiudria, proprio così, alla sarda, di Ornella Vanoni o la “figura” (per non dire figuro?) di Bruno Vespa. Oppure (sempre Niffoi) è citato come uno a cui i personaggi salvati da Tiria “gridano incazzati: impiccati agli affari tuoi!” (p. 99). Sempre più espliciti sono dunque i temi ‘sardi’ che, pure, sin dall’inizio sono stati abbondantemente disseminati, in questi aforismi da polemista e da critico militante nascosto tra le righe di un’ironica comicità: del resto i critici militanti palesi sembrano non esistere più… E siamo alla “cosmica finale” (p. 99), con un gustosissimo “Sesso sardonico in limba comune”, dove due attori dai nomi ‘sardissimi’ di Deborah e Andrew – che, nella realtà, parlano con vari occappa o occhei – sono sul set, pagati per la produzione di un multimediale in sardo. E sono impegnati nel fare sesso “accompagnando l’atto con molte parole”. Ma dai loro dialoghi emergono continuamente “parole non omologate”, rigettate da un identitario regista oltranzista che ha come consulente un “professore” e che, incurante di poter apparire irriverente nell’accostamento, sostiene: “Se si fanno gli atti pubblici amministrativi in limba non vedo perché si debbano espletare le pratiche sessuali in italiano”…
Con questo mio “illieto fine”, chiudo qui anch’io, raccomandando di leggere per intero questo libretto, di questo ‘giovane’ scrittore sardo che, giustamente preoccupato del suo “insuccesso”, è andato conquistandosi un posto originale e di tutto rispetto nel panorama letterario e scrittorio nostrano.

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