Un presidente in guerra

1 Maggio 2011

Danilo Zolo

Ho recentemente sostenuto che la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, relativa alla guerra civile in Libia, è priva di fondamento sul piano del diritto internazionale. La Carta stessa delle Nazioni Unite, all’articolo 2, esclude che qualsiasi Stato membro possa «intervenire in questioni di competenza interna di un altro Stato». Ed è ovvio che questa norma vieta a maggior ragione che possa essere usata la forza per intervenire all’interno di una guerra civile in corso.
Ciò è tanto più evidente se si tratta di una guerra civile di ridotte proporzioni, come è il caso della Libia. In casi come questo la pace internazionale non è in pericolo e questo esclude la competenza del Consiglio di sicurezza ad attribuire a qualsiasi Stato membro il diritto di usare la forza. Insisto su questo argomento per una ragione di notevole rilievo: l’intervento militare contro la Libia, voluto dagli Stati Uniti e condiviso da alcuni paesi europei, è stato improvvisamente passato alla competenza della Nato.
Nulla può essere giuridicamente più discutibile visto che la Nato è un’organizzazione militare nordatlantica che non può usare la forza al servizio delle Nazioni Unite senza un’esplicita decisione del Consiglio di sicurezza. Non si dovrebbe dimenticare che la Carta delle Nazioni Unite, nel suo capitolo VII, attribuisce ai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza – Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Russia, Cina – il compito di dar vita a un Comitato di Stato Maggiore alle sue dipendenze e responsabile della direzione strategica di tutte le forze armate messe a sua disposizione. La Nato dunque non ha la minima competenza.
Tutto questo potrebbe sembrare ovvio, ma non lo è se si tiene presente che il Presidente della Repubblica italiana, capo delle Forze Armate, Giorgio Napolitano, si è schierato apertis verbis a favore dell’intervento militare della Nato contro la Libia di Gheddafi. Egli sostiene che è «inutile ripetere cose che tutti dovrebbero sapere: la Carta delle Nazioni Unite prevede un capitolo, il VII, il quale, nell’interesse della pace ritiene che siano da autorizzare anche azioni con le forze armate volte a reprimere le violazioni della pace». In realtà, sarebbe utile ripetere al Presidente della Repubblica che: la risoluzione 1973 in quanto tale non attribuisce a nessuno Stato e a nessuna organizzazione militare il compito di “fare guerra” contro la Libia.
Il solo compito – comunque illegalmente attribuito – è di imporre il No-Fly Zone, ciò che non comporta minimamente il bombardamento di città, di paesi, di rifugi sotterranei etc., e l’uccisione di persone indifese. Ma la vicenda non finisce qui. Ieri abbiamo appreso che il Presidente della Repubblica si è apertamente schierato a favore del governo italiano e in particolare del suo leader Berlusconi. Egli ne ha approvato la recente decisione di assecondare la volontà degli Stati Uniti: si tratta di convertire il No-Fly Zone in una vera e propria guerra di aggressione, molto probabilmente in vista di una occupazione non disinteressata della preziosa terra Libica. Giorgio Napolitano ha approvato la decisione presa dal governo italiano di iniziare bombardamenti aerei con i propri Tornado e i propri missili anti-radar. Ha spiegato che «l’ulteriore impegno dell’Italia in Libia» non è che «il naturale sviluppo» della scelta compiuta dall’Italia a metà marzo sulla base della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza.
Una scelta, aggiunge il Presidente, «confortata da un ampio consenso del Parlamento italiano». Usando la formula «naturale sviluppo» Napolitano sembra non considerare non solo la Carta delle Nazioni Unite, ma anche la Costituzione italiana. Egli ignora e contraddice anzitutto la celebre formula dell’art. 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
E contraddice l’art. 52 che legittima l’uso della forza soltanto in «difesa della patria». Ignora che l’art. 78 stabilisce che nel caso dello scoppio di una guerra le Camere devono formalmente deliberare «lo stato di guerra» e attribuire al Governo i poteri necessari. E ignora, infine, che l’art. 87 prescrive che sia il Presidente della Repubblica a dichiarare formalmente lo stato di guerra deliberato dalla Camere.
Si può dire che il Presidente della Repubblica sembra ignorare la tragedia della guerra e non preoccuparsi della vita di centinaia, forse migliaia, di persone innocenti. Da tempo si sostiene che l’attuale presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, se ne infischia della Costituzione italiana e si propone di manipolarla a suo uso e consumo assecondando, anche in questo ambito, la sua ambizione di dandy della politica italiana e di prossimo presidente della Repubblica.
C’è da augurarsi che Giorgio Napolitano non assecondi anche questo «naturale sviluppo».

1 Commento a “Un presidente in guerra”

  1. Francesco Mattana scrive:

    Confermo la mia opinione già espressa in privato. Ottimo articolo, solo che non mi sembra del tutto obiettivo definire Napolitano un ‘uomo che ignora la tragedia della guerra’

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