In nome dello sviluppo

1 Maggio 2011

Pier Luigi Carta

Referendum pilotati e dribbling di alta classe per raggiungere il goal della delegittimazione popolare. Si urla alla partitocrazia e si teme che il referendum si concluda con un fallimento, ammantato di vittoria. Questa è la trama che si svolge sullo sfondo di un’Italia disonesta, pavida e scaltra, con una politica che si rifiuta di affrontare il proprio popolo. Un popolo sovrano che vede quotidianamente le proprie prerogative poste sotto attacco.
Non è solo un discorso di energia, di ambiente o di sovranità, è un discorso – forse ha veramente ragione il premier – antropologico, in quanto due tipi umani popolano questa piegata nazione: gli onesti e i delinquenti, gli onesti ed i vigliacchi, gli onesti e i timorosi.
Mentre il 4 aprile l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili ha tenuto la sua prima assemblea generale, nell’Italia oscurantista si levano gli scudi a favore del nucleare. Mentre Spagna, Svezia, Germania e Francia cercano di sganciarsi dal cappio delle energie fossili, nella pavida Italia si dibatte sui vantaggi del nucleare; mentre nel cuore di Tokyo si allarga un perimetro deserto di 20 Kmq, nell’infantile Italia studiosi come Veronesi, Battaglia e Margherita Hack limano le armi degli imprenditori d’assalto.
La comunità finanziaria opta per le rinnovabili. Mossa inevitabile, in quanto la campagna pro-nuke ha reso nota all’opinione pubblica il disastro di routine provocato dai combustibili fossili. Dopo Fukushima quindi cosa resta? Eolico, fotovoltaico, moto ondoso, geotermia, etc. ma in Italia le cose non sono così lineari e il governo non si nasconde quando con una mano decide di abrogare la moratoria riguardo al nucleare, facendo gridare alla vittoria Bersani ed i suoi compari, e con l’altra porta un’attacco ai diritti politici dei cittadini, questa volta nelle vesti di un’azione referendaria.
Oggi il trio petrolio-carbone-gas costituisce l’87% dell’offerta mondiale di energia e, entro il 2035, sempre secondo l’Agenzia internazionale, le energie fossili dovranno scendere a quota 78%, spingendo le rinnovabili al 14% del totale. Il primo ostacolo all’uso delle energie rinnovabili è il prezzo dell’elettricità che producono. Per ridurlo si avverte come indispensabile il sostegno degli stati, e quello italiano decide di ridurre drasticamente gli incentivi alle rinnovabili, rischiando di forare un serbatoio da 150.000 posti di lavoro, che ha il pregio di rappresentare uno dei pochi fermenti innovativi della nazione, composto da una moltitudine di piccole imprese, spesso individuali, capillarmente distribuite sul territorio – anche nelle aree più depresse del Paese.
Questi numeri non sembrano interessare chi si ostina ad invocare il nucleare, spesso in nome dello sviluppo. Il concetto di sviluppo in bocca loro non è astratto, bensì terribilmente concreto, in ragione di un’immediata soddisfazione dell’interesse economico – ovviamente del loro – e poiché lo sviluppo, in Italia, viene concepito solo come questo sviluppo, ad averla solitamente vinta sono, nella fattispecie, gli industriali che producono beni superflui e in maniera dannosa.
Ed è un Berlusconi, con il suo atteggiamento di chi cavalchi il destino manifesto verso la luce dello sviluppo senza limiti (né lacci o obblighi) contro l’oscurantismo dell’ecologismo di sinistra, a reggere la fiaccola della speranza nucleare. Seguito da quei consumatori di beni superflui, oltreché dannosi, che, da parte loro, sono irrazionalmente e inconsapevolmente d’accordo nel volere lo sviluppo, questo sviluppo. Per essi tale mito significa ancora promozione sociale, liberazione, con conseguente abiura dei valori culturali che hanno fornito loro gli strumenti per cercare, trovare e pretendere una soluzione migliore. Ma quale soluzione migliore si può trovare in un Paese dove le morti sul lavoro non fanno più notizia e solo nei primi mesi del 2011 sono già aumentato del 30% rispetto all’anno scorso?
Viene poi spontaneo domandarsi cosa potrebbe accadere in trent’anni di costruzione delle centrali, possibilmente appaltate a società a capitali mafiosi e/o camorristi. Berlusconi e la sua cerchia  son pronti a gettare al paese un lascito di potenziali calamità che penderà sulla testa dei cittadini per decenni. Il referendum di giugno sarà un altro banco di prova per misurare lo stato di salute della nostra democrazia. Un test cominciato male già in principio, quando il disaccorpamento del referendum dalle elezioni amministrative è stato convalidato per un solo voto, quando dieci parlamentari del Pd e due dell’Italia dei Valori, si sono assentati. Una manovra costata alla nazione circa 300 mln di €.
Nonostante la campagna mediatica il referendum è ancora in vigore e si andrà a votare per tutte  e quattro le voci, almeno fino a quando non verrà approvato il decreto omnibus (Ddl 2665), col quale si intende abrogare tutte le disposizioni in materia di nucleare. La campagna referendaria quindi continua  e si pensa di andare comunque a votare il giorno stabilito, per cercare di riportare nelle piazze quella forma di democrazia che tanto dimostrano di temere i nostri eletti, e per togliersi la soddisfazione di capire come la pensa il popolo italiano su soggetti come la privatizzazione del servizio idrico ed il legittimo impedimento.

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