Un romanzo per Candida Mara

12 Luglio 2023

[Bastiana Madau]

Da oltre cent’anni un fitto mistero avvolge la figura di Candida Mara, nata nel 1877 a Nulvi, leggendaria cantadora della musica tradizionale sarda, operativa negli anni Dieci e Venti del Novecento e nota in Gallura anche grazie ai cavalli della sua scuderia, campioni nelle corse dell’epoca.

Negli anni successivi alla sua morte, avvenuta nel 1927, le notizie su di lei si limitano a poche informazioni, rendendo difficoltosa la ricerca delle sue tracce. A ciò ha senz’altro influito la damnatio memoriae, ossia quella pena non scritta consistente nella cancellazione di qualsiasi ricordo riguardante la persona, come se essa non fosse mai esistita. Perché?

Nel caso di Candida proprio per l’assenza di accettazione della sua personalità fuori dagli schemi: un’artista emergente, prima donna in grado di sfidare sul palco i cantadores a chiterra, dotata una voce travolgente e dolente, carica di acume e passione, mai pacificata, costretta, anzi, a essere agguerrita anche in rima per parare le volgari aggressioni verbali dei cantadores, che durante le gare indicavano la sua femminilità toccando banalmente registri di subalternità. Candida Mara doveva sempre difendersi: sul palco, durante le gare equestri, nella vita quotidiana che la conduceva di paese in paese, sino al punto – dice la leggenda – da dover circolare armata di una pistola, nascosta sotto le pieghe delle ampie gonne scure.

La damnatio memoriae, peraltro, è il destino che accomuna la donna di Nulvi ad altre artiste sarde (e non solo): penso soprattutto alle poetesse, che – in una terra ricca di poesia come quella sarda, in cui i primi componimenti sono fatti risalire almeno sino al 1300 – sembrano non essere mai esistite sino agli anni ’50 del Novecento (richiamando le ricerche di Pedra Tzilla, ne scrivo nel mio Maestre dell’università sconosciuta [Soter, 2023]).

Dimenticata, cancellata. Eppure, l’intera vita di Candida Mara è stata scandita da un canto stupefacente, nonché da vicende avventurose, malinconiche e romantiche, tanto che le pochissime notizie accorse sino a noi stimolano la curiosità.

A infatuarsi della cantadora in modo del tutto speciale è Vanni Lai – classe 1983, due volte finalista al Premio Italo Calvino, autore di racconti pubblicati su varie riviste –, tanto da volerne ricercare, ricomporre e scriverne la storia. Come Stéphane, il giovane parigino del film “Gadjo Dilo”, capolavoro di Tony Gatlif, che si reca in Romania alla ricerca della misteriosa cantante rom Nora Luca, così Lai è a lungo sommerso dal fascino della sua antenata di Nulvi.

Per ricostruirne l’inedita apparizione sulle scene cavalcate esclusivamente da cantadores di sesso maschile, per apprenderne e comprenderne le avventurose vicissitudini e per provare a togliere il velo dalla sua improvvisa scomparsa nel nulla, lo scrittore sardo avvia una ricerca maniacale di fonti scritte e orali, supportato dalla giovane Aleni: visita i luoghi abitati o frequentati da Candida Mara, ascolta le testimonianze delle poche persone sopravvissute che la hanno conosciuta (in particolare a Nulvi e nel rione sassarese di Rizzeddu), consulta archivi e biblioteche, interpreta i pochi dati a sua disposizione e, soprattutto, immagina. È così che nasce il godibile romanzo intitolato La Cantadora, dato recentemente alle stampe dall’editore romano minimum fax.

Forte lettore, dotato di ironia e raffinata autoironia, Vanni Lai colloca accanto a quello di Jim Hawkins – protagonista e voce narrante del capolavoro di Stevenson L’isola del tesoro – il suo fantasticare intorno alla figura della cantadora; “ma con una differenza”, scrive: “Mentre Jim temeva l’arrivo del marinaio con una gamba sola, io aspettavo la vedova con la pistola che viaggiava di festa in festa e sfidava gli uomini con il canto”. Ed è nel suo fantasticare, ossia nella costruzione della finzione romanzesca, che Lai adotta un triplo sguardo: il primo, esterno alla sua eroina, interpreta il mondo maschile che la circonda, tendente a sessualizzare in ogni circostanza la protagonista della storia: «Quando prendeva la scena – e quando si faceva da parte – i cantadores sentivano le vibrazioni del pubblico, come se qualcosa di folle ed erotico si fosse impadronito degli spettatori»); il secondo, concentrato sull’aspetto artistico, puntella il romanzo di osservazioni riguardanti la musica che accompagna il canto di Candida Mara e le doti interpretative che lo identificano con l’urlo di un intero popolo, echeggiante nelle piazze, richiamante «la natura sanguigna dell’isola», come se «arrivasse da valli lontane o picchi boscosi, come una cascata o il tuono che scuote la campagna nei pomeriggi d’estate». Scrive Lai, descrivendo l’apparizione della cantante sul palco: «Il temporale era arrivato, e aveva sembianze femminili», e, in epilogo al romanzo, riporta alcuni testi poetici dedicati alla cantadora, tra cui ve ne è uno particolarmente significativo, datato 1923, del poeta Antonio Sforza, che identifica la voce di Candida Mara con quella delle donne di Sardegna: «O voi, donne di Sennori e di Oliena,/ o donne di Barbagia e di Gallura,/ o Madri sarde, cui non fu mai dura/ l’offerta ardente della vostra pena, // Elena Pani, splendida di Thiesi/ Madre feconda d’infinito amore, v’è chi raccogli i palpiti protesi, v’è chi innalza nel canto il vostro cuore! »… Infine, il terzo sguardo, che dota Candida di vita propria, proprie morale e parola, così da far emergere la personalità di una donna che desidera vivere nell’autenticità dei sentimenti ed è per questo disposta a sfidare in ogni suo ambito la società patriarcale.

La Cantadora di Vanni Lai richiama altresì alla memoria di chi scrive un’opera dedicata a un’altra straordinaria cantante del secolo scorso; si tratta del romanzo Ti ho amata per la tua voce dello scrittore libanese Sélim Nassib (e/o), che racconta la storia di Umm Kalthum (1898 – 1975) attraverso le parole di Ahmad Rami, il poeta che con i suoi testi contribuì ad accrescere la fama della grande cantante egiziana, arrivata integra sino ai nostri giorni dopo avere dominato la scena musicale dell’intero mondo arabo dagli anni Trenta sino alla sua morte. Nassib racconta appunto di una donna che, grazie alla sua determinazione e lungimiranza (da piccola era costretta a esibirsi travestita da maschietto, conditio sine qua non), seppe ottenere in ogni ambito il massimo rispetto e il pieno riconoscimento. Un destino certo diverso da quello riservato all’artista Candida Mara, che pagò con la cancellazione del suo passaggio sulla terra l’intelligenza, l’estro, l’anelito alla libertà.

Grazie a Lai, dunque, che con il suo romanzo le restituisce poeticamente dimora.

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