Una giornata per la terra

1 Maggio 2013
Cristina Ibba
Dal 1970 il 22 aprile si festeggia la Giornata mondiale della Terra, per sensibilizzare la società civile sulla necessità di conservare le risorse naturali del pianeta, che questa società sta rapinando. Anche quest’anno mezzo miliardo di persone in più di 192 paesi del mondo hanno celebrato con azioni di resistenza questa giornata mondiale. Sono piccole e grandi azioni di resistenza a quel modello sociale ed economico secondo il quale maggiore produzione, maggior consumo, maggiore ricchezza significano maggiore sviluppo e maggiore felicità.
Viviamo in un periodo di crisi economica, crisi ecologica, crisi dello spirito umano. Gli squali della finanza non vogliono perdere i loro profitti e gravano su pensionati e lavoratori. Il capitalismo porta con sé forze di distruzione troppo grandi che non potrà risolvere.
Perciò resistenza è un modo di vita, è una posizione esistenziale alternativa.
La resistenza al capitalismo e al neoliberismo, così come la resistenza alla tristezza della nostra società, non è una resistenza passiva. Anzi resistenza in questo caso è creazione, è libertà, contro l’oppressione, la distruzione delle nostre vite e del nostro pianeta.
Resistere alla tristezza, non solo quella delle lacrime, ma soprattutto quella dell’impotenza.
Il tiranno ha bisogno della tristezza perché ognuno di noi si senta solo nel suo piccolo mondo virtuale e inquietante.
Queste persone si contrappongono con la creazione di legami concreti di solidarietà, con la creazione di nuove forme sociali.
Resistere è anche molteplicità perché in questo mondo capitalistico tutto è ridotto a merce, quindi oppongono la molteplicità delle loro esistenze, della dimensione del desiderio, della fantasia della creazione.
La creazione di un’esistenza diversa passa soprattutto attraverso la creazione di modi di vita alternativi, di modalità di desiderio differenti.
Se si desidera quello che possiede il padrone o di essere il padrone si resta nella condizione di schiavi. Le vie della libertà sono incompatibili col desiderio del padrone. Desiderare il potere del padrone è l’opposto del desiderio di libertà.
E’ palese a tutti che questo modello di sviluppo è insostenibile: abbiamo milioni di disoccupati, manca completamente la giustizia sociale, ma anche quella ambientale. La terra è malata e in pochi decenni abbiamo distrutto antichissimi equilibri vegetali e biologici. Attraverso l’agricoltura industriale e l’uso di concimi chimici, abbiamo fatto entrare nella catena alimentare delle sostanze fortemente cancerogene che provocano tumori e malformazioni.
Resistere a questo modello di sviluppo significa trovare un’altra via per superare l’idea che il mercato sia l’unico modo per organizzare la società, l’unico modo per guardare il mondo, l’unico criterio per decidere cosa è buono e giusto e cosa non lo è.
Anche nella nostra vita quotidiana significa togliere i soldi dalle banche che finanziano il nucleare, che finanziano la costruzione e il traffico di armi, significa autoproduzione dei beni primari, significa coltivare senza pesticidi, significa creare legami di solidarietà, significa mantenere la nostra cultura senza farci omologare.
Vandana Shiva, femminista e ambientalista indiana, in un recente incontro in Italia ha detto:
“L’accesso alla terra è sempre più difficile perché la terra fa gola agli speculatori e ai palazzinari. Il governo italiano ha pensato bene per fare cassa di mettere in vendita i terreni demaniali. Ci stiamo letteralmente scavando il terreno da sotto i piedi, perché senza terra non c’è futuro. La più grande sfida che dobbiamo fronteggiare oggi è la rapina dei nostri beni comuni da parte delle multinazionali. I semi come beni comuni sono stati sottratti tramite la privatizzazione e la brevettazione; l’acqua è stata privatizzata tramite leggi, la terra è stata privatizzata e rubata nei paesi poveri ma anche in quelli ricchi a causa dell’aggravarsi della crisi economica. Le vere forze che hanno generato la crisi tramite la morte finanziaria, ora vogliono appropriarsi dell’acqua e della terra. Penso che in questo momento di crisi, crisi economica, la terra sia l’unico luogo in cui possiamo ritornare per ricostruire una nuova economia e ogni governo alle generazioni future dovrebbe dire: “abbiamo perso la capacità di darvi lavoro, sicurezza sociale e garantirvi un decente tenore di vita. Noi consegniamo le terre pubbliche agli agricoltori del futuro. Questo è un obbligo, visto il fallimento dei governi nell’attuale sistema politico, nel prendersi cura della gente. Se vogliamo avere una economia viva, una democrazia viva, la terra deve essere al centro di questo rinnovamento. Mettere la terra nelle mani delle generazioni future è il primo passo. E se i governi non lo faranno, invito i giovani a occupare la terra così come stanno occupando le piazze : voi dovete fare un dono al futuro dell’umanità.”

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