Una scuola inclusiva?

15 Marzo 2024

Milano, un murale per l’inclusione e la diversità dipinto dallo street artist Sonda insieme con i ragazzi della Casa per fare insieme di Rozzano, gestita dalla cooperativa Libera compagnia di arti & mestieri sociali, all’interno del progetto Texére.

[Amedeo Spagnuolo]

Da anni ormai si discute in Italia sulla questione riguardante la reale inclusività della nostra scuola. Come spesso ci viene raccontato dalla narrazione ufficiale, la scuola italiana, relativamente al concetto d’inclusione, sarebbe la più avanzata d’Europa per quanto riguarda le metodologie didattiche applicate ai bambini e ai ragazzi diversamente abili.

In teoria le cose stanno così, in effetti l’Italia è stato uno dei primi paesi a eliminare le classi “differenziali” con l’emanazione della legge 517/77 e con l’introduzione dell’insegnante di sostegno. Poi però, come spesso accade in Italia, le bellissime enunciazioni della norma dovrebbero essere calate nella carne viva del nostro paese e, quindi, dei giovani e delle loro famiglie che vivono sulla loro pelle il totale stato di abbandono nel quale sono costretti a operare. In sostanza accade la stessa cosa che si verifica con la nostra Costituzione, la legge fondamentale del nostro stato, è considerata la più bella e completa del mondo ma anche la più inapplicata.

Di recente però si è verificato un incredibile episodio che va molto oltre la mancata applicazione della norma e la carenza di strumenti didattici adeguati, utili a fornire validi supporti all’apprendimento a questi bambini e ragazzi che partono già svantaggiati rispetto ai loro coetanei e che, spesso, devono anche subire l’umiliazione di essere considerati degli alunni “scomodi” perché richiedono al docente un lavoro supplementare rispetto alla normale programmazione didattica sviluppata per il resto della classe, mentre risultano molto utili quando si tratta di formare nuove classi. L’episodio al quale si fa riferimento è accaduto all’Istituto Melone di Ladispoli, un paese a circa 40 chilometri da Roma. In questo istituto è accaduto qualcosa d’inaudito per una democrazia che ha una Costituzione che poggia, tra gli altri, sull’architrave del concetto di solidarietà nei confronti di chi nasce in una situazione di svantaggio.

Nel caso dell’Istituto Meloni è accaduto che il Dirigente scolastico di quella scuola, Riccardo Agresti, ha pensato bene di “allontanare dalla comunità scolastica”, addirittura per 17 giorni, un bambino di prima elementare affetto da un disturbo di deficit dell’attenzione ovvero uno dei tanti bambini che, frettolosamente, nel gergo comune vengono definiti iperattivi. È evidente che fare lezione con questo bambino non è semplice (perché con i cosiddetti normodotati lo è?) ma la scuola non è nata per affrontare situazioni semplici, al contrario il suo obbiettivo prioritario dovrebbe essere quello di farsi carico, prima di tutto, delle situazioni più difficili anche quelle non “certificate”, altrimenti si corre il rischio di ricadere nella prospettiva della scuola classista di matrice gentiliana che prevedeva percorsi separati per quella che sarebbe diventata la classe dirigente del paese, i liceali per intenderci, e i poveri cristi destinati alla manovalanza o al massimo a ruoli tecnici considerati allora di secondo piano.

So bene, essendo io un insegnante, quanto sia giusto e utile per il nostro paese valorizzare le eccellenze, ma so altrettanto bene quanto sia giusto e doveroso fare in modo che finalmente si cominci ad applicare, come si diceva in precedenza, la nostra Costituzione, partendo magari proprio dall’art. 34 che afferma, per chi non lo sapesse, che “La scuola è aperta a tutti”. Comunque sia, il nostro illustre dirigente scolastico e le maestre che hanno avallato la sua decisione, hanno pensato bene che per affrontare meglio l’iperattività del bambino fosse meglio allontanarlo dalla scuola, lasciandolo a casa da solo e privandolo, dunque, anche della possibilità di poter socializzare con i suoi pari. Un altro aspetto inquietante riguarda il modo in cui il padre del bambino è venuto a conoscenza del provvedimento preso dalla scuola del figlio, ciò è avvenuto attraverso una PEC nella quale era illustrata esclusivamente la decisione presa mentre non si faceva alcun cenno alle motivazioni che avevano portato a quella decisione.

A questo punto al papà del bambino non è rimasta altra possibilità che quella di chiamare il suo avvocato che giustamente decide di fare ricorso al TAR. I giudici amministrativi danno ragione al bambino e a suo padre e sospendono la decisione della scuola ordinando l’immediato rientro del bambino a scuola e imponendole di provvedere affinché egli abbia un numero adeguato di ore di sostegno relativamente al grado della sua infermità. Purtroppo l’odissea del povero bambino e della sua famiglia non finisce con la sentenza del TAR. Infatti, quando il bambino si presenta a scuola gli viene impedito di entrare da un’operatrice scolastica, a quel punto il papà chiama i carabinieri e sporge denuncia.

Il dirigente Agresti si difende dicendo di non sapere nulla della sentenza del TAR anzi la mette in discussione. A questo punto alla famiglia non resta che rivolgersi direttamente al ministro Valditara e all’Ufficio Scolastico Regionale che decidono la rimozione del dirigente Agresti mentre il bambino torna felice a scuola e sul suo viso torna anche il sorriso. Certo questa è una situazione limite, per fortuna fatti del genere non accadono tutti i giorni, detto questo però rimane l’incomprensibile comportamento degli operatori di una scuola pubblica nei confronti di un soggetto fragile che chiedeva e chiede proprio a quella istituzione un supporto e un aiuto per migliorare la sua condizione esistenziale.

Per quanto riguarda poi la mia esperienza personale di docente devo dire che dopo trent’anni di lavoro nella scuola ho incontrato insegnanti di sostegno molto bravi e competenti ma, purtroppo, ne ho incontrati anche tanti che avendo scelto quel lavoro come ripiego, inevitabilmente, non potevano essere dotati di quelle qualità umane e professionali necessarie a svolgere un’attività lavorativa così delicata per cui, per come la vedo io, la strada dell’inclusione per la nostra scuola è ancora disseminata da numerosi ostacoli che, rifacendomi ancora alla Carta Costituzionale, prima o poi andranno rimossi se vogliamo ritenerci un paese veramente civile.

P.S.

Caro Dirigente Agresti, come dice Gregory Bateson: “La saggezza è saper stare con la differenza senza eliminare la differenza”.

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