Vita di paese (1)

31 Dicembre 2008

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Mario Cubeddu

Forse l’impressione più struggente la danno i momenti in cui sembra prevalere la mancanza di vita. Nei lunghi pomeriggi estivi di silenzio assoluto, o nelle sere invernali, dopo le cinque del pomeriggio. L’Angelus della fine delle attività e dell’invito al riposo suona alle sei di sera; c’è una lunga notte ancora prima dell’alba, ma nelle vie non c’è nessuno, i bar si animano solo per gli incontri delle Coppe a metà settimana. Pensate a una città dove ogni sera tutto è immobile come la mattina di Natale. Eppure è un’impressione sbagliata. La vita continua a scorrere nei nostri paesi, le menti sono attive, i cuori battono per gli altri. Sono tante le forme di vita associata. In questo l’attenzione e l’apertura alla modernità sono sorprendenti. Croce Rossa, Avis, associazioni temporanee per raccogliere fondi che servono alla ricerca su varie malattie, gruppi di canto, associazioni di anziani, associazioni per il mantenimento delle tradizioni, gruppi di ballo. Sembra uno stringersi insieme prima del naufragio, mentre la nave affonda. Sono i giovani il punto dolente. Pochissimi per ogni classe di leva a causa della bassa natalità, rari e preziosi, quindi. Quando non sono estranei, sono provocatori, esprimono con l’aggressione agli uomini e alle cose una insoddisfazione che non sai spiegare. Abbigliati come scimmiette con gli scarti della moda di lusso, si stringono in gruppo o vagano soli con la medesima noia proterva. Ma è più che altro lo sguardo dei grandi impauriti a generare queste impressioni. Come sempre la gioventù ha anche e soprattutto generosità, gioia e bellezza. Con un’ansia per il futuro che in paese diventa ancora più dirompente. Perché il distacco è necessario e certo; alla fine legarsi e affezionarsi a una comunità che si deve lasciare può apparire un inutile dispendio di energie. Gran parte dei ragazzi che studiano spariscono dalla scena pubblica sin da quando finiscono le medie e cominciano a viaggiare ogni giorno per raggiungere la scuola in città. Sono portati da tutto a farsi estranei. Facile che non vedano l’ora di diventare grandi e perdersi nella folla anonima. Il distacco dei giovani che lavorano dalle attività tradizionali del paese è anzitutto culturale e sentimentale, solo in seconda battuta un rifiuto pratico. I giovani anche nei paesi preferiscono attività meno remunerative, anche instabili, alla solitudine e all’azzardo del lavoro in campagna e dell’iniziativa autonoma. Accettano solo le attività subalterne in cui possono lavorare in gruppo, da manovali non assicurati, per la raccolta delle olive come per il taglio della legna. Eppure si potrebbe vivere bene anche in paese e avere una condizione economica soddisfacente. Un bravo allevatore sostiene che questo sarebbe il momento di investire, che per i giovani ci sono le condizioni ideali per costruire una bella azienda. Del futuro dei paesi sardi si è parlato a Gavoi il 13 dicembre  in un incontro promosso dal coordinamento sardo di riflessione e azione critica sul G8. Nella sala consiliare, alla presenza del sindaco Salvatore Lai, erano presenti Gianni Fabris di Altra Agricoltura, la rappresentante di un’organizzazione greca che si batte per una politica agraria alternativa  e un esponente della Via Campesina della Colombia. Fabris ha disegnato il quadro drammatico dell’agricoltura sarda, con le 7.000 aziende che stanno per chiudere. E’ stato soprattutto l’intervento di Salvatore Lai a proporre in modo problematico il rapporto della globalizzazione con le piccole comunità sarde.   La crisi dei paesi sardi contiene tanti elementi rappresentativi dell’attuale condizione delle campagne nel mondo:  dalla desertificazione umana e produttiva allo spreco di risorse, alla distruzione dell’ambiente. Non c’è grande differenza tra  campagne sempre più spopolate, nonostante questo sempre più sporche e inquinate, e le regioni in cui si aggirano moltitudini affamate che non riescono più a far produrre la terra per mancanza d’acqua e di energia.  A Gavoi si è ragionato su possibili vie di uscita dalla situazione critica dei nostri paesi. Che avrebbero molto da offrire in tempi di crisi come questa, se riacquistassero anche un senso produttivo. Questo è stato individuato in una riforma economica e sociale che rimetta insieme i frantumi, sia sociali sia economici, delle comunità di villaggio. I paesi hanno risorse molteplici che solo messe insieme fanno massa critica e consentono di intravedere un futuro. A Gavoi si parlava di trasformare l’azienda pastorale anche in un luogo di produzione agricola, con l’aggiunta dell’ortofrutticoltura di alta qualità attenta alla biodiversità. Insieme all’offerta culturale e alla qualità ambientale, elementi capaci di rendere  interessante la presenza di ospiti che portano sia reddito che vivacità umana e sociale.

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