Votiamo ma non basta

27 Maggio 2010

Vote

Marco Ligas

“Forse è arrivato il momento di disertare le urne, chissà che i dirigenti dei nostri partiti non capiscano che bisogna cambiare: cambiare i criteri con cui vengono scelti i gruppi dirigenti, quelli usati per individuare gli obiettivi politici da perseguire, la pratica del rinnovamento, il rapporto con le istituzioni, insomma un modo di essere sempre più lontano dalle aspettative degli elettori.”
Sono diversi gli elettori di sinistra che manifestano questo malessere e pensano davvero di astenersi dal voto già nel prossimo turno elettorale di fine maggio. Intendono dar seguito al processo verificatosi nel corso delle amministrative di marzo.
È un atteggiamento comprensibile, giustificato dalla inadeguatezza di chi dirige le formazioni del centro sinistra; se ci fosse bisogno di ulteriori conferme basterebbe pensare alle modalità seguite nella scelta dei candidati: nessuna consultazione della propria base sociale, in taluni casi persino accettazione di autocandidature di dubbia opportunità.
Purtroppo il non voto non garantisce di per sé la messa in discussione di una formazione politica, non funziona l’equazione astensione = cambiamento. Anzi il risultato elettorale condizionato dall’astensionismo potrebbe offrire di peggio, magari un rafforzamento dello schieramento avversario che si sentirebbe autorizzato a proseguire per la sua strada riducendo ulteriormente i diritti dei cittadini.
Insomma non credo che la scelta del non voto preoccupi più di tanto le nostre classi dirigenti, siano esse del centro sinistra o del centro destra. Se l’astensionismo si distribuisce fra tutti gli schieramenti, che vada a votare il 40% o il 70% degli elettori, i meccanismi del potere non subiranno sconvolgimenti. Ad elezioni concluse avremo lo stesso numero di eletti e il governo delle istituzioni sarà affidato ugualmente ai candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti anche con percentuali modeste.
Non possiamo non considerare che la sfiducia che spesso accompagna le elezioni deriva da una nostra sopravalutazione del momento elettorale, spesso vissuto come occasione unica perché possa realizzarsi il cambiamento sociale auspicato.
Sotto questo aspetto siamo noi stessi subordinati all’ideologia dell’avversario e sottovalutiamo come, per avviare un processo di cambiamento, sia necessario partire dall’ipotesi della ricostruzione che richiede tempi non accelerati. Anche la scelta di voto non deriva, in genere, da una riflessione istantanea, scaturisce dalla sedimentazione di valutazioni collegate a processi concreti che hanno richiesto del tempo prima che si consolidassero.
Voglio con ciò sottolineare che esistono sempre le possibilità del cambiamento; è necessario piuttosto spostare il campo dell’osservazione, della critica e dell’impegno. Se attualmente gli uomini che rappresentano l’area del centro sinistra non intendono, o perché non vogliono o perché non sono all’altezza, far propria la domanda di rinnovamento che nasce dai bisogni di larghe fasce della popolazione, allora è indispensabile dispiegare l’impegno perché vengano avviati nuovi processi di aggregazione che 1) escludano le divisioni che sinora hanno caratterizzato l’esperienza delle formazioni della sinistra radicale e 2) cerchino di individuare obiettivi alternativi.
Il sistema capitalistico ci incalza e ci attacca duramente, ma non gode di buona salute, ha bisogno anch’esso di tregue e riorganizzazione. Dobbiamo provare a complicargli la vita facendo in modo che i prezzi che intende farci pagare se li assuma lui per intero. Dobbiamo trovare perciò tre o quattro temi (per esempio lavoro, legalità, diritti civili, tutela dell’ambiente e del paesaggio) che possano aggregare e al tempo stesso delineare uno sviluppo alternativo. Se tutto ciò ha un senso (mi sia consentita una semplificazione) risulta allora inopportuna la presenza, nelle otto circoscrizioni provinciali, di tre o quattro liste che si definiscono comuniste, di altrettante che propongono l’indipendentismo e via di questo passo.
O saremo capaci di avviare un processo di radicali cambiamenti a partire dal nostro operare oppure non avremo la possibilità di realizzare alcun cambiamento. In concreto, e semplificando, penso che alle prossime elezioni amministrative dovremmo dare la preferenza a quei compagni che manifestano la maggiore sensibilità perché si avvii questo processo di ricostruzione.

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