Walter Veltroni: fenomenologia di un leader

30 Aprile 2007

Sante Maurizi

Walter VeltroniL’idea era di recensire Walter Veltroni, o meglio la sua performance: perché di questo, se non proprio di un one-man-show, dovrebbe trattarsi.
Se uno fa affiggere manifesti, provoca file al botteghino, sale su un palcoscenico dopo che ha deciso di farsi illuminare in un certo modo, hai voglia di dire che è un uomo politico e sta solo amministrando la propria figura pubblica come sempre ha fatto (la continuazione degli album Panini con altri mezzi, dicono i maligni). Non è un comizio, una relazione a un congresso o un discorso davanti a un’assemblea: la macchina è quella del teatro, e agli spettacoli importanti, oltre al pubblico, accorrono anche i critici. Magari attratti dal copione, ma specialmente dalla messinscena.
Aiuta, ora, il libro-dvd «Che cos’è la politica?» (Luca Sossella Editore, € 15), ultimo arrivato della collana dedicata finora a matematica (Odifreddi), poesia (Magrelli), giustizia (Cordero). Il volume di Veltroni concerne la serata romana di dicembre presso l’Auditorium Parco della Musica, inaugurale la breve tournèe che lo ha portato infine al teatro Dal Verme di Milano nel febbraio scorso.

D’accordo: ci sono i puristi dell’evento, dell’emozione dell’esser stati lì, della differenza fra il teatro e il teatro-filmato, eccetera. Ma il dvd è ben fatto, la sintassi è quella dello spettacolo dal vivo e forse non è inutilerifletterci un po’ su. Per la politica, anzitutto, ma anche per il teatro: che oggipare in affanno, circa l’impiego dei propri suoi mezzi, rispetto a quella. Di più, con gli scenari che paiono delinearsi è probabile vedere Veltroni presto a capo della creatura da lui sempre indicata come approdo naturale, salvifico e moderno del lungo viaggio della parte maggioritaria della sinistra italiana: e provare a fare le pulci al futuro leader del Partito Democratico è tentazione alla quale non bisogna resistere.
Dunque, ecco Walter. Entra in scena caracollando fino a raggiungere il podio sulla sinistra. Luci di taglio e sagomatori a proscenio per non «sporcare» il grande schermo sullo sfondo: perché le immagini sono protagoniste almeno quanto il nostro, in abito grigio e senza cravatta. «Una sola istruzione per l’uso, e lo dico soprattutto per i miei colleghi giornalisti: non cercate quello che non c’è (risate, applausi). C’è soltanto una grande passione per la politica». Rassicurante e un pizzico ruffiano, e la miscela funziona da subito.
Lo schermo, dicevamo: via con il primo «contributo filmato», il discorso finale che il barbiere ebreo / Charlie Chaplin pronuncia nel film «Il grande dittatore» (“Mi dispiace, non voglio farel’Imperatore, non è il mio mestiere, non voglio governare né conquistare nessuno, vorrei aiutare tutti se possibile”). Lo schermo si spegne, Veltroni torna al podio e inizia: «Il discorso che avete ascoltato non fu scritto da un uomo politico….». E non ci puoi credere: legge! Sta leggendo!
In teoria uno dovrebbe suicidarsi, sarebbe la fine ancor prima di cominciare, e invece no: lo schema sarà lo stesso per novanta minuti – lettura, contributo filmato, lettura -, ma hai la sensazione che la platea lo segua con attenzione, e finisci per seguirlo anche tu.

Insomma, fine del gioco: hai di fronte non un performer ma un oratore, immediatamente e perfettamente a suo agio. Impossibile da recensire perché non è possibile «leggere» un corpo che legge: l’attore deve mettersi a repentaglio per costruire l’altro da sé, il politico fa l’opposto, in entrambe le direzioni. L’impaccio di Walter si vede solo alla fine, quando frettolosamente guadagna l’uscita dal palco borbottando un paio di frasi di ringraziamento e la raccomandazione di «amare la politica» agli astanti, che lo salutano con un prolungato applauso. Ha vinto perché ha interpretato alla perfezione il ruolo di Walter Veltroni, assolutamente nella norma.
Vengono alla mente i penosi tentativi di altri leader nel farsi percepire come «normali», quel fastidioso bacio inbocca di Occhetto e signora, o il duplice numero televisivo di D’Alema, ai fornelli e con Morandi a cantare «C’era un ragazzo»: dilettanti. Ma se in Veltroni come in nessun altro politica ed estetica sono una cosa, egli non potrà almeno sfuggire al giudizio appunto estetico. E qui il sovrappeso, la pappagorgia ormai imbarazzante parrebbe comprometterne le possibilità seduttive. Ma non è così. Veltroni «buca», eccome. Il maestro è Alessandro Baricco. Sia detto senza ironia, da fan del Baricco divulgatore, di quando riesce a spiegare cose difficili senza banalizzarle. Talvolta esagerando nel mescolare l’alto e il basso, ma cogliendo in questo meccanismo la sostanza della propria seduzione. Si dirà: Baricco è bello e Veltroni è bolso. Ma la giogaia rassicura, sana in anticipo le nevrosi da prestazione frustrata: nel paese delle fettuccine e della Mamma è indice di buona salute.
Per provare a «beccare» Walter non parrebbe dunque esservi scelta: tocca tornare alla politica. E qui c’è un libro recente, «Compagni di scuola. Ascesa e declino dei postcomunisti» (Mondadori, € 16,50), che prova a saldare il giudizio estetico con quello politico. Andrea Romano ha compilato un saggio piuttosto affilato attorno ai leader più importanti del ventennio post-Pci: D’Alema, Veltroni e Fassino ritratti nella parabola che dagli anni ’70 attraverso la morte di Berlinguer e quella del Partito, con il gioioso fuoco d’artificio di Occhetto, li vede protagonisti di una sconfitta (1994), di una vittoria (1996), di un’altra sconfitta (2001) e di un sofferto pareggio (2006, quasi-goal). Mantenendo costantemente il Pds-Ds ben al di sotto del 20 per cento, e accingendosi all’ennesimo grande obiettivo: «perché nel traguardo del Partito Democratico la leadership postcomunista ha trasferito l’ennesimo sforzo di conservazione della propria unità familiare: tu terrai a bada la sinistra, tu indicherai un orizzonte leggendario, io in sala macchine.»
Difficile equivocare sull’assegnazione di tali mansioni ai tre sodali-rivali. È lì, in quell’«orizzonte leggendario» che Romano dà a Veltroni ciò che è già suo. E la visione di «Che cos’è la politica?» non può che rafforzare le argomentazioni del saggio. Si diceva del giudizio estetico inseparabile da quello politico: al fondo, la qualità primaria del sindaco di Roma è la indistricabilità fra idee e sentimento, calcolo e passione, elevatezza di mete e marketing personale.
Com’è, ad esempio, che con Veltroni segretario i Ds perdono di seguito europee ‘99, regionali 2000 e politiche 2001, e Walter ne esce «con la leggerezza di un ballerino»? È vero che la disfatta in Italia non pare implicare dimissioni per nessuno, ma quali sono le caratteristiche proprie del nostro? Veltroni ha per Romano qualche marcia in più: «l’esaltazione del proprio coraggio ideale e degli eroi sui quali proietta la propria immagine, lo sguardo rivolto verso una frontiera sempre nuova, l’annuncio ciclico della prossima fuoriuscita dalla politica»; e soprattutto «l’assenza totale di inibizioni, di quelle remore che normalmente impediscono di mescolare ciò che non può stare insieme»: ciò che viene da definire come «assenza di vergogna», e che parrebbe componente essenziale della teatralità. (Alla prima: perché l’inibizione dell’attore, come la paura per il soldato, è fattore necessario al valore).
Esempi non mancano, perché è questa la sua specialità. Mentre tutti si affannavano attorno alla «Cosa» (che utile regalo alla coscienza di una idealità e di un lutto fece Nanni Moretti con quel film del 1990!) Veltroni iniziava appunto a mescolare senza vergogna Berlinguer e Bob Kennedy. Figure ovviamente presenti anche in «Che cos’è la politica?», in cui c’è un esempio in particolare di assenza di inibizioni. «Non abbiate paura – legge Walter esortando la platea: – non abbiate paura di dare il senso di un cammino, non abbiate paura dell’impopolarità di un giorno o di un mese, se fate ciò che ritenete giusto». «Non abbiate paura – disse papa Wojtyla nel discorso del suo insediamento: – aprite le porte a Cristo», e Ratzinger lo citò alla lettera nell’omelia che ha inaugurato il proprio pontificato. Usare le stesse parole senza sentire il peso di dover citare due papi è davvero eccellente assenza di pudore.
Così come lo è impaginare nel libro-dvd titoli come «la bellezza della politica», «pensare al futuro», «i valori, la moralità, la voglia di cercare»: magari Gramsci sarebbe inorridito, ma del vecchio arnese sardo nella conversazione non c’è traccia. Ci sono invece la caduta del muro di Berlino, «Sacco e Vanzetti» di Giuliano Montaldo, i due Kennedy, Foa, Craxi, Martin Luther King, insomma quel solito sincretismo di volti e idee che iscrive Veltroni di diritto alla categoria new-age.
È quella che Andrea Romano, estendendola al partito, chiama «bulimia identitaria»: che colma il vuoto della sconfitta della sinistra italiana «nel coltivare la propria superiorità antropologica, e nel riconoscerla nel leader che ne fa una bandiera personale». La conclusione di Romano è gelida: Veltroni «gratifica il pubblico come un efficace romanzetto di Liala». Resterebbe poi da vedere quale politico in carriera, e in quale parte del mondo, non senta come missione primaria quella di titillare il pubblico. Il problema è che per Veltroni (ed è il prosieguo della frase pseudo-papale di prima) «la politica è “arte regia”, non è una disciplina del marketing. Conta essere, non apparire. Nella vita, non solo nella politica». Viene il sospetto che la traduzione del milaniano «I care», slogan che Veltroni utilizzò per il congresso Ds di Torino del 2000,fosse certamente «mi faccio carico», «mi prendo cura», ma fosse il segretario stesso a pronunciarlo, prendendosi cura della propria immagine in modo sopraffino.
Pare insomma che il gradimento per Veltroni (i sondaggi in suo favore come sindaco continuano a dare percentuali bulgare) sia lo stesso che fa muovere le persone su e giù per i mille festival, per le mille passeggiate, per i mille «eventi» che punteggiano la nostra contemporaneità, in cui è ormai banale parlare di spettacolarizzazione, stordimento e simili.
Dando notizia del libro-dvd «L’Espresso» ha scritto: «Da tutta Italia, intanto, continuano a fioccare inviti al sindaco Veltroni perché si presenti di persona a spiegare la politica. Non ci sono ancora date certe, ma probabilmente il tour riprenderà». Potrebbe sembrare una minaccia, ma forse lo è solo per i suoi concorrenti alla direzione del Partito Democratico

Sante Maurizi
da La Nuova Sardegna

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