Chi ha pagato la nostra libertà

1 Ottobre 2008

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Redazionale

Il manifesto sta vivendo nuovamente una delle sue tante crisi. Questa è più difficile delle altre, si rischia di non uscire più. Noi vogliamo essere ottimisti e perciò ci impegneremo perché il quotidiano resista. Serve un impegno particolare, un sostegno ancora più consistente dei precedenti  che si concretizzi  con le sottoscrizioni,  con gli abbonamenti e con l’acquisto giorno per giorno del manifesto. Ma tutto ciò non sarà sufficiente se non sarà accompagnato da un lavoro politico rinnovato perché venga cancellata la legge Tremonti e ripristinato il diritto alla libertà di informazione.
Pubblichiamo in questo numero del nostro quindicinale una breve storia del manifesto, la storia di una sottoscrizione infinita, preparata dai compagni che lavorano in archivio. Dopo averla letta non tardate a dare il vostro sostegno.

37 anni di vita e un solo sponsor: i lettori. Storia di una sottoscrizione infinita, che dalla fondazione a oggi ci ha salvato la vita con 13 milioni di euro. «Chi li paga?» era scritto a caratteri cubitali su un manifesto parecchio malizioso  affisso dal Pci (avevano ripreso una notizia acida diffusa dal quotidiano Izvestja che ci accusava di essere finanziati dal capitalismo internazionale) prima ancora che fosse pubblicato il primo numero del nostro giornale. «Ecco chi ci paga», fu la nostra campagna. E sul primo numero – il 28 aprile ’71 – pubblicammo i nomi di tutti i sottoscrittori che con circa 50 milioni – avevano reso possibile l’uscita in edicola (a 50 lire). Pubblicammo anche il preventivo mensile delle entrate necessarie a tenerci in vita. Già all’uscita del primo numero il capitale iniziale era però «bruciato». Di più: eravamo stati troppo ottimisti sui preventivi di spesa. Senza contare che le entrate delle vendite non erano immediate. Fin dall’inizio soffrivamo di una grave crisi di cassa e fummo costretti a lanciare la prima sottoscrizione chiedendo ai nostri lettori «100 lire al giorno». Tra maggio e giugno in questo modo arrivarono 10,6 milioni e i nomi di chi ci inviava i soldi erano tutti pubblicati. Le vendite seguitavano ad andare bene – oltre 30 mila copie ma i soldi non bastavano. A luglio chiedemmo ai lettori 100 lire per ogni giorno di ferie. A fine estate erano entrati 17,5 milioni. Ma, colpa di un capitale iniziale, troppo esiguo (alcuni esperti calcolarono che per partire in tranquillità sarebbe servito almeno un miliardo) e la cassa «piangeva». Il 29 settembre del ’71 in prima pagina facemmo un appello: «10 mila copie in più e sottoscrizione permanente per rilanciare il giornale». Fin da allora fu chiaro che il manifesto aveva un solo editore: i lettori ai quali chiedevamo soldi per sopravvivere. E li chiedevamo con «fantasia». A dicembre lanciammo la parola d’ordine: «1000 lire per ogni tredicesima». La risposta fu generosa: in 15 giorni arrivarono 28 milioni. Nel ’72 la replica: vista l’inflazione, le 1000 lire diventarono 2 mila lire, mentre il prezzo del quotidiano era salito a 90 lire. Cambiammo lo slogan con il quale chiedevamo i soldi, invocando un «sostegno di massa». E raccogliemmo anche 16 milioni per finanziare la campagna elettorale del 1972. Le vendite cominciarono a diminuire e con la crisi petrolifera del ’73 i costi (di stampa, carta e distribuzione) si impennarono mostruosamente. Per fortuna c’erano sempre i lettori a tenerci in piedi e nel 1977 ci permisero tra l’altro – grazie a una sottoscrizione di 100 milioni – di acquistare una tipografia a Milano. I primi anni ’80 furono durissimi: la carta era salita a prezzi stratosferici e il manifesto fu il promotore di una campagna perché lo stato si facesse carico con contributi all’editoria dei costi insostenibili della carta. La legge fu varata e fu molto favorevole per i giornali di partito. Il 7 aprile ’83 la «provocazione»: uscimmo con un numero a 10 mila lire. Nel sommario era scritto: «Oggi un voto contro l’arroganza del potere/La scheda è un biglietto da 10mila lire/Lettera al manifesto di Enrico Berlinguer» che a nome del Pci, ci comunicava la concessione di un prestito di 150 milioni. Di «spalla» una intervista all’ex direttore del Corriere della Sera Piero Ottone. « Il manifesto è un lusso. Ma i lussi oggi sono necessari». Vendemmo 40 mila copie. Di quegli anni è anche la nascita della Cooperativa «il manifesto anni ’80» il cui unico scopo sociale era tenere in vita il giornale. Raccolse quasi 600 milioni di lire. E, tra i tanti soci, ci piace ricordare Sandro Pertini. Gli anni ’80 sono anche gli anni del governo Craxi e del blocco della scala mobile. Alcuni collaboratori del manifesto (Federico Caffè, in testa) lanciarono un appello: «Date al manifesto i Buoni del tesoro che lo stato vi dà in cambio dei punti congelati di scala mobile che potrete incassare solo fra 10 anni». L’invito fruttò 60 milioni. Alla fine degli anni ’80 le vendite del manifesto cominciarono a risalire. Nel 1991 superano (con la prima guerra del Golfo) le 53 mila copie; poi arrivò Tangentopoli; poi nel ’94 la vittoria di Berlusconi: il manifesto (nel frattempo trasformato in tabloid) fu protagonista di quella stagione politica di opposizione. Le copie vendute salirono a quasi 55 mila e i nostri bilanci presentavano larghi attivi. Durò poco: il governo Dini al quale non eravamo pregiudizialmente contrari («Baciare il Rospo?», la famosa copertina) e il successivo primo governo Prodi, spinsero al ribasso (forte) le vendite e gonfiarono le perdite. Nel frattempo avevamo lanciato una sottoscrizione un po’ particolare. Nacque la «manifesto spa»: raccogliemmo 5,4 miliardi. Non sufficienti per sviluppare tutti i progetti. Tra i quali l’acquisto di una sede. Entrammo di nuovo in crisi: realizzammo una pesante e dolorosa ristrutturazione. Il 19 dicembre 1997 una nuova provocazione ideata da Pintor. Il titolo del giornale «Cara libertà» e annunciava che quel giorno il manifesto costava 50 mila lire. «È successo» titolammo il giorno seguente, commentando le quasi 40 mila copie vendute. La situazione economica rimaneva precaria. E il 31 gennaio ’99 lanciammo una nuova sottoscrizione. Raccogliemmo circa 3 miliardi. Gli interessi sul debito accumulato negli anni e i sistematici ritardi con i quali ci venivano pagati i contributi della legge sull’editoria, seguitavano a rendere la nostra vita precaria. Le vendite, però, cominciavano a risalire e questo ci dava «ossigeno». Ma nel 2006 (vendite di nuovo in caduta) fummo costretti a lanciare una nuova sottoscrizione: arrivarono 1,8 milioni di euro. Calcolare a moneta corrente quanto i lettori ci hanno donato in 38 anni non è facile. Grosso modo oltre 25 miliardi di lire. Purtroppo le banche dal ’71 in poi, per interessi, hanno incassato molto di più. Ma vale la pena riprovarci. Detto da chi lavora al manifesto , può sembrare un invito interessato. Ma «la libertà costa cara». (a cura dell’archivio)

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