Antonio Mele e le curiosità del vocabolario sardo-nuorese

16 Febbraio 2022

[Graziano Pintori]

Il Prof. Antonio Mele ha portato a compimento il sesto prezioso libretto sulla lingua sarda dal titolo “Curiosità del vocabolario sardo-nuorese (ma non solo) con relativa proposta etimologica”. L’opuscolo è stato arricchito da alcune riflessioni personali, una delle quali è rivolta alla supremazia della lingua inglese nel mondo: la lingua dell’impero britannico dove “non tramontava mai il sole”.

Ciò denota che l’inglese fu egemone già dal XIX secolo, e tutt’oggi ancora lo è essendo la lingua della globalizzazione; ovverosia una convergenza economica che si è imposta con le leggi del mercato e della finanza, in cui la lingua inglese è il veicolo indispensabile per la comunicazione. Infatti, l’inglese fluente, senza soluzione di continuità, mette in comunicazione il mondo globalizzato, il prof. Mele non manca di rilevare che certi inglesismi facciano correre seri pericoli di contaminazione alle lingue minoritarie, come il sardo. A fronte di questi pericoli ci sono gli strenui difensori della lingua sarda, che si battono con passione per tenerla ancora in vita sull’esempio dei linguisti del calibro di Meyer–Lubke, Rohlfs, Wagner, e i più contemporanei professori Pittau, Sanna e tanti altri.

I menzionati studiosi sono personaggi che Antonio Mele, professore in pensione, grecista e latinista di valore conosce e cita nei suoi lavori, dai quali acquisisce la tenacia da gladiatore per la difesa della nostra lingua. Infatti, il nostro professore per dimostrare quanto il percorso millenario del nostro idioma abbia profonde radici nello spirito antico dei sardi e nell’ambiente in cui siamo immersi, dedica una pagina alla toponomastica: la disciplina che studia in modo scientifico il nome dei luoghi e delle entità geografiche, compresi i nomi con radici protosarde da cui la ricostruzione etimologica di molte parole ancora presenti nel nostro parlato.

Un altro argomento del libro che mi ha incuriosito è quello dedicato alla capacità di molti vocaboli della lingua sarda di essere molto concreti. Cioè, come le persone pratiche che si attengono ai fatti, allo stesso modo molti vocaboli sardi, considerata l’origine latina, hanno la capacità di contenere la concreta praticità del loro significato, per esempio: labor in latino significa fatica, nella lingua sarda su labore, che include la fatica nei campi, acquista concretamente il significato di grano. Il termine lakindza che in latino significa lembo, frangia, orlo, piccolo gregge, la nostra lingua con tale termine definisce le pecore che non hanno ancora figliato.

Il libretto è arricchito da altri vari e brevi interventi, come quello sul Bogino, oppure sulla diffusione della lingua italiana nel mondo; il libretto si chiude con un lungo elenco alfabetico di parole e locuzioni sardo-nuoresi, secondo me molto evocative. Particolare interesse suscita la citazione, riportata nel libretto, di Eduardo Blasco Ferrer, il quale invita i sardi a rifuggire da orrori come la Lingua Sarda Comuna, una lingua contraffatta e taroccata, ossia il contrario di una lingua viva come il sardo, peraltro perennemente sotto aggressione dalla società odierna con i suoi stereotipi. Su quest’argomento il prof. Mele ci batte sopra, perché il tempo passa e sempre più giunge all’orecchio dell’esperto un sardo posticcio, come se fosse appreso da corsi accelerati sul web, o scimmiottato su whatsapp, messanger, instagram. Bisogna stare attenti a tale contesto, il quale non significa che noi sardi sentiamo la necessità di una nuova koinè linguistica, ancorché arricchita da una LSC o codici linguistici artefatti, perché sussiste ancora nei sardoparlanti la capacità di resistere utilizzando il linguaggio dei nostri avi.

Comunque sia, per continuare a resistere è importante che: in tutti i comuni della Sardegna si continui a parlare il sardo come l’abbiamo connottu, conosciuto; capire che il nostro idioma ha necessità di essere solo rispettato e amato trasmettendogli vita e vitalità utilizzandolo in tutte le situazioni possibili; tramandarlo a su tempus benidore, al futuro così come l’abbiamo conosciuto nei nostri luoghi sociali, culturali e morali.

Di questi giorni è la decisione assunta dalla regione sarda sull’utilizzo di un codice per la standardizzazione dello scritto in lingua sarda, da usare nella letteratura, nella toponomastica, in ambito amministrativo, scolastico ecc. A questo punto rimpiango che Arlecchino non sia una maschera della Sardegna, nel caso rappresenterebbe gli idiomi dei 377 comuni sardi, identificabili nelle toppe del suo costume, colorate come le farfalle. Immaginiamo come potrebbe reagire quella maschera se le fosse cucita una nuova toppa linguistica artificiale, neutra e grigia, ossia una nuova codificazione della lingua sarda, sicuramente su quel corpo sortirebbe gli effetti tipici delle malattie autoimmuni.

Fuori metafora, la malattia sarebbe il provvedimento adottato dal governo della regione sarda, ben convinto di dare nuova linfa alla nostra lingua, mentre, in realtà, la combatte e non la preserva dal decadimento. Nella sostanza il governo sardo leghista della regione sarda si comporta come quelle cellule che anziché difendere il sistema immunitario/ linguistico lo aggrediscono adottando un nuovo codice estraneo al corpo della lingua originale.

Consiglio a questa compagine politica di leggere attentamente quanto scriveva nel 2005 sulla Nuova Sardegna Costantino Cossu: “Codice? Cosa vuol dire codice? Una lingua artificiale? Ma se è così che bisogno ce n’è? Se ne scelga una di quelle vive, si abbia il coraggio di scegliere, il barbaricino il campidanese, il gallurese…”.

L’immagine rappresenta un’opera di Graziano Pintori

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