Centri per l’impiego: sì, ma quale impiego?

1 Dicembre 2021

[Riccardo Bianco]

I centri per l’impiego sono il punto nevralgico per la creazione delle politiche attive nel nostro paese con competenze diversificate e predisposti per l’erogazione di un vasto pacchetto di servizi; dalle misure di sostegno: come la Naspi, il reddito di cittadinanza, l’assegno di ricollocazione e infine l’orientamento e l’accompagnamento al lavoro. Se le prime attività, meramente burocratiche, risultano di facile applicazione, quest’ultima risulta assai più complessa.

L’incontro tra domanda e offerta di lavoro dovrebbe passare proprio per questo canale ma per varie ragioni il loro ruolo è stato spodestato dai privati, inoltre non vi sono dati statistici aggiornati per conoscere effettivamente quante aziende si sono rivolte ai centri per l’impiego.

Il 10 novembre 2021 è stato pubblicato dall’ANPAL il “Rapporto annuale sui servizi per l’impiego” in relazione al 2020. Il rapporto analizza il sistema pubblico delle politiche attive del lavoro in Italia e comprende i 551 Centri per l’Impiego attivi in Italia nel 2020.

La fotografia del Report denota forti criticità: “l’istituto è attualmente sottodimensionato tra il numero di dipendenti e il numero di pratiche erogate” e anche in termini di competenze “un CPI su quattro lamenta forti criticità di competenze di personale nell’erogazione di servizi specialistici di orientamento e accompagnamento al lavoro.”

Lo dice lo stesso istituto, molti dei nostri centri territoriali non hanno la giusta competenza, insomma sul versante dell’erogazione dei sostegni i dati sono buoni, la macchina risulta correttamente rodata anche se sottodimensionata, mentre sul versante della ricerca del lavoro siamo in alto mare.

In questo contesto da anni hanno avuto un ruolo centrale le agenzie per il lavoro, veri e propri centri per l’impiego privato che mettono insieme domanda e offerta, in un puro interesse economico in cui i diritti sociali dei lavoratori non hanno ragione d’esistere.

Le agenzie per il lavoro, nate sotto la spinta europea della Corte di Giustizia UE e della Commissione – che da tempo aveva avviato procedure d’infrazione contro l’Italia per aver mantenuto il monopolio nazionale della ricerca del lavoro – hanno in breve tempo soppiantato il sistema nazionale per l’impiego divenendo l’unico strumento di ricerca del lavoro realmente funzionante.

La tipologia del lavoro somministrato a tempo determinato rappresenta il terzo contratto di lavoro più utilizzato nel nostro mercato del lavoro italiano, dopo il contratto a tempo indeterminato e il contratto determinato. Grosse aziende campano con manodopera prestata dalle agenzie, con contratti temporanei in cui i diritti dei lavoratori sono completamente assenti.

La lavoratrice o il lavoratore a tempo determinato, nella logica tripartita del contratto di somministrazione, non viene licenziata o licenziato dall’azienda, semplicemente non viene rinnovato; il lessico si modifica e senza motivazione alcuna la lavoratrice o il lavoratore si ritrovano a casa. Questo pone la lavoratrice o il lavoratore in un ruolo contrattuale di contraente ancora più debole nei confronti dell’azienda utilizzatrice. Non hanno possibilità di sciopero, di partecipazione alle assemblee sindacali o di poter contrastare comportamenti contra legem del suo responsabile perché in poco tempo finisce nella lista dei lavoratori non rinnovabili.

Sono anche strumenti politici: in questa logica di flessibilità estrema tali contratti temporanei, in alcuni casi di 14 giorni o anche meno, rientrano nel calderone statistico dell’analisi politica del governo di turno in cui vengono conteggiati come nuovi contratti di lavoro senza poi andare a verificare quanti di essi si sono realmente trasformati in contratto a tempo indeterminato.

Non sono poi mancati i casi di sfruttamento massimo dei lavoratori, come nel settore agricolo, in cui alcune agenzie per il lavoro hanno compiuto attività di caporalato nei confronti di lavoratrici e lavoratori migranti.

Tale problematica è stata rimarcata più volte dagli esperti in materia, e già nel 2007 il sociologo del lavoro, Luciano Gallino, affrontava proprio questa problematica nel saggio: “Il Lavoro non è una merce”.

Secondo l’analisi del mercato del lavoro dell’Istat, relativo al primo trimestre del 2021 i contratti in somministrazione  sono aumentati del 11,5% rispetto all’anno precedente e il 26,4% di essi nella forma del part-time (3,1% in più rispetto all’anno precedente).

Mentre risulta alquanto particolare, che nello stesso report non siano stati analizzati quanti lavoratori a tempo determinato si siano stati assunti a tempo indeterminato, o dall’azienda o dall’agenzia per il lavoro.

Aver inserito un tetto massimo di proroga dei contratti a termine, grazie al decreto dignità, ha sicuramente diminuito la precarizzazione dei lavoratori, mentre risulta alquanto lasca la normativa che non impone nessun vincolo alle aziende di poter assumere altri lavoratori in somministrazione per la medesima mansione.

In conclusione i centri per l’impiego non rappresentano il punto d’incontro tra domanda e offerta del mercato del lavoro, mentre risulta netto il sorpasso delle agenzie per il lavoro, istituti privati, nati con la mera intenzione di operare come l’incontro economico tra domanda e offerta, come qualsiasi altro prodotto.

Infatti i diritti sociali, dovrebbero essere un punto centrale per i centri per l’impiego che sottodimensionati e oberati di pratiche non hanno la forza e la capacità di indirizzare i lavoratori e le lavoratrici all’interno del mercato del lavoro.

Si spera che con il PNRR tale strumento possa essere valorizzato e potenziato e che possano sopperire all’assenza dell’intervento statale lasciando la lavoratrice o il lavoratore nel mercato precario del lavoro, come una qualsiasi altra merce.

Fonte documenti analizzati: 
Rapporto Anpal: servizi per l’impiego, rapporto di monitoraggio 2020

Istat, mercato del lavoro, I trimestre 2021

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