Che colore ha la violenza?

16 Giugno 2020

George Floyd, morto di razzismo, soffocato dalla polizia.

[Graziano Pintori]

“La prego, la prego, non respiro. Mamma, mamma mi uccideranno. Non respiro”, pronunciando queste parole ha cessato di vivere George Floyd: sul suo collo un ginocchio premuto per oltre otto minuti di un poliziotto bianco. Il poliziotto assassino vanta, per il modo d’intendere il dovere, diciassette denunce per lamentele e una medaglia al valore per elogi ricevuti dai superiori. “Mi ha nauseato senza fine vedere George torturato a morte in quel modo. E’ stato oltre l’orrore” si è sfogato Bob Dylan, icona delle canzoni di protesta e premio nobel per la letteratura. Si è detto e scritto che il poliziotto assassino di Minneapolis è un razzista e fascista e come lui, considerata la frequenza delle persone di colore uccise dalla polizia statunitense, sono tanti quelli che indossano una divisa con “licenza di uccidere”. Di questi giorni le manifestazioni contro le morti razziste stanno dilagando negli Stati Uniti e in gran parte del mondo, sono stati abbattuti monumenti che hanno idolatrato razzisti e schiavisti, decapitate statue di Cristoforo Colombo, deturpati i monumenti di Indro Montanelli in Italia e di Wuinston Churchil, in Inghilterra, già noti razzisti. Un vento di nuova consapevolezza civile è stato sollevato dalla morte di George Floyd, infatti episodi e manifestazioni di massa hanno portato alcune amministrazioni statunitensi a rivedere i finanziamenti per i corpi delle polizie locali, al fine di strutturarli nei modi più aperti e democratici con gli strumenti della civiltà e della cultura. Gli episodi cruenti di cui trattasi ritengo che siano comuni a tutte le polizie del mondo, perché svolgono un ruolo cardine nelle strutture statali alla pari dei sistemi legislativi, di difesa, economici, finanziari e via dicendo, ossia l’insieme di ordinamenti che autorizzano le cosiddette “ragioni di stato” per giustificare anche le brutte storie dei vari George Floyd. Una semplice analisi sociale ci suggerisce che il problema negli Stati Uniti, dove sempre più spesso si uccidono cittadini di colore da parte della polizia, è il razzismo, o suprematismo bianco, radicato nella società americana alla pari dell’uso improprio del armi, la stessa società dove i poliziotti “pascolano”, vengono selezionati, arruolati e addestrati. Il discorso non cambia per l’Europa, dove il filo rosso che unisce i George Floyd morti ammazzati dalla polizia è sempre lo stesso: povertà, emarginazione, colore della pelle e persone che conducono una vita di minor valore, come i tossicodipendenti. Dell’Italia, che non è immune da queste tragiche vicende, possiamo ricordare i casi Cucchi, Magherini e Aldrovandi, i quali pur appartenendo alla classe media sociale costituiscono esempi fra i più noti e cruenti. Si tratta di giovani che hanno perso la vita per la violenza subita dalla polizia durante una semplice operazione di controllo; solo l’ammirevole determinazione dei familiari ha permesso di mettere a nudo le responsabilità poliziesche. Per parlare di razzismo anche istituzionalizzato in Italia basti l’esempio dei CPR, definiti ufficialmente luoghi di transito di persone “irregolari”, soprattutto di colore, provenienti dal terzo e quarto mondo. I centri di permanenza per il rimpatrio sono noti come luoghi di detenzione di persone che non hanno infranto la legge, l’unica colpa è quella inconfutabile del luogo di nascita che li cataloga come extra comunitari, di conseguenza irregolari, privi di cittadinanza e indegne del permesso di soggiorno. Un modo per relegare questi disgraziati tra i non-citttadini, quindi legalmente inferiori, privati della libertà e del diritto alla difesa e autodifesa. Una simile emarginazione è vissuta da altre persone come loro, che vivono segregate negli slum costruiti ai margini delle coltivazioni ortofrutticole, in perenne ricattabilità, sfruttabilità e terrore: sono i raccoglitori di frutta e verdure stagionali. E’ noto a tutti che molti proprietari terrieri e produttori ortofrutticoli affidano raccolto e manodopera ai cosiddetti caporali, la versione italiana dei segregazionisti e schiavisti americani dell’ottocento, la cui profonda disumanità è italianamente ammanigliata alla camorra e altre organizzazioni mafiose. Non c’è tanto da meravigliarsi di questa realtà, basta ricordarsi che l’Italia fascista, alleata dei nazisti, promulgò le leggi razziali di cui evidentemente gli strascichi sono ancora vivi e resistenti in molte categorie di cittadini, comprese quelle della politica e del mondo produttivo. Infatti, è palese l’assenza di volontà da parte dello Stato e della politica in generale di rendere concretamente operativa la Costituzione antifascista e antirazzista.

E’ vero, tutto il mondo è paese, dove certi episodi cruenti e aberranti si giustificano in nome della “ragion di stato”, anche se, in molti casi, si preferisce giustificarli come effetti collaterali dei sistemi democratici avanzati. Incompiuti, naturalmente.

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