Ci sarà ancora la scuola?

16 Settembre 2012
Rita Sanna
Che scuola troveranno i 213.778 studenti delle scuole sarde al primo suono della campanella del nuovo anno scolastico? Una possibilità è che non ci sia più la scuola, l’altra è che sia sparito il dirigente scolastico e con lui il dirigente amministrativo e l’ufficio di segreteria, infine che non ci siano più i loro insegnanti.
Questi gli effetti perversi del dimensionamento della rete scolastica: 146 istituzioni funzioneranno nella provincia statale di Cagliari (comprensiva di Sulcis e Medio Campidano), 87 nella provincia statale di Sassari, 65 in quella di Nuoro e 31 nella provincia di Oristano. Le province che perdono più autonomie sono Sassari e Nuoro, seguite da Cagliari e Oristano.
Sopravvivono dunque 331 autonomie scolastiche, ma 66 di queste saranno affidate a dirigenti scolastici in reggenza, con conseguenze negative facilmente immaginabili.
Non dobbiamo dimenticare che gli attuali tagli si aggiungono a quelli già effettuati in questi anni, alla riduzione della presenza delle scuole nelle periferie urbane degradate e nei piccoli centri (scuole soppresse e aggregate ad altre in base a criteri numerici e ragionieristici) alle verticalizzazioni, alla desertificazione del Gerrei o dell’Ogliastra, all’eliminazione di istituti superiori piccoli ma prestigiosi, spesso unica offerta formativa di qualità in territori poveri e abbandonati dallo Stato.
Tuttavia né lo Stato né la Regione sembrano rendersene conto.
Va ricordato che la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha approvato, nel luglio 2006, un documento di attuazione del Titolo V della Costituzione: in esso si sottolinea che entro il 1° settembre 2009 dovranno essere individuate, a garanzia dell’unitarietà del sistema educativo, le norme generali ed i principi fondamentali di riferimento per la legislazione concorrente in materia di istruzione, nonché i livelli essenziali delle prestazioni per l’istruzione e formazione professionale di competenza esclusiva regionale.
Inutile dire che siamo ancora in alto mare.
La Sardegna è a tutt’oggi priva di una legge regionale sull’istruzione e, nel caso specifico, la Regione non ha esercitato alcuna azione di tutela del diritto all’istruzione dei cittadini residenti nell’isola, come invece hanno fatto, attraverso il ricorso alla Corte Costituzionale contro la legge 111/11, altre 15 regioni, considerato che il dimensionamento scolastico è materia appartenente alla potestà normativa concorrente regionale. Inoltre non si è, colpevolmente, opposta al decreto sugli organici relativo al 2012-13, che prevedeva un’ulteriore diminuzione di insegnanti e di cattedre, unica in Italia, adattandosi alla determinazione del numero dei docenti sul solo orario obbligatorio.
Tutto ciò aggrava una situazione che aveva già subito modifiche peggiorative nei precedenti anni scolastici, in territori già duramente provati da precarietà, disagio sociale, difficoltà economiche diffuse.
Il primo suono della campanella del nuovo anno scolastico troverà il personale al lavoro dentro le scuole e i precari, arrabbiati, sulla soglia.
In Sardegna sono 546 gli immessi nei ruoli del personale docente e educativo, su un totale nazionale di 21.011, una goccia nel mare e con la prospettiva dell’incremento del precariato a seguito del nuovo concorso indetto dal ministro Profumo.
La scuola ha ereditato dalla gestione Gelmini-Tremonti il taglio di circa 130.000 persone e di 8 miliardi di euro dal settore istruzione; ciò ha determinato sia l’incremento del numero dei precari sia l’incertezza del personale a tempo indeterminato, che può ritrovarsi senza sede a pochi anni dalla sospirata e sempre più lontana pensione.
Ciò nonostante, e questo è il paradosso, spesso i precari occupano cattedre realmente esistenti, in burocratese si definiscono in organico di diritto e di fatto, che le Direzioni regionali e i Provveditorati con vari artifizi non mettono a disposizione delle immissioni in ruolo.
La situazione si complica ulteriormente a causa della situazione dell’edilizia scolastica. Troppe sono le scuole in condizioni disastrose, nelle quali la manutenzione viene effettuata a singhiozzo, spesso ad anno scolastico iniziato, mancano gli ascensori e le scale di sicurezza, le aule sono troppo piccole per contenere le classi sovradimensionate per accontentare le esigenze del risparmio di spesa.
Il ministro Profumo, che ha improvvisamente scoperto il concetto di dispersione scolastica, si riempie la bocca della necessità di risorse per contrastarla e non trova di meglio che abolire gli insegnanti nei piccoli comuni o istituire il registro elettronico dimenticandosi di abolire quello cartaceo.
Nella decadenza generale, politica, etica, istituzionale, gli insegnanti, le insegnanti dovremmo dire, giacché le donne costituiscono percentualmente la maggioranza, sono spesso oggetto di campagne denigratorie, accusati di essere troppo anziani e nel contempo penalizzati nel loro diritto ad andare in pensione da leggi miopi e vessatorie, sottopagati, continuamente sottoposti a molestie burocratiche; né lo Stato né la Regione paiono interessati alla valorizzazione del lavoro degli insegnanti, a leggi che contrastino la loro espulsione, che trovino un equilibrio tra il totale dei docenti rispetto a quello degli studenti e il numero effettivo di alunni per classe , in modo da evitare le classi pollaio.
Eppure, se prendiamo in mano il Rapporto ISTAT 2012 sulla situazione del paese, possiamo verificare come le parole “scuola” “istruzione” “formazione” siano presenti sin dalle prime pagine, lo attraversino e siano inscindibili da concetti come il miglioramento economico e la mobilità sociale.
Una buona e doverosa lettura anche e soprattutto per il governo dei “professori”, oltre che per i nostri amministratori.

1 Commento a “Ci sarà ancora la scuola?”

  1. Agnese Onnis scrive:

    Esatto Rita, effetti perversi su una Scuola ormai sbiadita. C’era una scuola piena di Valori e di Contenuti. Nel giro di vent’anni si è trasformata e si è svilita.
    I docenti, soli e mai sostenuti se non dalla passione e dal senso del dovere verso i ragazzi, l’hanno difesa a dispetto di tutti i decreti e delle circolari ministeriali che lentamente la impoverivano di idee, di organigrammi perversi e di contenuti reali. Una Scuola che sembra quindi persa irrimediabilmente dietro a tagli di docenti e di classi. Una Scuola deve reagire a tutto ciò questo è il nostro dovere, difenderla sempre dagli attacchi peggiori dell’autoritarismo che crea l’assenza di dibattito culturale e democratico al suo interno.
    Abbiamo fatto caso, ma gli uomini peggiori che sono stati ministri di questo MPI sono proprio coloro che in qualche modo hanno avuto a che fare con cariche di docenza…vedi l’ultimo Profumo di una Primavera ormai avvilita: la nostra.

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