Con il PCI vivevo meglio

1 Luglio 2017

1972 – Sezione Capodimonte del PCI

Amedeo Spagnuolo

La sesta municipalità di Napoli è formata da tre quartieri, Ponticelli, Barra e S. Giovanni a Teduccio con una popolazione che sfiora le 140.000 unità. Tradizionalmente quell’area era denominata la Stalingrado di Napoli grazie alle percentuali “bulgare” che il PCI raggiungeva durante le tornate elettorali degli anni ’70 e ’80, prima, per intenderci, dello scellerato Congresso di Rimini del 3 febbraio 1991 che decretò la fine del più grande Partito Comunista dell’Europa occidentale, ma su questo torneremo dopo.

Parto da quel territorio specifico e complesso giacché è in quell’area che da adolescente mi sono formato politicamente e quindi posso testimoniare, con esperienze dirette, quanto fosse importante, soprattutto in territori articolati e contraddittori, la presenza di un partito che con tutti i suoi evidenti limiti, non avrebbe mai permesso la devastazione economico – sociale che il renzismo e la deriva centrista del PD stanno causando al nostro paese. Ricordo perfettamente, durante una delle tante campagne elettorali che allora si combattevano anche attraverso la “guerra dei manifesti”, un episodio emblematico che può far capire meglio, in maniera, spero, semplice e chiara l’importanza di una forza autenticamente di sinistra, con i suoi palesi limiti, lo ripeto, ma che comunque aveva assunto, a partire dal secondo dopoguerra, le caratteristiche di un vero e proprio presidio democratico nazionale e territoriale.

L’affissione dei manifesti elettorali avveniva, per ovvie ragioni, di notte ed era proprio a partire più o meno dalle 21.00 in poi che tale battaglia si scatenava. A mio parere, non è esagerato utilizzare una terminologia bellica giacché in più di un’occasione la semplice affissione di un manifesto, in una determinata zona del quartiere, poteva tramutarsi in una selvaggia rissa. In una di queste “serate elettorali” fui coinvolto personalmente in una situazione del genere, in buona sostanza alcune zone del quartiere erano per noi comunisti vietate poiché, essendo controllate dal boss locale, questi garantiva all’allora Democrazia Cristiana di poter affiggere esclusivamente i suoi manifesti cosa assolutamente vietata a noi della Sezione Comunista di zona.

Noi però a quel tempo eravamo una forza vera, composta da centinaia di giovani studenti, meno giovani operai, ma anche con molti pensionati che nel Quartiere Ponticelli avevano partecipato alle gloriose Quattro Giornate di Napoli. A quel tempo la camorra non ci faceva paura, il partito in qualche modo ci tutelava e, infatti, alla notizia che un gruppetto di compagni era stato aggredito con mazze e bastoni dai mafiosi locali, le altre sezioni disseminate sul territorio e tutte aperte per la campagna elettorale, reagirono inviando decine di compagni a darci man forte e a mettere in fuga, pensate un po’, il mafioso locale e i sui accoliti. È ovviamente un esempio che non ha la pretesa di dimostrare la reale efficacia della politica del PCI di quegli anni. L’ho riportato perché vissuto in prima persona e a dimostrazione del fatto che il partito comunista era effettivamente garante della democrazia, soprattutto in alcune aree del paese.

Per non parlare poi dei settori strategici maggiormente devastati dall’ideologia renzusconiana, ci si riferisce al lavoro, alla scuola, alla sanità ai diritti delle donne e dei giovani. Ai tempi del PCI le nefandezze perpetrate dal Partito Di Renzi sarebbero state impossibili. Negli anni ’80 ero un giovanissimo dirigente locale del PCI napoletano e uno dei più critici rispetto ad alcune posizioni prese dal partito in quegli anni, ma mai avrei immaginato in quel tempo che molti anni dopo avrei ripensato al PCI con tanta nostalgia.

Lo ribadisco per l’ennesima volta, i limiti erano tanti e tra i tanti errori commessi dal PCI uno (ovviamente non quello più grave per le sorti economico – sociali del nostro paese) fece vacillare seriamente la mia militanza ovvero quando cominciai a studiare attentamente cosa era accaduto il 27 novembre del 1969 quando vennero radiati dal partito Luigi Pintor, Aldo Natoli, Rossana Rossanda e Lucio Magri, “il manifesto” per intenderci, che ponevano già da tempo questioni di democrazia interna del partito e soprattutto denunciarono l’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’URSS. Ho sempre pensato che quella scellerata iniziativa avesse segnato l’inizio della lenta decadenza ideale del partito verso una sua graduale e sistematica burocratizzazione, voglio dire che da quel momento il Pci cominciò, molto lentamente, ad allontanarsi dal suo originario obiettivo, la tutela dei più deboli e il tentativo di “curvare” il sistema politico economico italiano dal finto liberalismo – liberismo al socialismo, per abbracciare forme di tatticismo politico sempre più sterili e autoreferenziali.

Oggi cerco di continuare a seguire gl’insegnamenti dell’attualissimo e magnifico Marx, ovviamente in una prospettiva riveduta e adeguata ai nostri tempi, lo faccio però con enorme difficoltà sia sul posto di lavoro sia nell’impegno sociale quotidiano giacché ho perso i miei riferimenti politici tradizionali. Continuo a pensare che una vera democrazia ha bisogno dei partiti, ma i partiti di oggi sono solo delle consorterie guidate da “leaderini” che gestiscono in maniera vergognosamente individualistica il potere. Il PD sarà ricordato, tra le altre cose, per essere stato il partito che ha dilapidato, in Italia, la grande tradizione della sinistra italiana che, dal dopoguerra e mi azzardo a dire fino alla fase pre – PD, ha contribuito in maniera importante a far uscire, almeno in parte, dal provincialismo il nostro paese. Credo che la sinistra si debba ricompattare in un nuovo organismo politico, un nuovo grande partito come era il PCI, ma questa volta bisogna farlo dal basso, non sommando sigle che sono espressione della volontà di garantire il dolce tepore delle poltrone ai pochi che guidano questi inconsistenti partitini che si dichiarano di sinistra.

Partire dal basso significa partire dai movimenti e dalle associazioni con finalità democratiche e per associazioni e movimenti intendo, ad esempio, anche quelle che si richiamano al cristianesimo sociale e di base che pur non richiamandosi alla tradizione comunista italiana di fatto hanno con quella tradizione più cose in comune che differenze. Lo so, probabilmente sto immaginando un altro mondo da quello reale, ma l’utopia ha proprio questo compito, spingere gli uomini di buona volontà ad impegnarsi affinché ci si approssimi sempre di più all’orizzonte utopistico pur essendo consapevoli che la battaglia per l’equità sociale e la democrazia non si concluderà mai.

1 Commento a “Con il PCI vivevo meglio”

  1. pietrina RUBANU scrive:

    Non c’è niente da aggiungere a questa analisi lucida, argomentata e storicamente corrispondente al vero!
    Condivisione totale… Bravo Amedeo, fa davvero piacere, di questi tempi, leggere articoli fuori dal coro!!!!

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