Contorni. Velluto glocale

16 Novembre 2014
Sa_Berritta-Oliena_1962
Giulio Angioni

Si dice che il velluto in Europa viene dall’Oriente, forse dalla Cina, manco a dirlo, settecento anni fa circa. Per secoli in Europa è stato un tessuto soprattutto maschile dei ricchi e degli aristocratici. In Sardegna forse è arrivato con i catalani, e forse si è chiamato per secoli terciopelo alla spagnola, sebbene fabbricato in Italia, che è stata a lungo il luogo di produzione del velluto, da Venezia a Catanzaro, per il resto d’Europa e dintorni. Ma il velluto è diventato popolare, e ha cominciato a diventare sardo etnico soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, quando alla testa di una schiera di tessuti di fabbricazione industriale, come la saia, il panno e il fustagno, ha cambiato il modo di vestire tradizionale maschile a sa sardisca in quello europeo a sa tzivile, da su costume a sa bistimenta.
Forse il velluto non si è mai prodotto in Sardegna, fino a che non lo è stato nel polo tessile di Macomer negli ultimi decenni e ora in grave crisi, ma è diventato sardo così come è diventato siciliano o scozzese più o meno contemporaneamente, che fosse nero o verde o color muschio, a coste o liscio. Perché intanto già le coppole siciliane in velluto verdone erano quanto di più siciliano poteva darsi nel vestiario, i corpetti di ogni colore diventavano indispensabili in ogni parte d’Europa, mentre altrove e in Sardegna giacca, pantaloni e corpetto (e in più il rustico paneuropeo berretto a visiera corta che da noi sostituisce sa berritta in orbace) si impongono tra le contadinanze europee come l’abito buono della festa. Il velluto da noi ha sostituito i tessuti maschili in orbace soprattutto nelle campagne, ma rimanendo o diventando di moda in città come in campagna. Niente di più europeo e niente di più sardo a un certo punto, fino a oggi che il velluto può essere pensato come sardo “da sempre”, come succede a ciò che si acclimata bene in luoghi nuovi, come il pomodoro in Campania o la patata nell’Europa Centrale.
Oggi il velluto rimane e torna a essere sardo barbaricino quanto scozzese o basco o catalano come un tempo tra i minatori inglesi, mentre il velluto fabbricato in Cina ed esportato anche qui segna un ritorno alle sue origini nel Lontano Oriente. Ma il velluto è sempre stato globale, più o meno, e da secoli è anche locale, glocale come in Sardegna, come in Barbagia, magari pretendendo, come spesso accade, una profondità temporale che osa immaginare quel “da sempre e per sempre” di cui sembra aver spesso bisogno ogni identità. E non importa che una fabbrica di Shanghai oggi sostituisca la fabbrica lombarda Visconti di Modrone, che da circa un secolo rifornisce di velluti i sarti non solo di Sardegna, Sicilia e isole minori.

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