Cosa dovrebbe favorire una legge elettorale

1 Ottobre 2019
[Stefano Puddu Crespellani]

Questa riflessione di Stefano Puddu Crespellani che pubblichiamo volentieri parte dall’esigenza di una nuova legge elettorale sarda che superi l’attuale legge truffa. Come manifesto sardo abbiamo aderito alle iniziative a sostegno delle ragioni del No alla “deforma” della Costituzione tentata da Renzi e siamo da sempre impegnati per l’approvazione di una legge elettorale proporzionale e democratica insieme ai Comitati sardi per la democrazia costituzionale e al Costat. Quando abbiamo dato battaglia in Tribunale e al Consiglio di Stato nel 2014, e con un ricorso presentato al Tar a marzo del 2019, non abbiamo avuto successo e senza troppo sostegno dai partiti della sinistra e indipendentisti non ci siamo arresi. Notiamo però con curiosità che chi oggi propone proposte di nuove leggi elettorali, lo fa nella solitudine della sua lista elettorale, proponendo pacchetti già preconfezionati e senza il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati e impegnati (red).

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Agli inizi di settembre, è stata presentata da Liberu una proposta di Legge di Iniziativa Popolare per la riforma della Legge elettorale sarda, già commentata su queste pagine da diverse voci autorevoli.
Se, come è stato detto da alcuni, il primo merito della proposta è quello di smuovere le acque della politica isolana, da tempo stagnanti, la cosa migliore che possiamo fare è proprio discuterne.
Non necessariamente per incensarla e neppure per silurarla, bensí per ragionare sulle caratteristiche che vorremmo vedere riflesse nel meccanismo elettorale, cruciale nel determinare il funzionamento della democrazia rappresentativa.
C’è consenso generale sul fatto che l’attuale Legge sarda agisca come tremendo fattore di distorsione della dinamica politica, e su questo non vale la pena dilungarsi. Di certo, costituisce uno dei motivi di disaffezione ai partiti, e perfino di dissuasione rispetto all’esercizio del proprio diritto di suffragio: se il mio voto non conta, a che pro votare?
Sappiamo, peraltro, che le leggi elettorali vengono fatte per proteggere i partiti molto più che gli elettori. Partiti che danno istruzioni ai propri rappresentanti per farle approvare oppure no. Gli eletti, dunque, non rispondono tanto agli interessi dei cittadini che li hanno votati, quanto agli interessi del partito che ha scelto di candidarli.
Sarà così anche nel caso di una proposta di Legge di Iniziativa Popolare, che in ogni caso verrà discussa —non so se modificata e ancor meno se approvata— dal Consiglio Regionale attuale.
Certo, il fatto che l’iter legislativo sia spinto da una iniziativa popolare è una bella cosa.
Molto meglio sarebbe stato che la proposta stessa fosse il risultato di un confronto pubblico, più che trattarsi di un pacchetto preconfezionato, a cui non resta altra scelta che aderire, o dissociarsi. Tra l’altro, non si è potuto ancora leggerne l’articolato, per cui le valutazioni si basano su ciò che è stato detto e scritto in fase di presentazione dell’iniziativa.
Da questo punto di vista, la proposta Liberu è una occasione persa, sia per costruire alleanze, sia per lavorare insieme al miglioramento di una proposta sui cui far convergere la maggior quantità di consensi.
La sensazione è che si tratti dell’ennesima falsa partenza, che impedisce di avanzare compatti, per ragioni di pura impazienza, nella migliore delle ipotesi.
Il problema da affrontare, non dimentichiamolo, è una crisi della rappresentanza tremenda: la metà dell’elettorato non vota, e della metà che vota, una percentuale molto alta è di natura clientelare. Questo cimitero democratico viene considerato un dato fisiologico delle società attuali, una valutazione tanto aberrante quanto il fatto in sè.
Occorre ripensare seriamente quale dev’essere il patto di reciprocità tra l’elettorato e gli eletti —che non sono certo una categoria religiosa, ma del tutto terrena—.
Tornando alla proposta Liberu, il punto di partenza —il ripristino del proporzionale— è giusto e doveroso: una testa, un voto, e i voti devono pesare uguale sulla bilancia democratica. Idem per riportare a livelli ragionevoli le percentuali di sbarramento alle liste.
A sua volta, il numero di firme per la presentazione di nuove liste politiche non deve essere dissuasorio, ma semplicemente garantire che si tratti di una decisione ragionata e con il consenso sufficiente per concorrere a una competizione elettorale.
Un secondo elemento caratterizzante è quello di eliminare le coalizioni di liste che afferiscono a un/una candidato/a presidente: ogni lista, invece, insieme ai candidati presenta il proprio presidente, e questo insieme di elementi è inscindibile.
Oltre a eliminare i pasticci del voto disgiunto, questa ipotesi avrebbe il pregio di restituire ai programmi i loro giusto valore, e di limitare il peso delle liste civetta, quindi del voto clientelare e “familista”.
Fin qui, le cose condivisibili.
I principali punti critici sono due: il primo, la proposta di collegio unico; il secondo, il perdurare del premio di maggioranza.
Prima di entrare nel merito di questi due punti, vale la pena accennare ad alcuni aspetti che sono complementari, ma non per questo irrilevanti.
La possibilità di cui dispone la Sardegna, di legiferare sul tema della legge elettorale, dovrebbe spingerci a una maggiore ambizione innovativa, nel formulare la proposta; potremmo usare le prerogative che ci sono proprie per cercare di migliorare il “patto politico” nel suo insieme.
In particolare, è importante che le forze politiche siano messe nelle condizioni di realizzare efficacemente il proprio lavoro; così come è importante fare il possibile perché ogni individuo chiamato al voto possa esercitare questo diritto.
Per esempio: non si vede per quale motivo i rimborsi elettorali non debbano andare, indistintamente, a tutte le forze politiche che hanno concorso alle elezioni e ottenuto voti. Tanti voti, tanto rimborso; né più né meno. A prescindere dal fatto di aver eletto rappresentanti.
In questo modo, una sconfitta elettorale non impedirebbe di continuare a svolgere delle attività politiche, che raramente si possono realizzare senza risorse economiche.
Favorire il voto di tutti gli elettori è particolarmente importante per le comunità, come la nostra, che hanno tanti membri che vivono lontani dal proprio territorio.
Una nuova legge elettorale sarda potrebbe attivare un censimento specifico per le sarde e i sardi che vivono fuori dall’isola; in questo modo si potrebbe predisporre una modalità di voto elettronico per questo collettivo, con le dovute garanzie di sicurezza, ormai ampiamente sperimentate; questo permettebbe di rimettere in gioco una risorsa importantissima per la trasformazione dell’Isola.
Si tratta di semplici suggestioni per cercare di pensare alla legge elettorale non come un puro meccanismo di distribuzione delle posizioni di potere che scaturiscono dal voto, ma come un sistema complesso per riportare ad uno stato di salute il sistema di rappresentanza, da decenni in fase terminale.
La trasparenza finanziaria delle campagne potrebbe esserne un altro corollario, anche questo da discutere e approfondire.
Torniamo però ai punti critici della proposta Liberu, cominciando per il collegio unico.
I votanti sardi, è vero, non sono molti; i territori, però, sono molto diversi tra loro, e non solo per numero di abitanti. L’obiettivo a cui tendere sarebbe la tutela dei territori con minore densità di popolazione e maggiore specificità di problematiche.
Non appare tanto chiaro, sul piano intuitivo, che un collegio unico possa favorire candidati galluresi, o ogliastrini, per fare un esempio. Ci vorrebbero “ordini di scuderia” molto precisi, per convogliare su un certo candidato anche i voti di territori più popolosi. Questo, ovviamente, tenderebbe a favorire i partiti più strutturati, e meno i processi di aggregazione territoriale “dal basso”.
Si tratta, insomma, di una ipotesi azzardata, che andrebbe soppesata attentamente. Esistono precedenti, in tal senso, di cui si possano studiare i risultati, anche da altre parti?
Per ciò che riguarda, poi, il premio di maggioranza, c’è qui un problema d’impostazione difficilmente superabile, anche per le cifre di cui si parla (a partire dal 25% dei voti alla lista vincente, verrebbe regalato un altro 25%, fino a superare il 50%). Lascia o raddoppia è davvero un criterio da rischiatutto, incompatibile con una idea di rappresentazione minimamente seria e consistente.
Quel che di buono vi era nell’idea che una sigla si presenta con un programma, sulla base del quale chiede il voto, viene cancellato da questa clausola da gioco d’azzardo, per cui ogni mezzo diventa lecito per arrivare al quorum con cui si può vincere la lotteria.
Si capisce che l’obiettivo è quello di favorire chi ha ricevuto più consensi, nel dargli maggiori strumenti per realizzare il programma per cui è stato votato; ma esistono forse altri metodi, più fisiologici, per raggiungere l’obiettivo. Per esempio, la legge d’Hontd, usate in altri sistemi elettorali, prevede che, ad ogni candidato eletto, il numero di voti necessari per eleggere il successivo all’interno di una stessa compagine diminuisce.
Un altro criterio —discutibile anch’esso— sarebbe quello di conteggiare i voti non emessi, e ridistribuirli tra le diverse candidature in proporzione ai loro risultati: chi ha raccolto più voti, avrà un “premio” proporzionale alla quota di voto ottenuto; un po’ come se si trattasse di proiettare su chi non ha votato le preferenze di chi lo ha fatto.
In realtà, bisognerebbe esigere ai politici maggiore capacità di negoziare accordi, in sede parlamentare. Se finora hanno dimostrato di non averla, bisogna anzitutto chiedersi per quale ragione l’elettore non ha il potere contrattuale sufficiente per cambiarli.
Si tratterebbe, infine, nel caso sardo, di pensare sempre più al Consiglio Regionale come a un vero e proprio Parlamento, con tutte le sue prerogative. È un obiettivo ambizioso, che presuppone un cambiamento profondo della nostra politica; ma se aspiriamo ai massimi gradi di autogoverno e di autodeterminazione, non possiamo chiederci di meno.
Occorre dunque pensare bene, insieme, una proposta di legge elettorale che ci consenta di aprire una strada in quella direzione.

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