Dai fatti di Reggio Emila all’antifascismo di oggi

9 Luglio 2023

[Graziano Pintori]

I fatti di Reggio Emilia del luglio 1960 sono ricordati per l’uccisione di cinque antifascisti dalla polizia di Tambroni, i quali manifestavano con centinaia di altri lavoratori contro lo svolgimento del congresso del MSI di Almirante a Genova, ritenuta una provocazione nei confronti della città ligure medaglia d’oro alla Resistenza.

Quel fatto cruento, che oggi ricordiamo, ci da l’opportunità di riflettere se esiste un parallelismo tra l’antifascismo storico e quello odierno. Oggi viviamo in un sistema sociale globalizzato, dominato da un’economia aggressiva e avviluppato in una rete digitalizzata, da cui è impossibile decontestualizzarsi. Si tratta di una realtà completamente capovolta rispetto agli anni del dopoguerra, tanto è che c’è da chiedersi se l’antifascismo di oggi abbia ancora ragione di far parte dei nostri ideali, nonostante il regime mussoliniano sia caduto il 25 luglio di ottant’anni fa.

Quelli della mia generazione possono testimoniare che fascismo e antifascismo sono stati presenti, senza soluzione di continuità, in tutti i contesti, soprattutto durante le lotte civili che hanno caratterizzato funestamente la storia della Repubblica. Claudio Pavone scriveva “Mai fatto i conti con il fascismo!” Infatti, rispetto al ventennio fascista è stata presente nello Stato repubblicano una continuità nei ruoli istituzionali: dopo la Liberazione molti ex fascisti furono reintegrati nei loro ruoli di responsabilità ritardando il processo democratico nelle istituzioni, e, molti di questi, continuarono a tramare prima e durante gli anni neri della strategia della tensione.

Il partigiano Aldo Tortorella ricorda: “Dopo la caduta del fascismo, gli arrestati partigiani e antifascisti superarono di numero quelli condannati dai tribunali speciali fascisti”. Un modo per dire che l’amnistia di Togliatti fu un’esigenza di pacificazione i cui effetti sortirono un perdono generalizzato di molti criminali fascisti, i quali sfuggirono ai processi mentre partigiani e antifascisti li subirono e pagarono come una colpa, le loro scelte.

Il fascismo che sia sempre presente negli interstizi della nostra società lo conferma anche lo storico Mauro Canali: “Il fascismo è una categoria della società moderna in cui i partiti, le forze sociali devono cercare fermamente la convergenza e l’unità d’intenti perché non è vero che il fascismo sia morto, è una continua e reale insidia di ogni democrazia”. Queste affermazioni ci impongono una riflessione sul ruolo effettivo dell’antifascismo nel sistema democratico repubblicano e, di conseguenza, nella difesa dei valori fondamentali della nostra Costituzione.

A questo riguardo c’è da chiedersi quale impegno ha posto la sinistra, o centro sinistra che dir si voglia, per la difesa degli argini democratici, i quali con il trascorrere del tempo hanno ceduto alle manipolazioni della destra in doppio petto e no, e in seguito subire l’inquinamento dalla paura, dall’odio per il diverso, dal disprezzo della vita dei democratici e delle regole che governano le società. La demagogia post-fascista è prevalsa sui cattivi governi che si sono alternati durante la prima, la seconda e anche la terza repubblica, fino all’odierno governo Meloni: la prova inconfutabile di quanto affermato finora. C’è da chiedersi, a questo punto, cosa è stato l’Antifascismo fino a oggi? E la Costituzione? Dov’è la Costituzione?

Quella mai fruita, perché mai realizzata fino in fondo e continuamente sotto attacco per essere stravolta. Nella storia dell’antifascismo tanti sono stati i caduti davanti al fuoco della polizia, e non solo, per esercitare il diritto di manifestare le proprie idee: soprattutto quelle contro il fascismo e gli abusi antidemocratici, come avvenne a Reggio Emilia nel ’60 e Avola nel ’68. Avola è significativa perché costituì il pretesto per chiedere il disarmo della polizia durante le manifestazioni: un modo per iniziare a defascistizzare non solo quel corpo militare, ma anche le istituzioni statali.

Pasolini scriveva: “nascerebbe nel poliziotto disarmato una nuova consapevolezza dei propri diritti civili un poliziotto socialdemocratico, appunto, anziché fascista. Che non è poco”. Pensiamo come sarebbe cresciuta l’Italia se Prefetti, Questori, Giudici, Manager delle industrie statali e parastatali, Università, Presidi e insegnati fossero stati tutti sinceramente antifascisti, se non altro per aver giurato sulla Costituzione prima di assumere l’incarico ricevuto. Avremmo avuto, per parafrasare Pasolini, uno Stato più orientato verso la socialdemocrazia piuttosto che sul modello fascista.

Oggi, anche rispetto al passato, viviamo in una condizione quasi paradossale, l’esempio ci arriva dalla città di Grosseto. In questi giorni circa duemila cittadini hanno presentato le loro firme al Prefetto, per opporsi alla decisione del sindaco di voler dedicare una via a Giorgio Almirante (fascista e noto fucilatore di partigiani, persecutore degli ebrei e fondatore del MSI – Fiamma Tricolore -simbolo presente nella bandiera di Fd’I).

Il paradosso sta nel fatto che tale via dovrebbe essere indicata alla destra di un’altra via dedicata alla Pacificazione, alla sinistra della quale una via è già intitolata a Enrico Berlinguer. Si tratta di un esempio in cui si renderebbe concreto un programma politico topografico molto caro alla destra. Un’altra pacificazione, ovverosia la stretta di mano simbolica e storica tra combattenti per la libertà e chi questa libertà l’ha negata: un obiettivo pseudo politico, fortemente voluto dalla destra, teso ad annacquare la storia della dittatura del ventennio e rendere più marginale il ruolo della Resistenza e dell’antifascismo, nella costruzione della Repubblica Italiana.

La pacificazione così intesa sarebbe uno schiaffo sonoro all’antifascismo ancora vivo nelle coscienze di milioni di italiane/i, un patrimonio ideale, culturale e civile che non può essere sacrificato sull’altare costruito dalla destra post-fascista per onorare una falsa pacificazione, tesa a rarefare la storia contemporanea. Dico questo anche perché mi corre l’obbligo di ricordare l’impegno dell’Anpi sul fronte dell’antifascismo e della difesa della Costituzione, un impegno instancabile che l’Associazione partigiana porta avanti da sempre e, in modo particolare dal 2006, quando aprì le iscrizioni anche a chi partigiano combattente non lo è stato.

I partigiani combattenti vengono sempre meno per questioni fisiologiche, quindi con la loro scomparsa non può l’antifascismo militante finire in un cantuccio della storia e con esso l’idea di continuare la lotta per attuare la Costituzione nata dalla Resistenza. Oggi sono oltre 140 mila gli iscritti all’Anpi, sono i partigiani dei partigiani, i partigiani per la libertà che si permeano con l’antifascismo in opposizione ai mille volti assunti dal fascismo, sempre pronto a insidiare e stravolgere i principi costituzionali e il sistema democratico della Repubblica.

La pacificazione voluta dalla destra è quel filo nero che congiunge il neofascismo al progetto del governo in carica, ovverosia creare una sintonia basata su una nuova cultura della destra meloniana, tesa a legittimare le proprie radici fasciste. Insomma, parliamo di una via verso la pacificazione pelosa e fascistoide che, purtroppo, certi partiti mascherati di progressismo condividono; mentre altri, invece, accidiosamente e sottilmente piccoli borghesi e fascisti, voltano lo sguardo da tutt’altra parte per non esprimersi apertamente.

È lo stesso atteggiamento che vedo in tante forze politiche davanti all’orrore della guerra tra russi e ucraini, in cui tutti si dicono contrari al conflitto, però nessuno dice no all’invio di armi che alimentano il protrarsi della guerra stessa. Tutti parlano di pace, però nessuno, escluso il Vaticano, si attiva concretamente in questo senso. La stessa interstiziale ipocrisia politica è palpabile anche sulla questione dei migranti.

Questa introduzione diverrebbe ancora più lunga se dovessi inoltrarmi sui diritti costituzionali negati: vedi lavoro, sanità, scuola, questioni etiche sulla omo – genitorialità, famiglie arcobaleno e via discorrendo. Torniamo, quindi, subito ai motivi dell’evento odierno. Ossia chiarire se l’antifascismo di oggi, davanti all’odissea politica descritta finora abbia motivo di essere ancora esercitato con forza e decisione, come fu negli anni del dopoguerra. Chiedo questo ponendo l’accento sulla Costituzione, che come ben sappiamo, è il prodotto di una coscienza antifascista, quindi, nel momento in cui la difendo sto esercitando un atto antifascista.

In questo modo voglio dire che l’antifascismo è sempre attuale, infatti, se volgiamo lo sguardo verso il nostro ordinamento democratico, sempre sottoposto, ripeto, a duri attacchi e in certi frangenti si ha la sensazione che sia sospeso dal contesto sociale significa, che l’antifascismo militante continua a essere necessario. Significa che i valori ereditati dalla Resistenza, cioè democrazia, sovranità popolare, lavoro, uguaglianza, ripudio della guerra e via discorrendo, a oggi, in tempi di internet, non hanno trovato alternative, non ci sono elementi in grado di sostituirli.

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