Un muro da abbattere per liberare il futuro

9 Luglio 2023

Il Muro israeliano sulle terre di Bilin, in Cisgiordania

[Aldo Lotta]

Sull’ultimo numero della rivista online Zeitun è possibile trovare un articolo che parla del coro palestinese Amwaj, in questi giorni in tournée in Italia.

Una vera perla del celebrato repertorio artistico della compagine è l’opera lirica Amal — Oltre il muro, basata sul romanzo The Oil’s Secret Tale, scritto in carcere dal prigioniero palestinese Walid Daqqah. L’autore, imprigionato nel 1986 a 23 anni, è tuttora detenuto, nonostante sia in fin di vita a causa di un cancro che lo divora da almeno 8 anni e nonostante le numerose istanze per la scarcerazione anche da parte dei medici del servizio carcerario israeliano (qui l’articolo).

Un ulivo secolare, uno dei protagonisti della storia, spiega:

Duemila anni, un tempo molto lungo.

– Un tempo pieno di storia. Che storia, la storia di chi? Duemila anni. Waq’t taweel k’teer – per molto tempo ho vissuto in pace e libertà, in tempo di guerra e di sconvolgimenti.

– Duemila anni — un tempo molto lungo.

– Ho incontrato ebrei e greci e romani e arabi, crociati e soldati, contadini e mandriani.

– Ho incontrato ragazze e ragazzi, saggi e sciocchi, coraggiosi e forti, felici e tristi.

– Ho incontrato uomini e donne che lavorano, si amano, si baciano, combattono e lottano per la vita.

– Duemila anni – una vita molto lunga.

– Ma non avevo mai visto un muro prima.

Quando il muro impedisce ad Amal e ai suoi fratelli di far visita al padre in prigione oltre il muro, gli animali si uniscono per aiutarli. Idee e tentativi si alternano: scavare un tunnel sotto il muro? Volarci sopra? Ingannare le guardie? I loro migliori sforzi falliscono, ma un ulteriore complice offre aiuto: l’ulivo secolare.

Bambini”, dice, ho sentito la vostra storia e ho visto le vostre lacrime. Vi aiuterò. L’olio dei miei frutti è magico. Raccogliete le mie olive e ungetevi con il loro olio. Vi renderà invisibili e vi permetterà di intrufolarvi nella prigione e incontrare vostro padre. Insieme a lui libererete il prigioniero più anziano”. Amal chiede: Chi è il prigioniero più anziano?” Ma l’albero risponde solo: Dovete scoprirlo”.

Il piano funziona. L’olio magico dell’antico albero consente loro di raggiungere l’altro lato del muro, entrare nella prigione e trovare il padre. Per tutto il tempo, si chiedono se sia lui il prigioniero più anziano da liberare. Ma non è lui. Scoprono che il prigioniero più antico ed estremo dell’ingiustizia è il futuro.

Attraverso la loro perseveranza, libereranno il futuro.

Questa deliziosa (e struggente se pensiamo alle vicende dell’autore) testimonianza artistica ci richiama ad un’attualità storica e politica stringente e lacerante, che riguarda tutti noi e non solo i nostri vicini della sponda sud di un mare comune. E ci riguarda non solo per la eclatante, gravissima complicità del nostro governo coi crimini contro l’umanità da parte di Israele.

Ci riguarda in quanto autori – spettatori di una cancellazione del futuro, indifferenti a prospettive possibili di vita, di sviluppo etico, sociale, politico per noi e per i nostri figli. La gelificazione del presente in cui la nostra miopia, adulazione e perseguimento del successo qui ed ora, è frutto di una chiusura rispetto al passato (o, sul piano spaziale, alle vicende tragiche di chi fugge da guerre o subisce orrende oppressioni in patria). Sempre più sordi quindi ad insegnamenti del passato: sia misere tragedie che risvegli esaltanti (recentemente qualcuno, riferendosi alla costituzione, mi ha detto che “è ormai troppo vecchia: sono passati 75 anni!”).

Questo vivere, in termini maniacali, nella frenesia immobile di un eterno presente, non ci consente di vedere oltre un limite molto prossimo, oltre le immediate e spesso futili opportunità del momento. Anche noi, dunque, viviamo circondati da un muro e i “mattoni” sono fatti di indifferenza, non conoscenza e paura (cinicamente e scientificamente indotta da una politica fondata sull’odio) dell’altro, da cui ci facciamo facilmente pervadere.

La Sardegna rappresenta un interessante modello di questa fenomenologia: oggi la nostra regione sembra vivere, subire, alla stregua di un mefitico microcosmo-laboratorio, un concentrato di mali, frutto di un neoliberismo spinto e spietato. Vorrei solo ricordare la recentissima vicenda del ministro Crosetto (definirlo ministro della guerra e delle armi non credo sia del tutto inappropriato):

Non ci sarà «nessuna riduzione della presenza militare in Sardegna». Così ha chiosato, in Parlamento, il ministro della Difesa Guido Crosetto rispondendo a un’interrogazione di Francesca Ghirra – deputata cagliaritana di Alleanza Verdi e Sinistra – sulla ridefinizione delle servitù militari per ridurre l’impatto ambientale delle esercitazioni sull’isola.

Parole gravissime nel loro peso sprezzante e autoritario, pronunciate da un eletto, in un’assemblea parlamentare, dove le istanze della popolazione devono essere necessariamente ascoltate (non solo “sentite”!) e i principi della Costituzione, con in testa i diritti fondamentali alla salute e alla vita delle persone, non possono che essere salvaguardati.

Ma la cosa più grave è che non sembrano emergere quegli auspicati segnali forti di indignazione, quel boato di Noproporzionati alla forza dirompente della necropolitica istituzionale, carica di violenza, imposta alla nostra isola. Il nostro territorio possiede il 65% delle servitù militari della nazione, al servizio di continue esercitazioni con “fuoco vivo” e sperimentazioni di nuovi, sempre più micidiali armamenti (italiani, NATO, extra-NATO). Tali attività, insieme a quelle industriali e alle mancate bonifiche, con i loro connotati di malattia e morte (vedi lo studio dei medici per l’ambiente dell’ISDE locale), sono una fonte di dimensioni agghiaccianti  di inquinamento anche radioattivo (in alcune zone  è stato accertato un rischio almeno tre volte maggiore di mortalità e morbosità per le malattie cardiache e eccessi per patologie respiratorie e digerenti, del sistema urinario e tumorali).

Inoltre, hanno trasformato questo “angolo di paradiso naturale” al centro del Mediterraneo in un infernale fucina di conflitti armati, attuali e futuri (e quindi, allo stesso tempo, potenziale obiettivo di ritorsioni). Uno dei tanti esempi è la produzione, programmata o in fieri, da parte della RWM dei droni killer israeliani, che fanno quotidianamente scempio, tra l’altro, di civili palestinesi penetrando anche nelle loro case. Come superare dunque il muro tragico della “non-conoscenza” e del “non-curarsi-di” per non essere complici, noi sardi, del declino della nostra isola? Ecco che il fare poetico, la comprensione che nasce dalle emozioni può aiutarci a demolire il muro di indifferenza.

Walid Daqqah ci offre uno strumento “magico” che abbiamo a portata di mano: rivolgersi al passato, (l’ulivo secolare rappresenta per i palestinesi il simbolo e il fulcro delle tradizioni indelebili), raccogliere il frutto delle esperienze, anche le più dure, e utilizzare quanto di più prezioso ha aiutato noi e chi ci ha preceduto a superare le difficoltà. In particolare, la solidarietà (nel suo significato più puro e originale di apertura all’altro-da-noi, senza confini di nessun tipo) che va oltre le scellerate divisioni narcisistiche e consente, attraverso le azioni pacifiche, collettive, estese all’intera società civile, di pretendere la realizzazione dei principi fondamentali della nostra Costituzione e dei Diritti Universali dell’Uomo.

Ciò per fare di questa isola un laboratorio pacifico di crescita civile. E, soprattutto, per liberare il nostro futuro.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI