Il successo dello Sinn Fein tra questione nazionale e questione sociale

16 Febbraio 2020

Sinn Fein leader Mary Lou McDonald celebrates with supporters after topping the poll in Dublin central at the RDS count centre in Dublin, Ireland, Sunday, Feb. 9, 2020. (AP Photo/Peter Morrison)

[Andrìa Pili]

James Connolly, socialista irlandese, tra i leader della fallita Rivolta di Pasqua del 1916, ammoniva che “cacciato l’Esercito inglese e issata la bandiera verde sul Castello di Dublino, i nostri sforzi sarebbero vani, se non venisse costruita la Repubblica Socialista” (1897). Connolly identificava la causa della nazione irlandese con la causa del lavoro, giacché soltanto la classe lavoratrice dell’isola avrebbe potuto essere una solida base per una Nazione libera (1916); altrimenti, il capitalismo inglese avrebbe continuato a dominare l’Irlanda, anche in un contesto di indipendenza formale.

Guardando la storia dell’Eire (Biagini 2014) queste riflessioni possono, per certi aspetti, apparire come profetiche: una Repubblica prima di stampo conservatrice – governata da una classe politica “aristocratico-borghese” e con un welfare insufficiente – poi neoliberale, con una politica economica incentrata sull’attrazione di investimenti stranieri grazie a un regime fiscale favorevole alle multinazionali e ai bassi salari. Inoltre, l’influenza della Chiesa Cattolica ha colpito duramente i diritti civili, in particolare delle donne (il divorzio è legale soltanto dal 1995; ancora più recente, nel 2018, il diritto d’aborto). I partiti dominanti la scena politica del Paese sono stati il liberaldemocratico Fianna Fail e il democristiano Fine Gael, alleato dei laburisti. Il successo dello Sinn Fein – partito membro della Sinistra Europea, il cui obiettivo massimo è la realizzazione di una Repubblica Socialista, entro un’Irlanda riunificata – alle elezioni generali dello scorso 6 febbraio, potrebbe segnare il passaggio a una nuova fase storica. Si tratta del culmine di un processo iniziato circa un ventennio fa; lo SF – partito storico, rifondato nel 1970 come riferimento della comunità gaelica delle Sei Contee (Irlanda del Nord) rimaste sotto dominazione britannica e fazione politica dell’IRA (l’Esercito Repubblicano Irlandese) – è stato a lungo marginale nella Repubblica sino agli accordi del Venerdì Santo del 1998. Con la pace nel Nord e il progressivo disarmo dell’ala militare, il partito promosse un’immagine di sé slegata dal conflitto armato, diventando il partito preferito dai giovani tra i 18 e i 24 anni. Tuttavia, la sua ascesa iniziò soltanto a partire dalla crisi economica del 2007-08.

Lungo la sua storia, l’Irlanda è stata sia una grande speranza per una rivoluzione socialista in Europa che un modello capitalista. Marx (1870), vide nell’indipendenza irlandese il possibile detonatore di una rivoluzione in Inghilterra; infatti, non solo nell’isola erano fondati gli interessi dei proprietari terrieri inglesi ma lo sfruttamento dei lavoratori irlandesi e la loro razzializzazione erano servite a creare una competizione tra essi e i proletari inglesi. Dagli anni’90 l’avvento della “Tigre Celtica”, ritenuta esemplare per il suo tasso di crescita, ha fatto dell’isola un modello di neoliberismo; tuttavia, dietro la facciata di un innegabile sviluppo, vi sono notevoli contraddizioni riguardanti la diseguaglianza sia a livello regionale (la parte meridionale è tra le regioni europee con il più alto PIL pro capite, al contrario del Nord-Ovest della Repubblica – Eurostat 2019) che a livello sociale (in termini di accesso alla sanità e all’istruzione pubblica – Kirby 2010) oltre a un ampio divario tra il totale del prodotto interno e quanto prodotto con capitale nazionale (Blanchard 2011). Inoltre, l’Irlanda è indicata dagli economisti come caso da manuale dei piani per la riduzione del debito pubblico: negli anni’80 il Paese sperimentò i due tipi di austerità previsti – uno basato sull’aumento delle tasse e l’altro, quello più efficace, di “austerità espansiva”, basato sulla riduzione della spesa pubblica (Blanchard 2011, Alesina-Favero-Giavazzi 2019) – e recentemente è uscito da una situazione critica attraverso un nuovo piano, sostenuto dal FMI e dall’UE, con tagli alla spesa pari al 11% del PNL fra il 2010 e il 2014, toccante sanità, istruzione, assistenza sociale.

La crisi economica si creò a seguito dello scoppio della bolla immobiliare, alimentata dai prestiti facili concessi dalle banche all’edilizia, il cui sviluppo ha alimentato una grande speculazione. Esauritasi questa, gli istituti di credito, non riuscendo più a recuperare i capitali prestati, fallirono, costringendo lo Stato a intervenire per “salvare” i depositi e garantire le obbligazioni sottoscritte con l’estero. In questo modo, la crisi economica è presto diventata crisi del debito pubblico, il cui rapporto con il PIL crebbe a un tasso esorbitante (toccando il picco del 120% nel 2012, mentre era solo del 24% nel 2007); dopo l’applicazione di nuovi piani di austerità, oggi il rapporto debito/PIL è di circa il 65% (Ceic 2018). Nel 2013 la situazione si è quindi ristabilizzata, sebbene il livello di disoccupazione e di diseguaglianza rimangano ancora sopra i livelli precrisi (World Bank 2015 e 2018). Chi ha pagato i piani di riaggiustamento fiscale? Quesito cruciale per spiegare l’ascesa dello SF e il calo di consensi per il FG, sotto i cui governi di Kenny e Varadkar l’isola era ritornata a tassi di crescita del PIL superiori al tasso del 2007. Lungo gli ultimi tredici anni lo SF si è trasformato da partito marginale della Sinistra radicale (2.5% dei voti nel 1997, 6.5% nel 2002 e nel 2007) a partito della Sinistra (9.9% nel 2011; 14% nel 2016; 24.5% nel 2020), capace di proporre un’alternativa al bipartitismo neoliberale sino a conquistare, oggi, la maggioranza relativa dei voti.

Il programma elettorale dello Sinn Fein, in particolare il suo progetto economico, si è rivolto ai lavoratori e alle loro famiglie per un voto “di cambiamento”, richiamandosi ai valori del 1916, per la costruzione di una Repubblica egalitaria ove regni la giustizia sociale. Il manifesto si focalizza sull’instaurazione di uno Stato sociale, capace di sostenere nuove politiche abitative (notevole la crescita dei senza tetto, +280% dal dicembre 2014 al dicembre 2019 – Focus Ireland 2020), investimenti per istruzione e sanità gratuite, un sistema pensionistico. Al fine di rafforzare i diritti dei lavoratori e il loro potere contrattuale si è richiesto un salario di sussistenza, affinché ogni lavoratore possa vivere con dignità ed essere un cittadino attivo. Insomma, si tratta di un programma che tocca gli interessi materiali della parte sociale più debole, la più colpita dall’austerità. Inoltre, potremmo definire come eurocritico il suo atteggiamento nei confronti dell’Unione Europea; infatti, pur riconoscendo i benefici ricevuti, si ritiene che l’attuale impostazione – definita il “Bruxelles consensus”, di cui i partiti avversari sarebbero stati gli “yes men” – sia da riformare, per un’Europa democratica, in favore degli interessi della maggioranza.

La questione sociale è stata, a mio parere, la componente più importante rispetto alla questione nazionale; considerato, appunto, che l’ascesa del partito comincia prima del referendum sulla Brexit. Quest’ultimo e l’uscita definitiva del Regno Unito dall’Unione Europea, tuttavia, riapre la questione della riunificazione, data la vittoria del Remain nell’Ulster e i rapporti economici fra le due parti dell’isola, che si ritrovano separate da un confine prima valicabile.

La presidente dello SF, Mary Lou McDonald, ha posto la convocazione di un referendum per l’Irlanda Unita nel 2025 come condizione per un governo di coalizione. Tuttavia, sia il FF che il FG hanno dichiarato la propria indisponibilità a condividere il governo con la sinistra repubblicana, che può contare su 37 seggi su 160 contro i 73 dei rivali. Comunque sia, come ha detto la McDonald, il referendum – la cui richiesta in entrambe le parti dell’isola è prevista dagli accordi di pace del 1998 – sembra essere nella “direzione di viaggio” del Paese, dati gli avvenimenti più recenti. Si tratta di un viaggio che, seguendo gli insegnamenti di Connolly, dovrà tener conto dell’intreccio fra l’emancipazione nazionale e l’emancipazione sociale degli irlandesi.

Riferimenti

Alberto Alesina, Carlo Favero, Francesco Giavazzi, “Austerità. Quando funziona e quando no”, Rizzoli (2019)

Eugenio F.Biagini, “Storia dell’Irlanda dal 1845 a oggi”, Il Mulino (2014)

Olivier Blanchard, Alessia Amighini, Francesco Giavazzi, “Macroeconomia. Una prospettiva europea”, Il Mulino (2011)

Ceic 2018: https://www.ceicdata.com/en/indicator/ireland/government-debt–of-nominal-gdp.

James Connolly, “Socialism and Nationalism” in Shan Van Vocht, gennaio 1897

James Connolly, “The Irish Flag” in Workers’ Republic, 8 Aprile 1916

Eurostat 2019:

https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=GDP_at_regional_level.

Focus Ireland 2020: https://www.focusireland.ie/resource-hub/about-homelessness/.

Peader Kirby, “Celtic Tiger in Collapse. Explaining the Weakness of the Irish Model”, Palgrave Macmillan (2010)

Karl Marx, “Le Conseil General au Conseil Federal de la Suisse Romande“ (1870), in “ The General Council of the First International”, Progress Publishers (1966)

Sinn Féin General Election Manifesto 2020 – “Giving Workers and families a break. A Manifesto for Change”: https://www.sinnfein.ie/files/2020/SF_GE2020_Manifesto.pdf.

World Bank: https://data.worldbank.org/country/ireland.

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