La parabola della formazione professionale

16 Maggio 2007

di Nicola Imbimbo

La maggioranza di centrosinistra ha inserito nella legge finanziaria nazionale una norma che innalza l’obbligo scolastico a 16 anni superando quella norma della “riforma” Moratti che comprendeva in unico ambito scuola secondaria e formazione professionale. La riforma Moratti consentiva a ragazzi di 14 anni di proseguire l’impegno scolastico non solo nella scuola secondaria, ma nella formazione professionale. Norma che ha fatto, nei pochi anni in cui è rimasta in vigore, non pochi danni.
Le Regioni, che in base alla costituzione hanno competenza primaria in materia di formazione professionale, hanno attuato la riforma Moratti su quella infausta norma secondo due modelli:
a) istituendo corsi triennali destinati ai ragazzi che uscivano dalla scuola media e che non sceglievano la scuola secondaria;
b) prevedendo comunque l’iscrizione presso una scuola, che avrebbe dovuto arricchire la sua offerta con i moduli della formazione professionale, e solo l’anno successivo iscriversi a un centro di formazione professionale.
Le regioni di centro sinistra hanno scelto per lo più questo secondo modello di “integrazione”, sia pure sperimentale, tra i due sistemi formativi. La Sardegna, il suo governo di centro destra con Pili presidente, scelse, ovviamente, la soluzione peggiore: il primo dei due modelli ricordati. Più semplice, più dispendioso per la Regione, più deleterio e dannoso per l’istruzione dei giovani per la natura classista della scelta fatta dalla Moratti.
Il primo effetto di quelle scelte comportò un’impennata del numero di ragazzi iscritti alla formazione professionale. Chiunque poteva mettere su una società e un corso di specializzazione. Non più corsi per cuochi o parrucchieri proliferati in anni non lontani, ma decine e decine di corsi di “informatica”. L’era tecnologica lo imponeva! Non si sono sottratti a quel tipo di corsi neanche molti dei tradizionali e blasonati enti di formazione. Insieme al “progetto” bisognava procacciarsi i clienti, almeno 15 per corso. Non era tanto difficile trovare ragazzi, vista la endemica incapacità della nostra scuola di ridurre se non abolire la dispersione scolastica, fertile terreno per catturare quei giovani che la scuola non sa attrarre e trattenere adeguatamente. Insieme al numero degli allievi aumentò il numero dei docenti: alcune migliaia, ovviamente in maggioranza precari, in aggiunta ai docenti, inizialmente un migliaio e ultimamente poco meno di 800, inseriti con una legge dell’89 in un albo regionale con garanzia non di lavoro ma di retribuzione.
Con la vittoria, nel 2004, del centro sinistra quel sistema non poteva continuare: l’istruzione e la crescita culturale per tutti era una scelta primaria e centrale del programma. Un segnale di discontinuità andava dato. Con decisione ma con la necessaria gradualità e democratica gestione.
Naturalmente dopo anni di ingenuo (o colpevole) invocare la “governabilità” anche a sinistra e che ha portato ad approvare leggi che danno enorme potere agli esecutivi, è stata scelta la via del decisionismo non quella della gradualità né la partecipazione democratica alla correzione di rotta.
C’è stata una lotta lunga e dura, per molti versi sacrosanta, di migliaia di persone che si sono ritrovate all’improvviso senza lavoro e soprattutto migliaia di ragazzi senza più il loro corso nella formazione professionale né un banco nella scuola, con le famiglie spesso disperate.
Uno scontro che ha visto da una parte la giunta regionale dall’altra sindacati, operatori del settore, enti di formazione, allievi e loro famiglie. Scioperi, manifestazioni, presidi sotto la sede della presidenza della Regione hanno caratterizzato la lunga vertenza. Oggi sono più o meno avviati a soluzione i problemi di sopravvivenza di molti operatori: prepensionamenti, mobilità verso gli enti locali (per fare cosa e con quali risorse e progetti delle Province che sono le principali destinatarie?), disoccupazione. In qualche modo si sta uscendo dalla drammaticità della situazione, non certo con molti morti e feriti ma con aggiustamenti e soluzioni spesso mortificanti e senza sicure prospettive. Queste scelte drastiche hanno creato un clima favorevole ad una svolta nella formazione professionale? Si vive nel settore, nel mondo del lavoro tra gli operatori e i giovani un nuovo clima? Non sembra. La giunta regionale presenta come panacea, lo ripetono più volte l’assessore al lavoro e il presidente della giunta nelle lunghe trattative-scontro durante la vertenza, il disegno di legge “Principi e norme per l’educazione, l’istruzione e la formazione professionale” approvato da qualche mese e trasmesso al consiglio regionale.
Si tratta di un disegno di legge che vuole affrontare tutti i problemi della scuola (e non solo). Un testo che sembra uscito sì da un qualificato centro studi, ma che tuttavia appare farraginoso e senza anima. E soprattutto senza aver suscitato alcuna eco nel dibattito politico culturale, né nel mondo della scuola né nella società né nel mondo accademico sardo. Al di là del merito sui diversi punti una cosa sembra chiara: la formazione professionale affonda e si confonde nel mare magnum di 45 articoli che vanno dalla scuola dell’infanzia ai criteri della definizione dei piani di edilizia per ogni ordine di scuola, dall’università della terza età alla formazione nella pubblica amministrazione, dalla conferenza regionale alle consulte regionali, senza parlare dei pur giusti obiettivi di lotta alla dispersione e mortalità scolastica.
La formazione professionale ha bisogno di ben altro e specifico impegno legislativo e di gestione.
Soprattutto dopo la modifica ricordata all’inizio contenuta nella finanziaria nazionale dell’innalzamento dell’obbligo scolastico a 16 anni. Questa norma è l’occasione da non perdere per ridefinire il sistema. C’è da sperare che la legge non venga presentata come allegato alla finanziaria in corso di approvazione in consiglio regionale e dia tempo alla commissione competente in consiglio di sentire e coinvolgere ampiamente interessi e interessati al problema. Va ripresa la discussione perché ora è possibile far uscire il settore della formazione professionale dalle ambiguità su cui da decenni e in particolare negli ultimi anni vive sul limite del sistema scolastico. Va riconosciuto il suo ruolo specifico che è quello di formazione della e alla professionalità nel lavoro. Solo riconoscendone la specificità e insostituibilità si può far uscire il settore dalla marginalità e precarietà soprattutto “quando si pretende possa costituire una seconda via (inevitabilmente diminuita) mentre acquista ben altra consistenza se assolve alla funzione di mediazione tra la cultura generalmente disponibile e la domanda di competenza espressa dal sistema economico”, come sostiene Benedetto Vertecchi nel suo La scuola disfatta (Franco Angeli editore 2006) e come auspica la Cgil nazionale in un suo recente seminario.
Occorre definire un sistema nazionale di formazione professionale nel pieno rispetto della competenza legislativa esclusiva delle regioni. La Regione Sardegna deve da subito attivarsi e concorrere alla definizione di tale piano nazionale. Nel frattempo vanno adottate norme transitorie che siano conseguenze di una seria riflessione sullo stato della formazione, sul trend del mercato del lavoro in Sardegna sui bisogni formativi e mettendosi alle spalle non solo la Moratti, ma ogni tentativo di camuffare il diritto dei giovani ai più alti livelli di scolarizzazione con precoci ed improbabili integrazioni formazione professionale – scuola.
La formazione professionale può e deve essere un passaggio necessario per l’ingresso nel mercato del lavoro e per quanti vogliono o debbono acquisire nuove professionalità per conservare o migliorare la propria condizione di lavoro.

1 Commento a “La parabola della formazione professionale”

  1. Franco Marras scrive:

    Nicola, con questo articolo, cerca di rimettere ordine rispetto alla reale situazione del sistema della FP in Sardegna. Di questo lo ringrazio. Spero che da questa riflessione possa partire un percorso che possa consentire di uscire dai luoghi comuni e dalle semplificazioni avendo come obiettivo la costruzione di un sistema educativo per la nostra Regione. Purtroppo, come fa notare Nicola, la strada che sista percorrendo con il DDL in discussione in commissione cultura del Consiglio Regionale non fa ben sperare.

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