Lo stupro

31 Agosto 2023

[Luana Seddone]

Al Philadelphia Museum of Art possiamo ammirare Le Viol di Edgar Degas, datato tra il 1868 e il 1869.

Rappresenta una donna con una sottoveste bianca sgualcita e cadente su una delle spalle, un mantello rosso le copre simbolicamente le gambe, è seduta su una sedia, chiusa e curva su sé stessa, in un atteggiamento di impotenza, umiliazione, fragilità, arrendevolezza.

Intorno a lei la confusione e il malessere: le forbici aperte sul tavolino, il corsetto sul pavimento, il letto immacolato.  Un uomo guarda la giovane con uno sguardo freddo e crudo, ha le mani in tasca e le gambe divaricate, afferma la sua presenza e la sua ombra si innalza minacciosa, ha un orecchio appuntito, è un diavolo.

La violenza viene dipinta proprio dal pittore delle ballerine e degli spettacoli al teatro de L’Opéra.

Artemisia Gentileschi è considerata la prima donna nella storia a denunciare uno stupro, venne sottoposta aumilianti visite mediche e torture per verificare la verità dei fatti, anche allora era quasi scontato che la colpa della violenza venisse attribuita alla donna, colpevole di aver sedotto e provocato il suo aggressore.

Artemisia trasporrà la sua rabbia e il suo desiderio di rivalsa in opere popolate da eroine storiche e bibliche, colte nel tentativo di sottrarsi a una molestia o nell’atto di vendicarsi del loro oppressore.

Nel 1973 l’artista cubana Ana Mendieta decide di rimettere in scena uno stupro realmente accaduto nel campus dell’Università dell’Iowa, in cui studiava e viveva quando una sua compagna fu abusata e uccisa. Ana aveva venticinque anni.  Invitò gli altri studenti nella sua camera, entrando, videro lei, che emergeva da un buio caravaggesco, come le eroine di Artemisia.

Era nuda dalla vita in giù, aveva gli slip calati sino alle caviglie, i glutei e le gambe grondanti di sangue, piegata sul tavolo, i polsi legati, immobile, carne da macello.

Rape Scene .

Dalla necessità di denunciare i soprusi agiti sulle donne della popolazione Maya durante gli anni della dittatura, nascono invece alcune performance di Regina José Galindo, artista guatemalteca che ha fatto del proprio corpo un discorso politico. “Perra” in spagnolo significa “cagna”, ed è l’insulto che gli oppressori in Guatemala incidevano sul corpo delle donne di cui avevano abusato. Lo facevano dopo averle uccise.

Durante la sua performance del 2005, intitolata proprio Perra, Regina incide lo stesso insulto nella carne della sua coscia. Lo fa con la lama di un coltello (lo stesso coltello di Lucrezia e Artemisia). Il sangue che fuoriesce da ogni lettera lo rende leggibile.

Un anno dopo realizza Mientres, ellos siguen libres, una performance ancor più cruda, in quanto tratta il tema della violenza sessuale di massa agita su donne incinte, con l’intento di farle abortire. Regina è all’ottavo mese di gravidanza quando decide di realizzare questa azione.

Ascolta le testimonianze di diverse vittime di stupro, poi si reca nelle cliniche dove queste avevano abortito, recupera i cordoni ombelicali di quei feti nati morti e si sdraia nuda, a gambe aperte, su una brandina, usandoli per farsi legare mani e piedi. Come in Rape Scene della Mendieta, anche qui l’immobilità rende ancor più energico quel pugno nello stomaco che si chiama verità.

Sembra che nel tempo la necessità sia quella di violare le donne, sottomettere, far sanguinare, usare simboli fallici con cui identificarsi.  La forza di abusare e aver bisogno di un gruppo che condivida questa necessità.

Immaginiamo. 1000 coltelli entrano nel corpo di una donna, perforano tutti i suoi pertugi. Non mi è sapere né capire quale sia la necessità che porti un uomo a compiere questo tremendo crimine né tantomeno riesco a capire come possano le madri giustificare un atto di tali proporzioni.   Possedere.

Oltraggiare la volontà, possedere, sottomettere, violare, insinuarsi, ferire, annullare e nell’esecuzione di quest’atto provare piacere, godimento, divertimento.  Fare del male consapevolmente solo per saziare degli istinti.  Approfittare. Il branco che si fa coraggio. Perché non esistono giustificazioni. Si dovrebbe andare al di là anche dei fattori educativi. Perché questo? Dovrebbe far parte dell’umanità.

Non voglio pensare che non ci sia speranza, non voglio che queste ragazze non abbiano speranza.  È triste pensare che delle persone siano state abusate da un branco, da uno, da troppi.

 In troppi modi, spesso taciuti, spesso ignorati. Le vittime vengono messe in sicurezza. È devastante pensare che una vittima debba essere messa in sicurezza, significa che la sicurezza non esiste, che il predatore possa vincere ancora, che quei coltelli, nel suo corpo, vengono rigirati da una società che non ha pudori, non ha rispetto, ha bisogno di alibi. Non ha il coraggio di condannare. Non si può parlare di libertà sessuale se ancora la donna è vista come carne, in una società che mette le vittime alla gogna. 

Ho immaginato per troppi giorni quelle scene, mi sono entrate nella carne, ho provato disperazione e dolore a pensare a quelle masse informi che si accanivano contro una ragazza, a pensare a tutto quello che possa aver provato, a tutte le volte che è svenuta, la disperazione, l’impotenza, lo schifo.

Nell’immagine: Lo stupro (Le viol) un dipinto del pittore francese Edgar Degas, realizzato nel 1868-1869 e conservato al Philadelphia Museum of Art.

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