Non vogliamo vedere bruciare la Sardegna ma non vogliamo nemmeno la speculazione energetica

2 Ottobre 2023

[Antonio Muscas]

La risposta di Antonio Muscas all’appello dei ragazzi e delle ragazze under 30 pubblicato sul manifesto sardo dal titolo “Alla Sardegna. Da parte di giovani che non vogliono vederla bruciare“.

Pur essendo l’appello rivolto alle forze politiche della sinistra e dell’autodeterminazione e non essendo io attualmente appartenente a nessuna organizzazione politica, mi sento comunque in dovere di intervenire per via dell’accostamento fatto tra partiti e comitati e di alcune interpretazioni, spesso erronee quando non addirittura fuorvianti, sulla lotta in corso contro la speculazione energetica.

Parlerò in qualità di attivista politico, ingegnere, nonché componente di lungo corso di comitati in difesa della salute e dell’ambiente.

Intanto, prima di procedere, ritengo sia doverosa la seguente importante premessa:

Quando nel vostro appello scrivete di consumi energetici, sembra vi riferiate a dei valori ineluttabili, quasi un prodotto della fatalità: è indispensabile un quantitativo calcolato scientificamente e, perciò, tutto si riduce a scegliere tra energia sporca e pulita. Ma l’energia non è neutra, l’energia in termini qualitativi e quantitativi è fondamentalmente una questione politica: strettamente connessa alle attività umane, e perciò al nostro stile di vita, all’alimentazione, alla localizzazione delle attività produttive, ai rifiuti, al lavoro, al nostro tempo libero. Riguarda ogni aspetto della nostra esistenza. Quanta ne consumiamo, non è una semplice addizione di numeri, non rappresenta il nostro reale fabbisogno, ma è quasi esclusivamente frutto di scelte, e non scelte, politiche.

Allo stesso modo, transizione ecologica e transizione energetica non sono sinonimi, rappresentano ambiti distinti, intimamente connessi tra loro ma spesso in forte contrasto, in cui la seconda è il risultato della prima e ad essa funzionale, e non viceversa.

Oggi la transizione energetica, il passaggio dal fossile al “rinnovabile”, per come viene portata avanti, non ha purtroppo niente di ecologico. Perché è un processo guidato totalmente dal capitalismo consumista e neoliberista. Tra l’altro, le rinnovabili quasi mai sono in sostituzione del fossile, ma in aggiunta. Si tratta di un vero e proprio nuovo settore speculativo: prova ne sia il continuo incremento, nei Paesi che maggiormente stanno investendo nella transizione, del consumo dei combustibili fossili e conseguentemente delle emissioni inquinanti (spesso mascherate in Occidente dalle cosiddette emissioni fantasma: il reale contributo alle emissioni delle delocalizzazioni imputato ai Paesi in via di sviluppo).

In questo senso, un serio ragionamento sulla transizione energetica deve svilupparsi, anche in realtà piccole come la nostra, a 360 gradi.

Passiamo ora ai vostri punti e ad alcune vostre affermazioni.

– Sul negazionismo climatico

Voi chiedete di non dare cittadinanza a chi mette in dubbio il riscaldamento globale: “coi negazionisti non si fanno alleanze, nemmeno nei territori, nemmeno su battaglie specifiche. Benché meno li si candida, e neppure gli si fanno generici ammiccamenti. Anche a costo di perdere qualche voto e qualche applauso.

Mi sembra di rivivere quanto accaduto in epoca COVID in cui c’era una verità ufficiale e non erano ammesse critiche, dubbi, tentennamenti. Tutto il resto era spazzatura, complottismo, negazionismo. E, infatti, guarda caso, proprio a seguito dell’intenso dibattito sviluppatosi attorno alla speculazione delle rinnovabili, questi giorni è ripartita una campagna pubblicitaria della RAI contro le “chiacchiere al vento”. Bisogna ridicolizzare e tacciare chi dissente. Voi rischiate di trattare “i diversi” allo stesso modo. Come se la questione non fosse così complessa e articolata da meritare un confronto approfondito e articolato, con i relativi legittimi dubbi e critiche. Ora vi chiedo: quanti, tra i convinti assertori del riscaldamento globale, hanno informazioni a sufficienza e sono in grado di sostenere le loro posizioni? Io credo davvero pochi. E, in questo caso, qual è la differenza tra loro e chi sostiene il contrario? Quanti di voi sono in grado di dimostrare che il riscaldamento ha origini antropiche e non è invece parte di un processo naturale?

Per me, per chiarire, il problema neppure si pone: non ho neppure bisogno di credere nel riscaldamento globale, mi basta vedere il disastro attorno a me per capire che, col caldo o con altre numerose forme di inquinamento, stiamo condannando, noi e il resto del pianeta, all’estinzione. Allo stesso tempo, non ho difficoltà a vedere come la transizione ecologica sia diventata la nuova corsa all’oro, una nuova ghiotta occasione per fare affari. Per questo lotto e mi oppongo con tutte le mie forze al tentativo di cancellazione dei miei diritti e all’ennesima e più brutale devastazione del territorio e dell’ambiente portata avanti in nome dell’emergenza climatica. E così fanno i comitati, composti solitamente da semplici cittadini, i quali, pur avendo spesso scarse competenze in materie tecniche, giuridiche, ambientali e climatiche, hanno acquisito questa consapevolezza.

– Sulla “retorica paesaggistica ormai sempre più popolare – e non a caso portata avanti da quotidiani e realtà pseudo-ecologiste che riteniamo distanti da qualsivoglia posizione radicale.

C’è la transizione ecologica e poi ci siamo noi sardi, che nella vostra descrizione sembriamo degli estranei in terra sarda a cui è negato il diritto alla bellezza. Ma la transizione ecologica, lo dice il termine stesso, include anche la nostra specie, quella umana, compresi gli abitanti della Sardegna, perché anche noi siamo parte del pianeta. E, invece, noi sardi dovremmo sacrificarci al servizio di chi? Dovremmo rassegnarci ad una distesa monotona di pale e pannelli per salvare cosa?

Il paesaggio non è un pretesto. E non è semplicemente un’immagine da stampare in una cartolina. È il senso della nostra vita su quest’isola, l’espressone stessa della nostra civiltà, dei luoghi che ci hanno ospitato, formato, nutrito in tutti i sensi, anche di bellezza, e che abbiamo modellato e trasformato nel corso dei millenni trascorsi su questa terra. E mi sorprende questa affermazione da parte di chi si rivolge anche agli ecologisti. Come se nella vita non vi fosse spazio per il bello e per il piacere di goderne. Io non potrei sopportare l’idea di vedere i miei monti sfigurati, violentati, distrutti. Di vedere le pianure trasformate in distese di specchi e gli orizzonti alterati da muri di aerogeneratori piazzati lì a stravolgere inesorabilmente albe e tramonti. Perché di questo stiamo parlando quando ci riferiamo al numero di richieste di connessione per la Sardegna. Come fanno dei ragazzi così giovani ad affermare che la difesa del paesaggio è un pretesto, perché tanto se, non lo cambiamo noi, lo cambierà il clima? In una terra come la nostra che ha subito ogni sorta di violenza, quando parlate di urgenze, non sentire l’urgenza di proteggerla? Di preservare le sue bellezze? Cos’è la vita senza la bellezza? Siete davvero disposti a sacrificare con questa facilità i nostri paesaggi, i nostri orizzonti, come se davvero non vi fossero altre soluzioni, in nome di una non meglio specificata transizione operata da terzi?

– Sulla presunta richiesta da parte dei comitati di “una transizione senza eolico

Questo, mi dispiace dirlo, è una interpretazione fuorviante e dimostra la vostra scarsa conoscenza sulle rivendicazioni dei comitati. In tutte le contestazioni sull’eolico si denuncia la mancata concertazione con le popolazioni locali, si sollevano critiche sulla dislocazione, il numero e la taglia degli aerogeneratori, si sollevano dubbi sui loro reali benefici, sulle ricadute economiche, ambientali, paesaggistiche, sociali e lavorative, sull’effettiva necessità di avere, in determinate condizioni, nuova potenza rinnovabile. Ci è concesso mettere parola su questi aspetti, o ritenete davvero che in nome dell’emergenza climatica dobbiamo, senza colpo ferire, ingoiarci tutto quanto ci viene propinato?

– Sulla vostra affermazione, secondo la quale, “Qualunque scenario di decarbonizzazione esistente (sia esso studiato sull’Europa, sull’Italia, sulla Sardegna) prevede una crescita vigorosa e immediata della potenza rinnovabile installata.

Tutti i piani di transizione visti finora si basano sul mantenimento dei consumi attuali quando non, addirittura, pensati in una prospettiva di costante aumento dei fabbisogni energetici: modelli puramente capitalisti, quando non addirittura estrattivisti e neoliberisti.

Ebbene, questo lo dico da ingegnere, questa strada non solo non è tecnicamente percorribile ma ci condurrà dritti verso il baratro. Per la semplice ragione che la Terra non solo non ha risorse sufficienti a mantenere o addirittura sostenere un incremento dei consumi attuali, ma i processi di estrazione, lavorazione e trasformazione delle risorse minerali non rigenerabili e la rapidità con cui si stanno consumando quelle rigenerabili sta comportando un impatto sull’ecosistema devastante (vedasi l’overshoot day). Ciò per non parlare dell’immensa occupazione di superficie richiesta dalle installazioni rinnovabili – che hanno una vita relativamente breve, misurabile in qualche decina d’anni, e nell’arco di una generazione devono essere sostituite più volte – se dovessimo rispettare i numeri attuali. In altre parole, questa transizione è la transizione dei paesi ricchi a discapito dei paesi più poveri, una transizione che, fatta così, non avrà effetti utili sul clima e sarà per tutti un disastro totale.

Inoltre, la crescita vigorosa e immediata della potenza rinnovabile installata dovrebbe essere accompagnata dalla realizzazione di impianti di accumulo, da adeguate infrastrutturazione e gestione della rete; dovrebbe essere accompagnata da un’intensa elettrificazione dei consumi. Altrimenti gli impianti saranno destinati a essere sottoutilizzati o a restare inesorabilmente fermi. Come infatti già sta capitando. Vi è infatti un altro aspetto tecnico di rilievo sul quale mai viene soffermata l’attenzione, ed è questo: gli impianti eolici e fotovoltaici, come è oramai risaputo, sono definiti non programmabili perché la produzione dipende dalle condizioni metereologiche. Il problema, oltre a presentarsi quando non ci sono né sole né vento, lo si ha anche quando un grande numero di impianti deve funzionare tutto assieme. Se in Sardegna dovessimo installare questi 56 GW o, se vogliamo, anche la metà, dove metteremmo l’energia prodotta nel momento in cui dovessero produrre tutti contemporaneamente alla massima potenza? Se anche tenessimo conto della capacità massima della rete sarda, delle reti di trasporto verso il continente e di tutti gli impianti di accumulo previsti, avremmo comunque un enorme surplus inutilizzabile. E questo è, infatti, quanto già sta capitando da noi ora ma, in maniera molto più importante, con l’eolico dei mari del nord – con costi esorbitanti per la collettività a causa dei rimborsi dovuti alle società eoliche durante i fermi- ed è l’ovvia conseguenza dell’installazione di elevate potenze in aree concentrate. È come se stessimo montando il motore di una Ferrari su di una cinquecento per farla poi percorrere delle mulattiere. Questi temi, a cui avete dedicato mezza riga, non sono spesso neppure accennati nel dibattito odierno e comunque mai trattati con la dovuta attenzione. In ogni caso, mancano gli investimenti e il settore elettrico sta seguendo con la privatizzazione lo stesso destino delle autostrade in cui la brama di profitto prevale sugli investimenti e sulla sicurezza. Prova ne siano i numerosi collassi della rete questa estate appena trascorsa non appena è stato acceso qualche impianto di aria condizionata in più a causa del caldo intenso. Cosa succederà alla rete elettrica con i consumi maggiormente elettrificati e una più ampia diffusione delle auto elettriche? Dovremo rassegnarci a frequenti blackout? A rimanere per ore o giorni senza elettricità? senza servizi telefonici e internet?

Perciò, la prima e più efficace risposta all’emergenza è l’abbattimento drastico dei consumi e l’eliminazione o la riduzione ai minimi termini degli sprechi. Qualunque persona di buon senso alla richiesta di abbattere immediatamente le emissioni del 50% penserebbe per cominciare ad un abbattimento i consumi per la stessa entità o per una prossima. Una stupidaggine? Mica tanto. Pensiamo alle navi da crociera, agli aerei privati, alle supercar, o anche i veicoli oltre un certo peso, come alcuni SUV, al turismo (il turismo!), ai Bitcoin, al settore ICT; pensiamo alla delocalizzazione delle attività produttive e alle relative infrastrutture necessarie alla lavorazione, trasformazione, conservazione, trasporto e stoccaggio delle merci; pensiamo agli sprechi, all’acquisto di prodotti in eccesso o innecessari, allo spreco alimentare, alla produzione di rifiuti, al loro smaltimento. Una nave da crociera mediamente emette in un giorno di navigazione lo stesso tanto risparmiato da un aerogeneratore di 1 MW in un anno! Ma noi siamo in Sardegna, mi direte. Dobbiamo occuparci del nostro piccolo. Però il riscaldamento è globale e l’inquinamento della nave interessa anche noi. E perciò dovremmo occuparci di agire localmente e, allo stesso tempo, anche globalmente. Siamo davvero in emergenza? Bene. Pretendiamo azioni immediate per vietare la circolazione dei mezzi di cui sopra, per impedire alle navi da crociera e ai super yacht di attraccare in Sardegna, agli aerei privati di atterrare nei nostri aeroporti. Chiediamo con forza che si investa in educazione alimentare. Chiediamo lo stanziamento di fondi per lo studio e la ricerca, per avviare nuovi corsi di studio che si occupino, per ogni singolo settore, di studiare come abbattere i consumi e rendere quelle attività sostenibili. Chiediamo che le aree rurali siano ridotate di servizi, siano elaborati progetti e messi in atto programmi per renderle nuovamente attrattive, per riabitarle e così presidiare anche i numerosi territori ora in stato di abbandono. Alcune di queste azioni avrebbero effetto immediato, altre nel medio e lungo termine, ma per ognuna è indispensabile agire nell’immediato. Questa è la vera emergenza. Altrimenti, a che serviranno le pale in una Sardegna in via di spopolamento?

So che la risposta potrebbe essere: “ma queste cose non le faranno mai, non adesso, perlomeno. Mentre per gli impianti FER la strada è più semplice”. Purtroppo, gli impianti così concepiti non risolveranno il problema, potranno solo peggiorarlo, e noi avremo perso altro prezioso tempo, con l’aggravante di aver fornito ancora una volta il fianco al capitalismo e alla peggiore speculazione.

– “Da più parti si parla – anche nei programmi elettorali della sinistra – di moratoria specifica sulle rinnovabili, e in questo terreno viene posta la questione nei media. Capite bene il paradosso di un simile provvedimento: diverrebbe illegale installare energia pulita, ma legalissimo investire su quella sporca. Un caso più unico che raro a livello mondiale.

Altra affermazione non vera. Dove l’avete letto? Noi stiamo chiedendo di darci il tempo di elaborare e mettere a punto un piano strategico per la Sardegna. Parliamo di mesi, uno stop provvisorio durante il quale gli impianti non industriali possono continuare ad essere realizzati. E comunque, fossili e rinnovabili non sono in contrapposizione. Bloccare l’uno non significa aprire le porte all’altro. Dove c’è scritto? Non è in alternativa certamente il metano, non nei programmi di decarbonizzazione. A nessun livello. Prova ne siano i consistenti investimenti per la ricerca e l’estrazione di combustibili fossili, i recenti accordi dell’Italia con i paesi arabi e africani per lo sfruttamento dei giacimenti e per l’infrastrutturazione per il trasporto, lo stoccaggio e la rigassificazione del gas.

– “Se noi per primi andiamo nei territori a parlare di sventramento e stupro – per usare due termini molto diffusi nel lessico delle proteste – di fronte a delle pale sulla collina, come pensiamo che possano reagire quelle stesse comunità quando noi per primi proporremo nuove pale – anche se pubbliche e non delle multinazionali?

Qui vedo molta confusione. In merito allo stupro, vi rimando a quanto scritto sopra a proposito di modalità, ricadute, dislocazione, tipologia e taglia degli impianti. Sulla questione delle comunità abbindolate da abili oratori, mi preme far presente che non sono i comitati ad andare a parlare alle comunità contro le pale “brutte” ma sono le comunità che stanno finalmente insorgendo e si stanno costituendo in comitati, in reazione ad uno scempio che, come estensione e impatto permanente, non ha precedenti nella storia della Sardegna. Forse vi siete persi qualcosa.

– “Siete disponibili a ragionare su come sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili, e farlo al meglio, anziché su come fermarne il maggior numero possibile?

Ho letto bene: sbloccare? Ma come? parlate di una battaglia contro l’assalto ma senza moratoria per poi addirittura “sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili”! Che tipo di battaglia intendete fare? Fatemi capire. Da quando, con il decreto Bersani è stato liberalizzato il settore energetico, si sono susseguiti numerosi provvedimenti che, man mano, hanno tolto competenze alle regioni e alle autonomie locali, hanno cancellato la voce delle comunità. Quale battaglia si può fare che non sia per la riconquista dei diritti attraverso opportune leggi?

Voi, invece, volete addirittura andare ancora più rapidi! Magari vedreste bene un nuovo decreto del Governo Meloni che velocizzi ancora di più le pratiche, saltando i residui passaggi democratici e così eliminando, finalmente, anche le ultime “conservatrici” voci critiche? E questa sarebbe una posizione radicale di sinistra?

– “Nel 2025 è prevista la chiusura delle rimanenti centrali a carbone, e l’energia che forniscono deve essere sostituita da pale e pannelli – non dal gas. L’obiettivo, ricordiamo, è quello di raggiungere la neutralità carbonica nel 2035. Non solo elettricità pulita, ma la fine dei combustibili fossili in Sardegna – comprese auto, fornelli, industrie.” E ancora. “Noi siamo convinti l’energia debba essere pulita, pubblica, sarda. Pulita significa 100% a basse emissioni da qui al 2035, con un processo di decarbonizzazione che inizi immediatamente. Non solo l’elettricità come da consumi attuali, ma tutta l’energia consumata nell’isola – distinzione questa spesso dimenticata nelle analisi, ma fondamentale. Un obiettivo assieme ambizioso ma indispensabile. Raggiungerlo significa non rinunciare a nessuna fonte rinnovabile – solare, eolico in-shore e off-shore, idroelettrico, geotermico – oltre che adeguare le reti, creare accumuli, elettrificare i consumi. Una sfida a tutto tondo che tocca l’edilizia, i trasporti, il lavoro.

La fine dei combustibili fossili in Sardegna? E La Sarlux dove la mettiamo? Ad oggi da sola soddisfa quasi il 50% del fabbisogno elettrico sardo e, seppure non vada a carbone, è alimentata con gli scarti di lavorazione del petrolio ed è riconosciuta come “assimilata” alle rinnovabili. Non ho notizia di un piano per la sua dismissione o ridimensionamento. Questo di per sé impedisce la transizione totale del settore civile, e in ogni caso resterebbero da risolvere la questione acqua sanitaria e riscaldamento e delle reti del gas cittadino. Di fatto, però, con un mercato fuori controllo come quello elettrico (bruciano ancora gli oltre 800 euro a MWh dell’agosto 2022), chi sarebbe così folle da legarsi mani e piedi all’elettricità? In ogni caso, se anche si arrivasse alla totale transizione rinnovabile del settore civile, ciò non sarebbe ancora possibile per il terziario e l’industria. Ancora meno se consideriamo tutto il comparto energetico e non esclusivamente quello elettrico. Nel qual caso dobbiamo inserire anche i trasporti e l’agricoltura. Un ragionamento a parte merita l’industria: se davvero puntiamo all’indipendenza (energetica? politica?) della Sardegna, non si può prescindere da un’attenta analisi sul futuro industriale in Sardegna. Che tipo di industria vogliamo? Come la alimentiamo? Chiudiamo? Delocalizziamo? Trasformiamo? Tutto questo per significare l’impossibilità di liquidare argomenti così complessi con semplici dichiarazioni di principio. Ciò detto, non esiste produzione di energia pulita. Qualunque processo comporta degli impatti più o meno consistenti e allora bisogna essere onesti e ragionare con i dati reali, non limitandosi a ciò che ci piacerebbe ma valutando attentamente ciò che si può e ciò che si deve fare. Per fare un esempio, si continua a parlare di diffusione del trasporto elettrico, di sostituzione dei veicoli ad alimentazione fossile con equivalenti elettriche. E allora chiedo: è sempre indispensabile sostituire un’utilitaria a combustibile fossile con una elettrica (sempre che uno se la possa permettere) anche quando la percorrenza media dovesse essere di poche migliaia di chilometri all’anno? E ancora: autovetture come la Porsche o l’Hammer elettrici sono da considerarsi comunque ecologici e a impatto zero? Infine, dichiarate che l’energia deve essere pulita, pubblica, sarda, però nel frattempo volete “sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili”. Impianti privati, naturalmente. Una contraddizione non da poco.

– “Sarda è la logica conseguenza dei primi due punti. Solo le rinnovabili possono rendere la Sardegna sovrana dal punto di vista energetico. Solo sistemi di proprietà condivisi e pubblici possono garantire che i profitti vadano ai cittadini – e siano redistribuiti in bolletta o nel welfare. Solo una regia pubblica può garantire che all’avanzare delle energie pulite corrisponda una diminuzione di quelle sporche – e non si vadano, invece, ad affiancare come nello scenario attuale. Solo una guida democratica e non di mercato, infine, può ragionare su quanta energia serva alle persone, per che scopi, con che livelli di consumo. Senza paura di termini tabù come decrescita.

Come si arriva ad una guida democratica senza un duro scontro con lo Stato e con i grossi gruppi di interesse che stanno dettando le regole? Senza un ribaltamento del modello economico attuale? Come si possono avere dei sistemi di proprietà condivisi quando non avremo più la disponibilità della nostra terra? Come fate a parlare di decrescita quando proponete di sbloccare la realizzazione degli impianti rinnovabili senza alcun limite?

È doveroso precisare che in Sardegna non partiamo da zero. Attualmente vi sono installati oltre 1,5 GW di potenza rinnovabile con una capacità produttiva soffocata dalla presenza delle centrali termoelettriche, dalla Sarlux in particolare, e da una rete in pessime condizioni. Ciò nonostante, l’energia prodotta soddisfa quasi l’80% del fabbisogno elettrico domestico. Affinché la transizione elettrica possa effettivamente compiersi, sono necessari consistenti investimenti sulla rete elettrica di cui però, eccetto i comitati e associazioni come Italia Nostra, nessuno fa cenno. In queste condizioni, ogni ulteriore aggiunta di potenza potrà solo peggiorare le cose, impedendo agli impianti Fer di funzionare adeguatamente e richiedendo ancora maggiore supporto da parte delle centrali termoelettriche. Sull’impressionante numero di richieste di connessione, pari al 30 giugno a 718, e la relativa potenza di 56,08 GW, che non desta molto la vostra attenzione, vi è da far presente un aspetto fondamentale: un numero così grande di impianti non ha alcuna possibilità di essere sfruttato, sia per i limiti della rete di cui sopra, sia per il ridotto fabbisogno della Sardegna, sia, infine, per la limitata capacità di trasporto verso il continente delle attuali e future infrastrutture. Perciò, a che pro tutti questi impianti? Per i soldi. Tanti soldi. Un ritorno economico spettacolare a fronte di qualche miliardo di euro di investimenti. C’è chi, diversi anni fa, si spinse ad affermare che le rinnovabili rendono più della droga. Questa è una partita nella quale tutti vincono: tra incentivi per le rinnovabili – sia quando funzionano sia quando stanno ferme per esubero di disponibilità – e incentivi per le fossili con funzione ancillare e per quelle “assimilate”. Diversi di questi progetti sono finanziati con fondi del PNRR e della banca europea per gli investimenti. Poi ci sono quelli finiti sotto la lente della DIA e numerose sono state le inchieste in questi anni sul riciclo di denaro sporco per via dell’ovvio interesse delle organizzazioni criminali. La più famosa fu probabilmente quella sulla P4. Davvero, quindi, siete convinti che una volta investiti tutti quei soldi, quando il nostro territorio sarà oramai disseminato di pale e pannelli, sarà ancora possibile per noi scegliere una nostra strada per l’indipendenza energetica?

Dico la verità, mi fa un po’ sorridere ma molto riflettere che, mentre nei poligoni sardi si addestrano eserciti di tutto il mondo che stanno contribuendo a devastare interi Paesi e negare il futuro a milioni di persone, inclusi, beninteso, il nostro territorio e il nostro futuro, mentre eserciti e industrie di tutto il mondo sperimentano in casa nostra ordigni e dispositivi di qualunque specie con il loro lascito di inquinamento e miseria, mentre una fabbrica di bombe del Sulcis Iglesiente si rende responsabile della morte di migliaia di civili inermi, voi pensate che la salvezza nostre e della Sardegna passi attraverso ulteriori concessioni, con lo “sblocco delle rinnovabili”. Sblocco, beninteso, previa “contrattazione su royalties e condivisione dei profitti”. Peccato che la legge in vigore impedisca, anche per ovvie ragioni, trattative di questo tipo. Mi rammarica non poco vedere che, alla fin fine, tutto il ragionamento si esaurisca attorno ad una mera questione monetaria. Davvero pensate che la vostra terra non abbia altro da offrire e voi nient’altro da pretendere?

Per concludere, e ritorno ai comitati: noi rivendichiamo i nostri diritti e lottiamo per la tutela della terra che ci ospita. Non abbiamo la verità in tasca ma di una cosa siamo certi: di essere sotto assalto, il più pesante per la sua dimensione mai subito dalla nostra isola e dalle cui conseguenze, siamo pienamente coscienti, se non facciamo qualcosa ora, non potremmo più risollevarci. L’emergenza è la scusa con cui da diversi decenni veniamo messi a tacere. Noi vogliamo invece concederci il beneficio del pensiero, del ragionamento, del dubbio, e delle decisioni meditate.

La transizione ecologica è una questione molto complessa, non si può risolvere banalmente con una immensa e incontrollata installazione di pale e pannelli. Affinché si possa realizzare richiede uno sforzo enorme da parte di tutti e soprattutto la disponibilità a metterci in discussione e cambiare radicalmente noi stessi e la nostra società. Ci accusate di essere vittime della propaganda conservatrice. A me pare, invece, che le vittime siate proprio voi rinunciando ad ogni pretesa, accennando al più a qualche debole e timorosa richiesta di natura economica.

E mentre noi lottiamo con la sola arma dei nostri corpi e delle nostre voci, vediamo voi che ci guardate dalla finestra e ci giudicate. E, per giunta, col metro dei colonizzatori. Utilizzate categorie che non hanno senso per noi e certamente non ci appartengono. La nostra presenza, la nostra stessa esistenza, è la più chiara evidenza del fallimento della politica, soprattutto di quella politica chiamata da voi radicale, ecologista e di sinistra. La politica che più di tutte dovrebbe stare dalla parte dei cittadini. Quella che la qualità della società la misura dalle diseguaglianze, dalla deprivazione, dai disagi, dai soggetti più fragili, dai quartieri degradati, dalle periferie. Noi siamo espressione di quelle persone a cui la voce è stata levata e che se la vogliono riprendere. Scendete in piazza con noi e venite a confrontarvi fuori dal mondo virtuale. Non si può pretendere che un grido di disperazione sia simile a un canto. Ma voi potete unire le vostre forze alle nostre affinché lo diventi.

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