OGM. Parliamone con Marcello Buiatti

16 Settembre 2010

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Questa intervista è il frutto di una lunga conversazione intrattenuta con Marcello Buiatti, professore ordinario di genetica all’Università di Firenze. Buiatti è uno dei più autorevoli esperti sul problema degli OGM, animatore di numerosi gruppi di studio, comitati e azioni scientifiche internazionali. Due anni fa partecipò in Sardegna al convegno ‘Towards G8’, promosso dalla Regione Sardegna e organizzato dall’Università di Sassari (Facoltà di Agraria), con la relazione “OGM – Una falsa soluzione per sfamare il mondo”, collaborando assieme a Vandana Shiva ed altri scienziati alla redazione della ‘Carta di Sassari’.
Abbiamo selezionato dalla conversazione una serie di quesiti attorno al problema degli OGM, battaglia importante per la salute e la tutela della biodiversità. Il sito ‘Liberi da OGM’ riporta l’adesione della Sardegna al fronte delle regioni ‘libere da OGM’. Fu promessa da Renato Soru nel 2006, ma le notizie appaiono contraddittorie e non ci risultano – probabilmente è una nostra carenza informativa – documenti ufficiali. Sarebbe importante che la Sardegna aderisse come scelta strategica a questo fronte. Giriamo il quesito alle autorità competenti e intanto vi proponiamo l’intervista, ringraziando per la disponibilità il nostro prestigioso interlocutore (m.m.).

° ° °
1. Vi è differenza fra incroci e modificazioni genetiche?

E’ una differenza sostanziale, perché l’incrocio avviene fra animali o piante della stessa specie, mentre la ingegneria genetica inserisce un gene da una specie ad un’altra al fine di sviluppare funzioni non esistenti.

2. Perché la maggioranza dei consumatori, secondo lei, è contraria agli alimenti gm? Ha ragione?

Intanto i consumatori hanno memorizzato negli anni che molte promesse dei produttori non sono state affidabili. Ma percepiscono anche che non esiste sufficiente protezione a livello europeo. L’Agenzia Europea per il controllo degli Alimenti non ha suoi laboratori, non può controllare le imprese. Prende atto in genere dei dossier inviati dalle stesse su quesiti che tra l’altro sono ormai obsoleti di almeno dieci-quindici anni.
Se qualche membro della commissione ha qualche dubbio, si pongono altri quesiti e l’impresa manda un altro suo dossier di nuovo con analisi fatte da laboratori di loro fiducia.

3. Ci sono alimenti ogm che oggi sappiamo rischiosi per la salute? Quali e per quali motivi?

E’ un discorso delicato. Dovremmo avere la possibilità di esperimenti comparati su gruppi omogenei di umani. E questo non è possibile. E’ il quadro generale in sé a non essere rassicurante.
a. L’inserimento di un pezzo di Dna ‘alieno’ non sappiamo come potrà turbare l’equilibrio di un essere vivente. L’imprevedibilità è molto alta. E in genere la stragrande maggioranza delle piante soffrono.
b. Chi deve fare controlli e cioè EFSA, Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare non ha laboratori suoi indipendenti.
c. I laboratori delle grandi ditte dicono e non dicono: Ad esempio, Monsanto sul mais MON 863 inizialmente diede, sugli esperimenti eseguiti sui topi, comparando quelli nutriti con mais normale e quelli con mais OGM, statistiche assolutamente elusive e insufficienti (qualsiasi studente sarebbe stato cacciato ad un esame universitario di statistica) , ma in compenso rassicuranti. Il laboratorio francese che riuscì ad elaborare i dati originari di Monsanto scoprì la significatività di danni rilevanti sul fegato dei topi.
Per quanto riguarda i mangimi, la presenza di ogm negli stessi non dovrebbe dare conseguenze per l’uomo. Non potrei giurare però sull’assenza di conseguenze per gli animali.

4. Che effetto hanno sull’ agricoltura e sugli agricoltori?

La principale motivazione, gli OGM sul mercato salveranno il mondo dalla fame perché resistenti a insetti e a diserbanti e quindi di maggior resa, si è rivelata non veritiera. Si guardi il dato americano: delle statistiche del Dipartimento dell’Agricoltura USA sulla resa unitaria per ettaro del mais fra il 1977 ed il 2007, nell’ultimo decennio vi è una linea retta (a differenza di quanto sostiene Syngenta, una delle massime multinazionali produttrici): che non ha cambiato inclunazione con l’inizio delle coltivazioni OGM, inserite nel 1996. Quindi, nessun incremento (se non nei guadagni di Syngenta e delle altre due multinazionali (Monsanto e Dupont) derivanti non da maggiori rese ma dalle royalties ottenute dai brevetti.
Il consumo dei diserbanti, che doveva essere minore, non lo è. Piuttosto le multinazionali impongono sementi resistenti ad un solo diserbante che esse stesse producono (Monsanto con il Roundup ready, ad esempio, per soia e mais).

Per quanto riguarda gli insetticidi: le coltivazioni ogm per resistere ad un solo insetto (in genere è questa la situazione di soia, colza, mais e cotone) hanno – solo inizialmente – portato ad un calo di consumo, ma nel tempo, l’insetto a cui le piante sono resistenti é diventato resistente e soprattutto sono aumentati altri insetti rivali, prima non competitivi.

L’eventuale vantaggio economico, a prescindere da tutte le solide perplessità sinora espresse, si può avere solo per la resistenza a diserbanti perché abbassa il costo di mano d’opera determinando disoccupazione e in aziende dimensionate dai 10mila ai 100mila ettari. In Italia, dove vi è una grande prevalenza di aziende molto piccole (5-6 ettari), tale vantaggio non esiste, e nel complesso gli ogm portano ad un aumento dei costi.

5. Quindi gli ogm sono veramente il derivato di una tecnica avanzata o tale aspetto è sopravvalutato? Dal punto di vista scientifico, le biotecnologie sulle piante sono un successo o un fallimento?

A me sembrano, sinora, un fallimento scientifico ed economico. Aggiunga che in questi ultimi decenni a fronte di poche piante entrate veramente sul mercato (sostanzialmente mais, colza, soia, cotone) vi è una quantità enorme di fallimenti, di organismi non sopravvissuti.
A fronte della prevalenza degli interessi commerciali delle poche e potentissime multinazionali la ricerca di base essenziale, ad esempio quella sulla riduzione del danno alle piante, è praticamente ferma. Non si è in grado di prevedere quante copie del gene verranno inserite nel DNA della pianta ospite, dove sono inserite in che parti del DNA magari importanti per la vita della pianta, come la pianta OGM inserisce con l’ecosistema del suolo e in particolare con micorrize e batteri “amici” ecc. La ragione dei pochi successi è quindi la presenza di gravi danni per le piante modificate e quindi la loro bassa produttività.
Economicamente, come abbiamo visto, non ci sono miglioramenti apprezzabili sulla resa per ettaro.
Infine, dal punto di vista politico poche multinazionali (Monsanto–Dupont, Syngenta) tendono a controllare la produzione di cibo nel mondo, ampliando le colture ai loro prodotti, poiché possono in qualche modo funzionare (ovvero essere molto redditizie) sulle grandi quantità. Minando in questo modo i principi di sovranità alimentare e gli assetti della biodiversità nei vari paesi attraverso il controllo brevettuale, l’oligopolio delle sementi, dei fertilizzanti dei diserbanti, di tutta la filiera alimentare.

6. Ho sempre pensato che il principio di precauzione fosse una delle prime basi da osservare. Qual’è la situazione da questo punto di vista?

La situazione non è certo positiva, per quanto detto finora. Ritorno sul concetto della imprevedibilità: una scienza carente da questo punto di vista preoccupa. Faccio un esempio: le modifiche genetiche sono mirate ad eliminare l’azione negativa di un insetto sulla pianta. Uno degli effetti che si evidenziano è che da un lato si selezionano insetti più resistenti, dall’altro gli insetti rivali si rinforzano in assenza di quello ‘neutralizzato’. Il risultato è un mutamento biologico a catena, anch’esso imprevedibile ed è proprio il principio di precauzione che ci dice che bisogna stare attenti in casi in cui ci sia un alto livello di imprevedibilità.

7. Vi sono istituti di ricerca che appaiono in qualche modo legati alle grandi multinazionali che intervengono sugli ogm (è il caso in Sardegna, secondo alcuni, di ‘Porto Conte Ricerche’, legata al Polo Scientifico della Regione Sardegna ed in rapporto ufficiale con Assobiotec e, nella stessa, di Monsanto, Aventis, Syngenta, Basf). Vi sono rischi, oppure opportunità, nel loro legame con la ricerca universitaria? Non sarebbe meglio che una battaglia anche istituzionale per la sovranità alimentare abbia istituzionalmente ragione di essere?

Sostenere che la ricerca pubblica abbia bisogno di queste multinazionali lo trovo aberrante e anche una sciocchezza. Forse vi sono alcuni ricercatori che lavorano per queste multinazionali, ma la ricerca pubblica si dovrebbe basare su altri orizzonti, su piani pubblici di sviluppo non dettati dalle multinazionali. Ripeto, l’attuale situazione vede uno scarso sviluppo dei veri percorsi scientifici, quelli che – non condizionati dagli interessi dei grandi produttori già citati – si occupano di risolvere i veri problemi. Manca lo sviluppo corretto di un campo assai delicato sul quale non sono, come non può esserlo uno scienziato, per principio contrario. I progressi della scienza ci offrono una serie di possibilità di ricerca per il miglioramento delle piante e degli animali che davvero non prevedono necessariamente operazioni di ingegneria genetica.

8. Sembra però di assistere a una progressiva ‘liberalizzazione’ europea verso gli OGM,, anche in Italia (è recente la sentenza di liberalizzazione per il mais MIR 604, prodotto da Syngenta (che nasce dalla fusione fra Astrazeneca e la potentissima multinazionale Novartis, quella dei famigerati vaccini dell’influenza ‘B’).. E’ un dato reale e cosa comporterà?

E’ vero, la tendenza appare questa, ma vi è una prevalente contrarietà dei consumatori e anche un movimento inverso che è in crescita, che si basa sulla recente approvazione della clausola di salvaguardia che dà agli Stati la possibilità di dire no agli OGM. In Italia la Regione Toscana ha prodotto la prima legge anti OGM e, insieme ad una Regione austriaca ha costituito una associazione europea di Regioni libere da OGM che adesso ha ben 46 membri. Contemporaneamente è nata anche una associazione scientifica ( European Network of Scientists for Social and Environmental responsibility, ENSSER) collegata con una serie di altre associazioni analoghe come la Union of Concerned Scientists negli Stati Uniti.

Sarebbe importante che anche la Sardegna vi aderisse – se ancora non l’ha fatto – per la sua storia, per la presenza di alti segmenti qualitativi e piccole ma qualificate produzioni sulle quali fondare, in ‘sovranità alimentare’ uno sviluppo virtuoso, che pare anche fortemente identitario.

9. Prof. Buiatti, lei è venuto a Sassari nello scorso febbraio, al convegno ‘Towards G8’ e partecipò alla redazione della cosiddetta ‘Carta di Sassari’. Ci fu anche Vandana Shiva. Ma la storia del G8 in Sardegna non ebbe seguito (se non a livello speculativo). Cosa ricorda?

Il convegno organizzato a Sassari fu molto interessante. Le battaglie di Vandana Shiva sono note, come il suo straordinario profilo umano e politico. Le racconto un fatto interessante, che serve anche per capire lo strapotere delle multinazionali e il rapporto che esse hanno con la politica: grazie a ricerche internazionali alle quali partecipai consegnammo un dossier insieme ad una rete di laboratori francesi che permise alla stessa Vandana di evitare l’introduzione in India di una melanzana geneticamente modificata proposta da Monsanto. Il mio contributo, per questa ragione, non dovette essere molto gradito alle autorità indiane e in particolare al loro Ministero della agricoltura, che successivamente impedirono l’ingresso nel loro paese a me per in giro di conferenze e ad una intera delegazione della Regione Toscana, come hanno fatto per altri scienziati sulle nostre posizioni.

10. E’ corretto sostenere che esiste uno stretto legame fra tutela della biodiversità, tutela dell’ambiente e critica alla ‘monocultura’ ogm?

Assolutamente sì. Abbiamo già assistito a cambiamenti epocali, drammatici. In Argentina l’esempio più clamoroso, la sparizione di culture locali, specifiche, insomma della biodiversità agricola e in particolare il grano, il miglio, il mais, le patate, che fornivano il cibo ai piccoli coltivatori a favore delle grandi coltivazioni di soia ogm delle grandi imprese legate alle multinazionali. I semi della biodiversità sono tutti persi . Si sono disciolte intere comunità, è aumentata la disoccupazione e la fame di quelli che erano contadini e ora sono braccianti “usati” solo per pochi mesi all’anno e non mangiano la soia resistente ai diserbanti che invece viene esportata in Europa come mangime.

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