Rosarno. Il tempo delle arance

16 Settembre 2010

arance

Antonello Zanda

A Rosarno, lo scorso gennaio, è stata scritta una pagina “nuova” nel libro del razzismo italiano. Certo, manifestazioni razziste striscianti si avvertono da tempo e difficilmente oggi potremmo dire che in Italia non c’è razzismo senza avanzare dei dubbi, manifestare problematiche perplessità. Perché dovremmo certamente chiederci cosa è dominante – ammesso che queste valutazioni possano essere raggiunte con un criterio simile – nella nostra società italiana: se prevale il comportamento di chi ritiene la solidarietà un principio anche normativo oltre che etico, oppure l’egoismo esclusivo tutto dedito alla cura dell’orticello e che scaccia ogni intruso e pericolo. Non è facile nemmeno entrare in possesso di tutti gli strumenti conoscitivi necessari per orientarsi: i mezzi di comunicazione sono condizionati e pilotati a tal punto che un minimo sguardo sociologico prima e politico culturale poi non può non tenerne conto. In questo marasma mediatico c’è invece ancora qualcuno che cerca di far vedere le cose semplicimente mostrandole con tutto il crudo realismo dell’accadere che incombe. È il lavoro sporco e necessario che fanno gli operatori video che non si rassegnano ai silenzi e alle manomissioni della stampa di regime.
Quello che è successo a Rosarno lo scorso gennaio è stato raccontato in un video da Luca Manunza e Nicola Angrisano dal titolo “Rosarno: il tempo delle arance” e realizzato da InsuTv (canale televisivo digitale terrestre indipendente) nei giorni dei pogrom e della deportazione degli immigrati. Rosarno è un piccolo centro agricolo calabrese che si popola enormemente di immigrati per la raccolta stagionale degli agrumi. Da anni l’economia sommersa e nera dell’Italia berlusconiana chiede braccia, arti e muscoli senza cuore e senza testa. Da anni si cercano braccia e purtroppo per loro, a lavorare si presentano uomini. Una società come quella di Rosarno, così degradata dalla corrosione mafiosa, non tollera però equivalenze. Così mentre i braccianti del luogo se ne stavano a casa a godersi l’assegno di disoccupazione, c’era chi per 20 euro al giorno faceva marciare questa economia. E per sottolineare bene le differenza alcune brillanti intelligenze della comunità di Rosarno da anni terrorizza i giovani senegalesi segregandoli e sparando su di loro. Il 7 gennaio un migliaio di lavoratori extracomunitari decide di reagire all’ennesima aggressione nei loro confronti con una rivolta che sfocia in scontri con la popolazione locale e con il successivo allontanamento degli immigrati. Gli operatori di InsuTv sono partiti subito e hanno filmato quanto accaduto in quei giorni, raccontando la tensione che si respirava nell’aria e mettendo a confronto le parole degli abitanti di Rosarno con quelle degli immigrati. È un filmato che in realtà va oltre il fatto locale, testimoniando la temperatura sgradevole delle nostra società. Il ritratto dello stato delle cose è sconcertante: le condizioni di lavoro e di vita sono drammatiche, la violenza è diffusa ed è esercitata nei modi più diversi da tutti i soggetti sociali: da chi ha parte determinante nei rapporti di lavoro (gli agricoltori) e anche da chi in silenzio sembra non voler partecipare (gli abitanti del luogo). Questo contesto mafioso lo aveva ben descritto nel 2003 l’ex sindaco di Rosarno, Peppino Lavorato, quando faceva presente a tutti e chiedeva, in particolare agli agricoltori, di «aprire gli occhi e riconoscere che il loro reddito è falcidiato e decurtato dall’imperio mafioso, che parte dalle campagne e arriva nei mercati. Negli anni ’70, la ‘ndrangheta ha allontanato dai nostri paesi i commercianti che pagavano il prodotto ad un prezzo remunerativo, per rimanere sola acquirente ed imporre il proprio basso prezzo. […] Si è poi impadronita di tutti i passaggi intermedi, fino ad arrivare nei mercati e controllare anche il prezzo al consumo. Questa è la filiera perversa che deruba agricoltori, lavoratori e consumatori. La filiera che bisogna combattere ed abbattere per assicurare il giusto reddito all’agricoltore, il legittimo salario al bracciante italiano o straniero, un equo prezzo al cittadino consumatore». Tutto si è fatto, ma non questo, perché la ‘ndrangheta è riuscita a controllare tutta la vita della comunità, dalla sua espressione politica alla sua manovalanza disoccupata. Il risultato sono le fucilate di alcuni gruppi razzisti di Rosarno e la ribellione a suon di barricate degli extracomunitari portati all’esasperazione da anni di vessazioni. Il contesto mafioso è poi assorbito dalla comunità che ha interiorizzato questa violenza virale. Perché altrimenti non si spiega come mai a Rosarno, da diversi anni, il principale divertimento è il gioco chiamato “gioco della nazionale”: lungo la via Nazionale, sugli scooter e con i bastoni si sfreccia vicino ai migranti che la percorrono a piedi di ritorno da lavoro, si prende la mira e si colpisce, come i giocatori di polo con la palla. La variabile più recente è quella di sparare con fucili ad aria compressa. Il film prodotto da InsuTv racconta l’ultimo capitolo di questo stillicidio criminale. Racconta la rabbia dei giovani lavoratori, quella che esplode nelle parole, nella smorfia del viso, nella incapacità di accettare di essere trattati come animali. È la cosa che ripetono più spesso i giovnai che provengono dalle zone più diverse dell’Africa e che da tutta l’Italia sono scesi a Rosarno per lavorare: siamo uomini o animali? Ma l’altro elemento più sconcertante che il film evidenzia in questa vicenda non è tanto l’assenza dello stato, quanto la sua abdicazione. Vedere le forze dell’ordine organizzare l’allontanamento degli extracomunitari è il segno di una sconfitta che pesa enormemente, anche simbolicamente, ma anche culturalmente. D’ora in poi se è in atto un’azione criminosa che vede una parte offesa di fronte a un soggetto che offende, l’ordine si può ristabilire non tanto impedendo al soggetto che offende di portare a termine la sua azione di offesa, quanto semplicemente allontanando la parte offesa. In quei giorni a Rosarno ha vinto il potere mafioso, che tiene sotto scacco una comunità consenziente e che detta legge e nuove regole a chi dovrebbe farla rispettare. Questa ferita di Rosarno è in realtà una ferita della democrazia italiana. Chi come Maroni – che dopo i fatti di Rosarno invece di intervenire a loro difesa ha sottolineato che c’è troppa tolleranza verso gli extracomunitari – non si rende conto delle conseguenze gravissime che hanno certi comportamenti delle istituzioni, non può permettersi di occupare il posto che occupano. Anzi: soprattuto noi non possiamo permetterci che costoro occupino quei posti. La prima cosa da fare per non permettere questo è far circolare il più possibile film come “Rosarno: il tempo delle arance”.

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