Papa Francesco in prima linea con i deboli

16 Gennaio 2014
Papa Francesco durante l'udienza generale del mercoledì
Gianfranco Sabattini

In occasione della festa dell’immacolata, nella celebrazione della tradizionale venerazione della statua mariana di Piazza di Spagna a Roma, Papa Francesco ha di nuovo ammonito i fedeli sulla necessità di non essere indifferenti riguardo ai poveri e a chi in generale si trova in stato di difficoltà esistenziale.
Il Papa continua così a dare prova della sua fedeltà alla cosiddetta teologia delle liberazione, sia pure nella versione argentina, che molti intendono separare dalla versione più radicale, quale è quella che viene esposta in un volume di recente pubblicazione: “Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della Chiesa”. Il volume, che riporta anche due scritti finali “cautelativi” dell’attuale prefetto delle Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Gerhard Ludwig Müller, è del teologo peruviano Gustavo Gutiérrez, membro dell’Ordine dei Frati Predicatori, considerato il fondatore della teologia della liberazione. Qual è la le missione di questa teologia, che tante perplessità e duri contrasti ha provocato all’interno della stessa Chiesa? La lettura del volume può essere d’aiuto per quanti, da posizioni laiche, si trovano impegnati a criticare, nella prospettiva di poterle vedere rimosse, le situazioni di ingiustizia distributiva che, in un momento come quello attuale, affliggono l’esistenza di un numero crescente di persone.
La teologia della liberazione parte dall’assunto che compito del teologo è quello di impegnarsi nella comunità ecclesiale per rendere la fede comunicabile, soprattutto verso coloro che ancora non conoscono il messaggio di Cristo. Intesa in tal modo, la teologia della liberazione mira ad orientare i destinatari del suo messaggio a seguire la testimonianza e gli insegnamenti di Cristo; inoltre, nello svolgimento della sua missione, mira a comunicare il mistero della fede, perché esso sia reso esplicito e comunicato, aspirando a tradursi in “scienza della rivelazione cristiana”, per fare apprendere, nell’ambito della realtà conosciuta, ciò che in concreto appare essenziale in ogni contesto; senza tuttavia scadere in una somma di teologie regionali, in quanto ognuna di queste ha già in sé una vocazione “ecclesiale universale”.
Sulla base del messaggio di una teologia così concepita, come deve un cristiano considerare le ingiustizie sociali che gridano vendetta al cospetto di Dio? Secondo Gutiérrez, il cristiano deve considerare tutti gli stati di bisogno del mondo tenendo presente il fatto che gli uomini sono esseri creati a immagine di Dio e che Cristo è morto affinché essi sperimentassero Dio come salvezza e vita in tutti gli ambiti dell’esistenza. In questa prospettiva, per la teologia della liberazione, la salvezza non si realizza in una sorta di mondo dell’aldilà, pensato in termini trascendentali, al di sopra del “parterre” del mondo secolare; se così fosse, afferma Gutiérrez, la religione cristiana, come ha sostenuto la critica marxista, si ridurrebbe a un’ideologia consolatoria, che consentirebbe solo la conservazione dell’ingiustizia all’interno di una concezione dualistica dell’esistenza, compresa tra promessa presente e realizzazione futura.
In questo dualismo, continua Gutiérrez, sta il limite della dottrina sociale della Chiesa, sorretta dall’idea che, da una parte, ci sia l’ordine della natura, le cui leggi sono intelligibili da una ragione astorica e, dall’altra, ci sia l’ordine soprannaturale della grazia. In questa prospettiva dualistica, persiste l’idea che lo Stato debba rimuovere gli stati di bisogno più elementari, “limitandosi invece la Chiesa a formulare in modo sussidiario i principi e gli obiettivi della giustizia e del bene comune”; tutto ciò è pensato possibile, senza fare ricorso alla fede e senza l’aiuto della grazia soprannaturale, accessibile agli uomini in funzione delle opere di bene da loro compiute.
Per sottrarsi alla logica della prospettiva dualistica, sostiene Gutiérrez, la teologia della liberazione parte dall’esperienza di Dio “come artefice di un unico mondo, della creazione e della redenzione di esso”, muovendo dall’unità dell’esperienza materiale con quella spirituale. A partire da qui, la teologia della liberazione ripropone in termini nuovi l’intera tematica teologica: a differenza della teologia classica, che si è limitata a giustificare l’agire costitutivo di Dio nel mondo, e di quella dell’ultimo secolo, orientata in modo più esistenziale-antropologico, che ha cercato di dare una risposta su che cosa per l’uomo fossero Dio, la rivelazione e la grazia e cosa significassero per la sua stessa comprensione di sé, la nuova teoria della liberazione aspira a giustificare l’agire liberante dell’uomo inaugurato da Dio e la sua partecipazione allo svolgersi del processo storico per realizzare il proprio riscatto dal bisogno, per trasformarsi in un cooperatore attivo del processo di liberazione.
Secondo questa nuova concezione teologica, infatti, il cristiano deve impegnarsi nel processo di liberazione, nella certezza di non avere a che fare con un rapporto astratto con la realtà; tuttavia, nello svolgimento del suo impegno, egli dovrà avere sempre presente che la liberazione alla quale aspira, in vista della libertà di tutti, potrà essere conseguita definitivamente solo nel regno di Dio. Sulla base di questo viatico, l’uomo può trasformarsi da mero oggetto dell’amministrazione statale o ecclesiale a soggetto attivo nel portare a compimento il processo di liberazione, trasformando lo Stato e la Chiesa da Stato e Chiesa per il popolo, in Stato e Chiesa del popolo; contribuendo, perciò, in questo modo, anche alla liberazione del popolo da ogni forma di “oppressione” culturale, aprendo ad esso la via verso “la meta della complessiva liberazione finale”.
Sul piano dell’impegno di tipo sociale, può il credente, ispirato al messaggio della teologia della liberazione, diventare “compagno di strada” del laico, anch’esso impegnato a contribuire alla liberazione del mondo dalle ingiustizie, che pensasse nel perseguire il suo intento liberatore di non aver bisogno dell’”ipotesi dell’esistenza di Dio”? Si, può diventarlo, a patto che, così come il laico (non-credente o agnostico) ripone la sua fede nel valore della conoscenza traibile dalle scienze sociali senza la pretesa di relegare la teologia a loro “scienza ausiliaria”, il credente, libero di conservare la sua fede nell’esistenza di un mondo trascendentale, non deve pretendere che le scienze sociali, utilizzate per trarre da esse la conoscenza del mondo naturale, siano usate in modo esclusivo come scienze ausiliarie della teologia. Su questo punto, la teologia della liberazione non fuga ogni dubbio.

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