Quest’anno di gran festa per l’Italia

1 Aprile 2012

Giulio Angioni

Quest’anno di gran festa per l’Italia
ho riavuto vertigini
storico-geo-politiche
di patria appartenenza
della mia vecchia infanzia,
quando di Garibaldi non capivo
i ripetuti esili di Caprera,
ridetti e ribaditi nel duemila e undici.
Che l’eroe dei due mondi
sia partito in America in esilio,
questo sì m’era chiaro,
anche se lì ci è andato
apprendista eroe. Ma qui a Caprera?
Libri di storia e feste per l’Italia unita
continuano a ripetere che Garibaldi
andava e ritornava, in esilio, a Caprera:
sì, dopo la Repubblica Romana,
l’epopea dei Mille, dopo Mentana
e l’Aspromonte ferito a una gamba,
dopo l’Obbedisco, dopo Sedan,
con sacchi di fagioli e stoccafisso
oppure senza, sempre esule triste
verso terra straniera,
qui da noi a Caprera.
Dovunque Garibaldi a far l’eroe,
a Caprera in esilio.
Ci ragionavo su, da tamburino sardo,
con un bisnonno ferito in Crimea:
Garibaldi nizzardo,
suddito del Regno di Sardegna,
in che razza di esilio ci veniva,
venendo a Caprera in Sardegna?
E quando ci tornava come suddito
del nuovo re, ma sempre quello,
fatto da Garibaldi combattendo
re dell’Italia intera?
E se tornava a Nizza dov’è nato,
non più sarda, ligure o piemontese,
ma rifatta francese?
Misteri della patria, misteriosi
non meno dei misteri della fede,
come la Santa Vergine Maria
dell’Uno e Trino
madre, figlia e anche sposa.
Sarà per via del mare,
concludevo, sempre tra il dire e il fare.
Oggi così tutto ritorna,
oggi che fossero magari
solo gli esili antichi di Caprera
a fare turbolenze identitarie
nell’Unione d’Europa poco intera.

Adesso un Garibaldi l’hanno messo
qui in fondo a viale Italia,
certuni, sassaresi, nei giardini
davanti all’emiciclo Garibaldi
che non c’è più, sparito.
Resta il nome: emiciclo Garibaldi,
con in mezzo la statua di Mazzini
e l’emiciclo fatto semiquadro.
Hanno quadrato il cerchio, i sassaresi.
Da un secolo in equivoco del nome,
oggi chissà che ne direbbero
questi due grandi padri della patria
di un pubblico garage a pagamento,
qui sotto l’emiciclo dell’Eroe
dove per me era Sassari arrivando
con la Pani da giù nel Campidano?
Bello era l’emiciclo Garibaldi,
anche se c’era il busto di Mazzini,
che c’è ancora, lui, rimesso
in cima a una colonna a meditare
serio serio sul popolo e su Dio,
gli occhi fissi alla nuca del Nizzardo
fuori dall’emiciclo col suo nome,
di là dal Corso Margherita di Savoia,
che non so di che re fu mai regina.
E sento, qui, sotto la luna,
se mi metto a guardarlo proprio in faccia,
alto più o meno quanto un sardo,
il nuovo Garibaldi a mezzo busto,
mi si forma qualcosa di simbolico,
se guardo in su, più in là di Garibaldi,
di Mazzini che resta sempre là
nell’emiciclo quadro che lo fa perplesso,
e se poi salgo ancora con lo sguardo
dritto fino a piazza d’Italia
lungo via Carlo Alberto,
ecco su re Vittorio ritto in piedi
re di Sardegna fatto re d’Italia:
i padri della patria tutti in fila
lungo un tiro di schioppo tutti e tre,
o quattro, con molti altri intorno
e pure qualche madre, e per codazzo
certi parenti poveri locali.
Fatta l’Italia e pure gl’italiani,
tutto il mondo è paese.
Ci scherzerà la cionfra sassarese,
come i cagliaritani
fanno con quel Carlo Felice
che mostra la sua strada fino a qui,
messo in alto vestito da romano,
lo scettro minaccioso nella mano.
Forse non l’hanno fatto apposta
questi impiccababbi.
Però fa un certo effetto
quest’infilata risorgimentale,
così monumentale.
A me dice qualcosa,
specie di notte quando c’è la luna,
la stessa di Caprera in mezzo al mare.

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