Sulla questione sarda e il movimento comunista

1 Novembre 2020

[Mattia Uzzau]

Prosegue il dibattito lanciato dalle redazioni di Democrazia Oggi, il manifesto sardo e Aladin Pensiero e partito dall’articolo di Gianfranco Sabattini in risposta a Paolo Fadda dal suo intervento sull’Unione Sarda del 10 Ottobre, dal titolo “La Questione Sarda”. Pubblichiamo un contributo dello studente Mattia Uzzau che partendo da una ricerca storica ha messo in relazione la questione sarda con il movimento comunista.

Nell’ideologia comunista, l’autodeterminazione dei popoli dovrebbe essere una parte fondamentale. Già nel 1917, la nascente Unione Sovietica riconosceva in maniera assoluta il principio alla sovranità e all’autodeterminazione dei popoli della Russia.

La Storia insegna che i comunisti e il movimento comunista, prevalentemente in oriente, si sono sempre schierati contro i paesi imperialisti e colonizzatori, in favore dei popoli oppressi che hanno lottato contro i loro oppressori e colonizzatori, come è successo con la rivoluzione di Ho Chi Minh in Vietnam prima contro i francesi e contro gli statunitensi dopo, e come è successo con Fidel Castro nella rivoluzione cubana, che ha liberato il popolo dal dittatore Fulgencio Batista che era un burattino degli Stati Uniti e rendeva Cuba una colonia, trasformandola in una delle cosiddette Repubbliche delle Banane.

In occidente però, la situazione si fa molto più complessa: sembra infatti che i comunisti occidentali che, naturalmente, si schierano a favore dell’autodeterminazione dei popoli e contro l’imperialismo in oriente e nei paesi del terzo mondo, quando si tratta di casa loro siano intorpiditi da un velo di colonialismo e di imperialismo di fatto interiorizzato.

Se si guarda l’Italia, infatti, si nota una quasi totale trasformazione nel linguaggio politico quando si va a parlare di popoli che hanno subito la colonizzazione sabauda, in primis la Sardegna. Spesso i comunisti dimostrano un atteggiamento superficiale verso le lotte contro la subalternità dei popoli oppressi e delle minoranze nazionali e le tacciano di “nazionalismo borghese”.

Eppure non è sempre stato così. Nel programma d’azione del Partito Comunista d’Italia (tesi di Colonia del 1931) si nota infatti una particolare attenzione per il meridione, la Sicilia e la Sardegna e si parla addirittura, in linea con il principio dell’autodeterminazione dei popoli, di dare libertà alle minoranze nazionali vittime dell’imperialismo italiano, affermando che la rivoluzione proletaria darà a questi popoli un’organizzazione politico-amministrativa autonoma all’interno della “Federazione delle Repubbliche socialiste e soviettiste d’Italia”, di cui questi popoli potranno disporre di diritto in piena libertà(1).

Queste tematiche invece, sia dopo la seconda guerra mondiale che attualmente, sembrano venire totalmente ignorate dalle organizzazioni comuniste italiane. Infatti, spesso non si parla mai di rivendicazione dell’autodeterminazione del popolo sardo nel linguaggio comunista contemporaneo, e spesso si dimentica che l’Italia si è sviluppata in maniera imperialista a danno di altri popoli a lei sottomessi. Queste tematiche invece sono presenti in Gramsci, che rivendica il diritto del popolo sardo alla sua autodeterminazione e allo stesso tempo denuncia ferocemente lo sfruttamento dello Stato Italiano e dei Piemontesi sull’isola. In un articolo su “Avanti!” del 17 febbraio del 1920, Gramsci così scrive: «È necessario ricordare che lo Stato italiano si è costituito e si è sviluppato imperialisticamente, per fare gli interessi di ristretti gruppi capitalistici dell’Italia settentrionale. La grande industria e l’alta banca posseggono oggi il potere di Stato e lo usano per estorcere profitto sia alla classe operaia direttamente soggiogata alle loro casseforti, sia alle regioni dell’Italia meridionale e delle isole sotto forma di tariffe doganali e di un sistema fiscale che fa gravare sulla miseria del Meridione e delle isole le spese generali dello Stato. La Sardegna si trova quindi, nei confronti del governo centrale, in condizioni economiche e politiche simili a quelle della classe operaia nei confronti del capitalismo»(2)

Lo sfruttamento che la Sardegna subisce da parte dello Stato Italiano, oggi, non è affatto terminato. Anzi, se prima si parlava di sfruttamento economico e di oppressione culturale, oggi si possono aggiungere anche lo sfruttamento militare e quello ambientale dell’isola.

Durante l’estate siamo stati testimoni di come la Sardegna venga ancora oggi vista come una colonia per le vacanze e diventi importante nel dibattito politico nazionale solo ed esclusivamente quando si parla di turismo. Complici anche anni e anni di governi regionali incapaci, oggi la Sardegna si ritrova ad avere settori altamente arretrati rispetto al resto d’Italia, come per esempio la sanità, e allo stesso tempo si ritrova ad essere alla mercé di imprenditori o di altri stati quando si parla di sfruttamento militare. Come abbiamo visto a Luglio e Agosto, la Sardegna è stata sfruttata ampiamente dal punto di vista turistico, dandosi alla riapertura sfrenata di tutto e facendo il favore degli imprenditori italiani, Flavio Briatore in primis. Tutto ciò con la complicità del governo regionale filo-leghista di Christian Solinas. Ciò è stato permesso senza naturalmente valutare se la Sardegna fosse effettivamente pronta a fronteggiare una crisi sanitaria pesante come quella che sta provocando il coronavirus, col risultato che la sanità pubblica è in ginocchio.

Un altro problema dell’isola è quello ambientale: la Sardegna risulta essere la regione con più ettari di Siti di Interesse Nazionale (SIN) d’Italia, che ammontano a 445.000, ovvero 100.000 in più rispetto alla seconda regione più contaminata. Questo inquinamento è naturalmente causato da industrie e aree militari, tra cui spicca l’area industriale di Porto Torres.

Ma c’è un altro tipo di sfruttamento, spesso ignorato, che è il più feroce di tutti: quello militare. La Sardegna infatti risulta essere tra le regioni più militarizzate d’Europa, e subisce lo sfruttamento non solo dello Stato Italiano ma anche della NATO. Questo sfruttamento si traduce in un enorme danno sia al territorio che all’economia e alla popolazione sarda, in quanto sono stati innumerevoli i casi di civili ammalati a causa delle esercitazioni militari italiane o di altri Paesi che pagano l’Italia per poter sfruttare il territorio sardo. Tutto ciò naturalmente giova solamente allo Stato Italiano, mentre l’isola si ritrova ad essere utilizzata come una colonia militare, senza vedersi risarcita di alcun danno e senza possibilità di opporsi in alcun modo.

Il sardismo – al di là della triste degenerazione del Partito Sardo d’Azione oggi alleato della Lega – è un sentimento forte nell’isola, ma che va indirizzato. Infatti, c’è il rischio che questo sentimento venga sfruttato da altri movimenti politici che rischiano solamente di arrecare danni al popolo sardo, come già valutava Gramsci nel suo appello all’internazionale contadina: «Il Partito Sardo d’Azione vuole essere l’espressione della nuova coscienza sociale e politica della Sardegna, ma esso non ha ancora un programma concreto, evidente ed una tattica che possa garantire il successo.[…] Nel congresso di Macomer la maggioranza votò per la costituzione di una Repubblica autonoma di Sardegna. In questo primo momento il Partito Sardo d’Azione fu veramente un partito di masse, perché fu un partito di soldati inquadrato da giovani ufficiali. Poi il Partito Sardo abbandona la sua forma originaria e si allarga a comprendere tutti quanti vogliono aderirvi: ed ecco antichi schiavisti sardi ed avvocati di vecchie cricche e politicastri d’ogni politica […]. Attraverso questa politica il Partito Sardo si allea alle vecchie cricche che rappresentano il legame necessario alla politica schiavista del capitale continentale sui contadini sardi»(3) Questo discorso, che può sembrare lontano in realtà, analizzato nel contesto a noi contemporaneo si scopre essere drammaticamente vicino. Il Partito Sardo d’Azione al governo oggi in Sardegna è infatti stato sfruttato dalla destra, e infatti Christian Solinas è alleato di Matteo Salvini e le scelte politiche delle ultime settimane già citate prima sono effetto di questa volontaria sottomissione del PSd’Az nei confronti dello Stato Italiano. Vediamo dunque che il sardismo può essere di varia natura: esiste ancora oggi un sardismo di sinistra e rivoluzionario, ed è compito dell’avanguardia farlo rinascere e farlo crescere, anche mantenendo rapporti strategici con chi in Italia lotta contro il colonialismo e il capitalismo.

In conclusione, se ci si definisce comunisti bisogna riconoscere sin da subito che esistono tipi di sfruttamento imperialisti e colonialisti anche “a casa propria”, nel nome del socialismo, della libertà e dell’autodeterminazione dei popoli.

1 Testo completo in Programma d’azione del PCI. Cfr. Il IV congresso del Partito comunista d’Italia (aprile 1931), Tesi e risoluzioni, Parigi, Edizioni di cultura sociale, 1931. Si veda anche Paolo Spriano, op. cit., vol. II, pp. 315-316;

2 A. Gramsci, La Sardegna e la classe operaia, Avanti!, 17 febbraio, 1920

3 Appello dell’Internazionale contadina, p.460

Un ringraziamento speciale va a Cristiano Sabino, che ha aiutato l’autore nella stesura dell’articolo, fornendo le fonti e le informazioni qui riportate.

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