La solitudine dei sindaci

16 Dicembre 2012
Graziano Pintori
“Spero solo che il tempo mi aiuti a tornare la persona che sento di essere con gli stessi sentimenti e stesso coraggio che sempre mi ha accompagnato”.
E’ una frase che il Sindaco di Mamoiada, Graziano Deiana, ha espresso come risposta all’ANPI che nei suoi confronti aveva manifestato solidarietà e incoraggiamento a resistere nel suo ruolo, nonostante gli attentati subiti. E’ una frase che dà l’idea dell’uomo meditativo, cosciente della gravità dell’atto subito e delle responsabilità che lo legano alla sua comunità e alla democrazia. Graziano Deiana ha ritrovato i suoi sentimenti e il suo coraggio, ha ripreso l’incarico politico più volte affidatogli con le elezioni e, infine, con la grande e affettuosa manifestazione delle donne e degli uomini del suo comune. Mamoiada è un paese della nostra terra che, dopo aver subito per anni patimenti e lutti, ha riscoperto, proprio con il sindaco Graziano Deiana, il valore nobile del proprio passato fuso nella genuinità della cultura e delle tradizioni, da cui sono nati interessanti e proficui movimenti turistici e culturali. Ci si chiede, visti i tanti sindaci, assessori, tecnici comunali, impegnati onestamente e democraticamente per il bene delle collettività, perchè nonostante tutto sono sottoposti a frequenti intimidazioni?
In Sardegna gli atti intimidatori sono diffusi e si caratterizzano secondo i tempi e i luoghi in cui si compiono, di conseguenza non è facile capire l’insieme dei motivi che li generano. La lunga esperienza amministrativa mi porta inevitabilmente a considerare almeno un punto di convergenza, nonostante le realtà variegate, che lega questi fatti alle amministrazioni comunali, ossia le tante funzioni trasferite dallo stato e dalla regione ai comuni, trasformandoli in solitari avamposti da dove affrontare il “resto del mondo”: quello di un paese di Barbagia, di un capoluogo o di un grosso centro turistico costiero. Luoghi in cui, proprio per le multiple funzioni attribuite agli enti locali, certe categorie di persone confondono i comuni con le agenzie per l’occupazione, altre pensano che siano luoghi in cui si distribuiscono risorse  senza criteri amministrativi e burocratici. Inoltre, nel “resto del mondo”, ci sono uomini che spesse volte non hanno voce, che vivono nella disperazione che li induce ad interpretare, per esempio, il mancato sussidio comunale, o l’essere stati scavalcati da altre persone in una delle tante graduatorie per il lavoro temporaneo, come un fatto personale, come un atto persecutorio. Da lì al risentimento per l’esclusione, al tormento della gelosia e all’impeto dell’ira sorda e violenta il passo è breve.
Ci sono, inoltre, altri uomini che per impossessarsi delle risorse del territorio si coalizzano in gruppi di interesse e di pressione, con lo scopo di condizionare le decisioni degli amministratori pubblici. In questo campo il livello criminale sale con le “bocche di fuoco”, è una forma di criminalità economica che per controllare il flusso delle risorse colpisce indistintamente amministratori e tecnici comunali, imprese pubbliche e private. Queste persone senza scrupoli, per raggiungere i propri fini, si avvalgono di altri malavitosi prezzolati immersi nella subcultura della violenza, i quali tendono a trasformare rapidamente il reato in denaro sonante. Penso, purtroppo, che questa tipologia di persone in Barbagia siano tante, sono quelle che vestono solitamente di velluto con un rapporto apparente con l’economia pastorale, un paravento di legalità per cannibalizzare auto rubate e trasformare gli ovili in campi di cannabis e marijuana. Sono gli stessi che si abbandonano a atti vandalici fini a se stessi, come l’incendio delle auto, il danneggiamento del bene pubblico, le fucilate contro le case degli amministratori di turno. Sono gruppi di persone che pur indossando i panni dei pastori e atteggiandosi a interpreti del codice barbaricino, dietro una falsa e cattiva “balentìa”, sono più affini a quelli dell’”Arancia Meccanica”,  una sorta di bullismo “sardegnolo” altrettanto pericoloso, con il vano proposito di intimorire le loro stesse comunità.
E’ arduo cimentarsi sulle cause degli attentati contro gli amministratori pubblici, però, ripeto, tale fenomeno ha avuto maggiore impulso e diffusione da quando lo Stato ha deciso di decentrare la sua presenza dai territori. In questo modo si sono accentuate le vulnerabilità delle amministrazioni locali, sia perchè impreparate ad accollarsi tante nuove e gravose responsabilità, sia perché la scure della politica dei tagli e del rigore ha colpito soprattutto questi avamposti istituzionali. Sono gravi le responsabilità governative di quanto accade e sta accadendo ai comuni, soprattutto a quelli che operano ai confini dell’impero; decentramento non significa da un lato chiudere fabbriche, privatizzare i servizi e dall’altro ridurre i comuni a gabellieri di Stato, per poi lasciarli in perfetta solitudine a fronteggiare il non futuro dei cittadini, anche quando questo alimenta certe forme di violenza. Senza nulla togliere alle responsabilità individuali di chi commette certi misfatti, sarebbe più opportuno, e anche l’ora, che le consuete manifestazioni di solidarietà, nei confronti delle vittime di attentati, venissero organizzate oltre che con gli intenti di pace e di perdono anche con la consapevolezza che certi atti siano generati indirettamente dallo Stato, che ha scelto la latitanza dai nostri territori.

1 Commento a “La solitudine dei sindaci”

  1. Massenzio Ballerini scrive:

    Mi sembra che l’articolo abbia centrato alcuni punti,sopratutto sulla organizzazione criminale degli attentati,nel senso che alcuni non sono atti isolati ma hanno dietro un disegno paramafioso sulle economie del paese ; diverso è quando si addebita alla collettività e allo Stato le emergenze del singolo . Voglio dire che purtroppo il codice barbaricino dell’onore e valore non ha più una trasmissione generazionale (il padre che insegna al figlio con il suo comportamento), ma sono rimasti il bullismo e la vendetta senza motivo per torti presunti . Quindi non è colpa dello Stato ma del venir meno di meccanismi che regolano la nostra violenza . Ricordo che fino a qualche decennio fa toccare una ragazza nella Sardegna interna era una cosa disonorevole e chi la faceva sapeva bene a cosa andava incontro : ostracismo e altro….. ; era la collettività e la famiglia che ti diceva cosa era bene e male e non si aspettava l’intervento dello Stato per punire ! Quindi non credo che sia la tendenziale latitanza della autorità costituita a spingere verso gli attentati ; non è la crisi, perché da noi la crisi è sempre (come la “Resistenza “) . Sarebbe meglio analizzare le mutazioni antropologiche che hanno cambiato la nostra collettività invece di cercare un facile bersaglio nella disoccupazione. Sarebbe meglio dire che adesso il valore del singolo è quello che può vantare,non quello che sente di essere , il denaro che ha in tasca non il giudizio che ha di sé stesso ,un singolo non un tutto!

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