La lotta degli agricoltori di Decimoputzu

16 Gennaio 2008

Elias Vacca

La vicenda delle aziende agricole sarde interessate dalla crisi creditizia ha consentito, attraverso il movimento spontaneo di Decimoputzu, di riportare al centro dell’agenda politica il tema della pluriennale sofferenza del settore agro-pastorale non esistendo allo stato proporzione alcuna tra gli investimenti necessari alla produzione, tra costi fissi e variabili, e prezzo di vendita dei prodotti ai distributori. Ciò senza neppure considerare gli alti costi del ricorso al credito. La verità è che per un tempo assai lungo, prima dell’assunzione della legislazione comunitaria a fonte di rango primario, sovraordinata alla legislazione nazionale e conseguentemente a quella regionale nei casi di devoluzione della relativa potestà, il settore agro – pastorale sardo ha vissuto fuori della realtà. Un po’ come per altri versi è accaduto per le piccole e medie industrie del nord – est del Paese prima della globalizzazione e dell’entrata dell’Italia nell’area dell’euro. Così ha potuto sopravvivere un’agricoltura spesso fuori del tempo, sostenuta da provvidenze a pioggia e sempre riferite a calamità, sciagure, epidemie e contribuzioni per la non attività. Un enorme apparato clientelare, bacino elettorale dei potentati politici di turno che gestivano il settore a metà strada tra l’attività produttiva, la sanità e l’assistenza sociale. In questo contesto ha potuto trovare approvazione la legge n. 44/88 che ha inciso su uno dei settori cosiddetti sensibili in modo tale da agire sul settore del credito agevolando la concessione di mutui che le aziende agricole hanno utilizzato non solo e non tanto per l’adeguamento della struttura produttiva o per l’ampliamento della stessa, ma il più delle volte per ripianare passività preesistenti con gli stessi istituti di credito eroganti. Si è agito in pratica sull’effetto (l’indebitamento) trascurando le cause dello stesso. Paradossalmente potrebbe dirsi che l’aiuto pubblico vietato dalle direttive europee ha interessato contemporaneamente il settore bancario e quello agricolo, con una netta prevalenza, almeno a vedere i risultati, per quest’ultimo che ha visto la concreta possibilità di realizzare crediti ormai abbondantemente inesigibili o di difficile esazione. Naturalmente la legge in questione è stata cassata in sede comunitaria, anche perché nessuno si era peritato di notificarla in quella sede. Da diversi anni a questa parte la circostanza era nota anche agli istituti bancari, i quali, dal canto loro, si sono ben guardati dall’affrontare spontaneamente il tema con la Regione, con le associazioni di categoria e con i singoli debitori. Hanno anzi lasciato andare le cose, emettendo decreti ingiuntivi a raffica, quasi mai opposti dagli agricoltori privi delle necessarie conoscenze giuridiche o delle risorse economiche per gli avvocati, facendoli seguire da atti di precetto, da pignoramenti delle aziende e dei beni personali dei mutuatari e dando luogo alla più rilevante spoliazione in danno dei contadini che la storia dell’isola conosca. Lo sceriffo di Nottingham in confronto era un benefattore. Da questa vicenda naturalmente, siccome in economia come in chimica nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma, sono scaturiti cospicui trasferimenti di ricchezza dagli esecutati agli aggiudicatari. E siccome è cosa nota almeno a chi scrive il fatto che mai i beni pignorati vengono venduti all’asta per il loro valore reale, che le spese di procedura si mangiano una cospicua fetta del ricavato, i debitori colpiti dalle esecuzioni si sono visti portar via i beni per un tozzo di pane spesso da speculatori senza scrupoli. Questa vicenda, cui si tenta di porre rimedio anche attraverso gli strumenti legislativi (l’art. 47 dell’ultima finanziaria è un primo importante passo in questa direzione), ha riportato a galla in tutta la sua drammaticità la situazione complessiva delle aziende agropastorali sarde e la nostra incapacità di incidere a livello comunitario allo scopo di far affermare che la condizione di insularità così come si è fatto per il sistema di trasporto delle persone, non può non essere tenuta nel debito conto nella individuazione degli aiuti non consentiti nei settori cosiddetti sensibili. Anche quello dei trasporti è un settore definito sensibile in sede comunitaria, ciononostante si è ritenuto da parte della Corte Europea che il principio di libera concorrenza dovesse cedere il passo, in considerazione della insularità della Sardegna, di fronte a quello di coesione territoriale. Analoga valutazione non mi pare mai neppure proposta per il settore agro-pastorale. Diciamo che fino a questo momento siamo stati molto impegnati in un circolo vizioso ed autoalimentato nel quale la politica, con il pretesto di sostenere l’agricoltura ha sostenuto nei fatti il sistema bancario, molti finti agricoltori hanno abbondantemente attinto alla inesauribile fonte dei contributi regionali anche a fondo perduto ed al credito agevolato, costituendo l’esercito di clientes di una certa classe politica, altri incolpevoli ed ingenui operatori del settore sono rimasti prigionieri della ragnatela. Mi pare l’occasione buona per aprire una vertenza complessiva sulle condizioni del settore a cominciare dalla richiesta di un tavolo permanente tra Stato, Regione, organizzazioni di categoria le cui determinazioni vengano fatte valere in sede comunitaria. Una vasta e lunga moratoria sulle cause, le esecuzioni, i sequestri in corso contribuirebbe a rasserenare il clima nel frattempo. Le banche non avranno di che piangere considerato che le loro garanzie con le opportune cautele non andrebbero disperse. Solo gli avvoltoi che girano intorno alla crisi del settore avrebbero di che lamentarsi, per lo sfumare di molte ghiotte occasioni speculative. Ma io un avvoltoio piangere non l’ho visto mai.

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