I vivi e i morti

1 Marzo 2011

Mario Cubeddu

Chi segue ciò che avviene in Cirenaica e Tripolitania è oggi in grado di capire la forza di questo popolo, l’energia che è capace di mettere in campo chi decide di battersi per i valori in cui crede. In questo caso la libertà. L’ultima mail mandata da Gheddafi ai suoi concittadini conteneva un’offerta di denaro che tutti hanno respinto con sdegno. I libici non si fanno comprare. Un chirurgo lascia la carriera a Londra si precipita a Bengasi per curare le centinaia di giovani presi di mira con le armi da guerra. Una lotta giusta contro un tiranno. Con un messaggio rivolto all’Italia e all’Europa: queste lotte ci riguardano. La Libia è a due passi da noi, la Sardegna è a uguale distanza da Tunisi come da Civitavecchia e da Maiorca. Perché un giovane rivoluzionario sardo, italiano, europeo, non può lasciare tutto e partire per la Libia? Sarebbe stato normale quando il Marchese di Lafayette partiva per l’America, è stato normale nel 1848, arrivò a dimensioni di massa quando i giovani europei furono chiamati a difendere la Repubblica spagnola. E quindi, perché no, in un’Europa di giovani alla ricerca di un senso per la loro esistenza?  Quale modo migliore per dichiarare una condivisione di ideali che eliminerebbe ogni pericolo di radicalismo religioso integralista?  A parte ogni considerazione sulle condizioni attuali della gioventù europea dal punto di vista economico, culturale, mentale, ci sono forse questioni territoriali, per non dire razziali, che impediscano di considerare la libertà africana meno pregiata di quella europea? I libici continuano ad essere gli occupanti abusivi di una quarta sponda che l’eredità di Roma imperiale e sempre vittoriosa ha lasciato all’Italia? Il Manifesto quotidiano, come al solito, è illuminante. Solo da Alberto Maria Banti  e dal suo “La nazione del Risorgimento”,  poteva arrivare una risposta compiuta al delirio patriottico di Roberto Benigni, sostenuto da ex fascisti e dall’entusiasmo di ciò che in Italia si continua a considerare sinistra. Alle precisazioni di Banti hanno fatto seguito gli articoli di Luciana Castellina e di Rossana Rossanda sugli equivoci delle rivoluzioni progressiste ai margini dell’Occidente capitalistico. Ma non è questo il tema dell’articolo. Che vuole parlare di come vengono recepite da noi le lotte e le sofferenze delle popolazioni del Nord-Africa.  Enrico Letta, seduto tra Rosi Bindi ed Enrico Franceschini di fronte ai deputati della Repubblica , si dichiara preoccupato che la Libia diventi una nuova Somalia e auspica pace e tranquillità. Non dice che potrebbero arrivare solo dalla fine del regime di Gheddafi. Sembra invece l’ammissione di colpa collettiva della classe dirigente di un paese che ha avuto pesanti responsabilità coloniali. Peccato che si parli poco della lotta che nello stesso tempo si porta avanti in Libia  per la libertà e per una vita migliore. Anche per lo schieramento di opposizione la Libia, l’ex colonia italiana sembra essere più che altro motivo di rimorso e  fastidio. L’ipocrisia di Berlusconi e del suo governo, poi,  sono pari all’impudenza con cui cavalcano ogni tema utile alla propaganda della loro politica. Ormai siamo davvero ai limiti della sfrontatezza in mala fede di un Joseph Goebbels. Sarebbe tempo di avere anche per noi, per la Sardegna, per l’Italia, per l’Europa,  una politica diversa e una società libera, vivace, solidale. E’ difficile non essere sopraffatti dallo sconforto di fronte allo spettacolo della politica ufficiale italiana. Tanti sono convinti che meriterebbe un’insurrezione analoga a quella del nord Africa. Non ci sono i motivi, o non c’è coraggio sufficiente? Siamo troppo guasti e compromessi per osare il rischio della vita e della morte che affrontano migliaia di giovani libici? Solo le donne italiane sono state in grado di esprimere con la loro manifestazione del 13 febbraio una tensione morale all’altezza della gravità dei tempi che stiamo vivendo. E’ che ci sono i vivi e ci sono i morti, e i vivi si comportano da vivi e i morti si comportano da morti. Un vecchio Presidente del Consiglio, terrorizzato dall’impotenza, per eccitarsi fa rappresentare da poverette reclutate a decine la recita della seduzione. I vivi finti della Padania che occupano il centro della scena politica evocano il fantasma di milioni di invasori presentati come zombies. La debolezza della reazione italiana di fronte al massacro di una gioventù inerme si spiega  con l’opportunismo senza alcun principio morale, e soprattutto politico, dei governi e dei ministri italiani. Non a caso il posto più pericoloso e socialmente degradato del mondo, la Somalia, è un’ex colonia italiana. In risposta alla lotta di ragazzi che muoiono per le strade, a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste, uno che fa il Ministro degli Interni della Repubblica Italiana senza vergogna lancia l’allarme sul milione  e mezzo, “forse anche due”, di nord-africani che si preparano a invadere l’Italia. Ai patrioti della Padania non importa nulla della libertà degli altri popoli, tutti nemici della loro tranquillità, tutti invasori da respingere con i mitra. Ognuno capisce cosa c’è in gioco, solo i nostri sardisti fanno finta di non saperlo. Leghisti e sardisti appaiono in televisione e camminano per le strade fingendo di essere vivi, ma sanno benissimo di essere già morti.

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