Eppur si muove?

16 Giugno 2009

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Laura Stochino

Il risultato elettorale delle Europee ci consegna in modo inequivocabile un’Europa che affida alla destra o all’astensionismo l’uscita dalla crisi e conseguentemente un evidente fallimento delle esperienze socialdemocratiche degli ultimi anni. Anche nei Paesi dove queste esperienze hanno una fisionomia più definita e progressista, lontana dai paradossi nostrani, come la Spagna di Zapatero, si evidenzia un arretramento. Per quanto non del tutto lecito, possiamo analizzare questi dati valutandoli come dei giudizi elettorali che sondano il consenso del governo nazionale di riferimento piuttosto che come un vero giudizio sulle scelte fatte negli ultimi anni dal parlamento europeo.
In questo senso è emblematico il caso italiano, per più di un aspetto. In Italia la Lista Comunista e Anticapitalista non raggiunge lo sbarramento, mentre nel resto d’Europa lo stesso tipo di coalizione, con ovvie distinzioni, raccoglie diversi consensi e riesce a costruire credibilità intorno ad una proposta politica di alternativa ai governi socialdemocratici. Non ci sfugge il fatto che solo da noi queste stesse forze, comuniste e anticapitaliste, hanno condiviso e sostenuto governi di alleanza con i partiti di centro-sinistra. L’ultimo governo Prodi, con il suo epilogo, pesa profondamente sul giudizio a cui la sinistra e i comunisti in particolare devono sottoporsi nella competizione elettorale. Sicché per quanto si debba rilevare una battuta di arresto nell’avanzata del Popolo della Libertà, non si può altrettanto dire che ad esso corrisponda una ripresa delle forze della Sinistra moderata e di quella antagonista. Certamente si pone un freno al progetto bipartitico, ma resta uno sbilanciamento del Paese verso forze, anche meno numerose ma in ascesa, la cui proposta politica è in più aspetti di destra. Non solo la Lega, la cui natura razzista e xenofoba è chiara a tutti, ma lo stesso partito di Di Pietro in campo economico ripropone le formule del neoliberismo. Siamo quindi in una fase politica per cui, parafrasando Antonio Gramsci, se il vecchio morisse il nuovo non nascerebbe ancora.
Da questo contesto non si sottrae la Sardegna, il cui forte astensionismo è già un dato politico che rivela la disattenzione e la disaffezione dei sardi nei confronti dell’Europa e della politica partitica. Rispetto alle politiche del 2008 e alle regionali 2009 il centro-destra subisce un forte colpo sia in termini percentuali sia in termini assoluti (da 415.252 voti a 202.145); di contro il Partito Democratico, per quanto in ripresa rispetto alle regionali, non riesce a recuperare l’emorragia di voti rispetto alle politiche 2008. Credo che in questi dati pesi un giudizio negativo verso gli ultimi governi nazionali e regionali diretti dal centro-sinistra, cosicché ai cedimenti di consenso verso il servile governo regionale di Ugo Cappellacci non corrisponde nessuna fiducia verso l’alternativa moderata del PD. A questa sorte non si sottrae del tutto la Lista Comunista Anticapitalista anche se su questo risultato è necessario esprimere un giudizio più complesso per iniziare un ragionamento sul che fare a partire da oggi.
In Sardegna la Lista Comunista Anticapitalista supera in tutte le province (tranne la Gallura) il 4% un dato che rispecchia un radicamento diffuso delle forze comuniste organizzate e della fiducia che questa proposta politica ha iniziato a raccogliere nell’isola. Le preferenze che i giovani candidati raccolgono (Laura Stochino 8.348; Alessandro Corona 5.753) dopo una campagna elettorale fatta con poche risorse economiche e la censura della carta stampata, completamente affidata all’impegno dei e delle militanti ci dicono alcune cose:
Una campagna elettorale costruita sui contenuti e sul coinvolgimento di tutti i territori attraverso l’iniziativa politica dei suoi candidati è un buon metodo per riattivare il circolo virtuoso della partecipazione democratica.
La candidatura condivisa ed espressione reale del partito e della sua presenza nel territorio è uno strumento per veicolare una proposta politica e per ricostruire legami umani e politici, interni ed esterni alle forze della lista, che sono la base per un lavoro politico di respiro più ampio.
Credo che in Sardegna si sia ottenuto un risultato che ci deve spingere a continuare nel cammino iniziato; questo dato di resistenza ci dice che nel nostro territorio, dopo anni di scelte sbagliate e maggioritarie, coloro che si riconoscono non solo nei partiti comunisti, ma nel progetto di una sinistra aggettivata, alternativa e autonoma dal PD hanno nuovamente ridato fiducia alle nostre organizzazioni. Questa fiducia non va delusa, dobbiamo essere capaci di continuare a coinvolgere i territori e tutte le realtà associative e di movimento che come noi condividono l’opposizione alle destre, la paura di una deriva antidemocratica, la necessità di cambiare lo stato di cose presenti. È necessario dare vita a comitati contro la crisi economica che nell’azione sappiano ricostruire le ragioni sincere dell’unità della sinistra.

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