Riappropriarsi della propria storia: il bisogno di una contro-narrazione

16 Maggio 2025

[Federica Marroccu]

Si è tenuta lunedì 12 maggio la presentazione del libro Controstoria della Sardegna di Francesco Casula (Grafica del Parteolla).

Lascio il compito di analizzare tecnicamente l’opera a chi ha maggiori competenze di me, mentre scelgo di percorrere una strada a me più agevole, per sollevare temi che reputo interessanti: quella dei bisogni da cui nasce e a cui risponde il lavoro di Casula, dal punto di vista delle narrazioni e della necessità di contro-narrazioni.

Un elemento che, a mio parere, è utile per apprezzare il libro è che – come è stato ricordato nella presentazione – esso nasce per rivolgersi, con un linguaggio accessibile, ad un pubblico ampio, generalista. Mi pare questo un dato da sottolineare, perché anche il sapere è un ambito in cui si giocano relazioni di potere, caratterizzate da dinamiche di esclusione, non di rado classiste.

Casula parla alla gente che popola il mondo fuori dagli steccati tirati su dai circoli dei cosiddetti “addetti ai lavori”. E lo fa per aprire spazi di dibattito sulla consapevolezza della subalternità del popolo sardo e per suscitare reazioni.

Narrazioni e contro narrazioni.

Uno dei temi affrontati nella presentazione, introdotta dal professor Giuseppe Melis, è, infatti, che i sardi si conoscono poco. E non per scarso interesse, ma perché la Sardegna è un contesto in cui è l’esperienza storica delle élite al potere a dar conto dell’essere, del pensare e dell’agire dell’umanità.

La storia può essere anche un mezzo di oppressione: nei contesti subalterni, la cultura dominante non si limita solamente a non rappresentare le minoranze, ma le priva degli strumenti per nominarsi e raccontarsi. Da qui la necessità di normalizzare l’italianità attraverso -anche- forme di legittimazione storica.

In questo quadro, per Casula diventa cruciale decostruire la visione eurocentrica e italocentrica della storia non solo della Sardegna, ma del Mediterraneo stesso.

È utile ricordare che, con il pretesto della modernità è stato creato l’assunto di un sapere di valenza universale: la modernità coloniale ha delegittimato i saperi di coloro che ha considerato subalterni. E non solo: il discorso storiografico è stato, per l’Europa colonialista, funzionale a giustificare conquiste e devastazioni, occupazioni e uccisioni.

Il fatto che l’Italia abbia ancora un problema in questo senso è facilmente riscontrabile nelle linee guida del Ministero dell’Istruzione per l’asilo, le elementari e le medie presentate recentemente dal ministro Valditara. Il paragrafo “Perché si studia la Storia” inizia con la frase: «Solo l’Occidente conosce la Storia»

Sarebbe un errore ricondurre questa visione fallace, ristretta, miope e sciocca solo all’attuale temperie politica e culturale: la scomparsa della Sardegna dai libri di storia, non solo scolastici, fa capire che è una delle tante modalità attraverso cui la colonialità si esprime.

Autocollocarsi nell’orizzonte di un orizzonte storico policentrico, liberarsi dell’idea di non contare nulla perché sardi, abitanti di una periferia, non è semplice. Spesso non ci si riesce perché si è abituate e abituati a considerare la cultura, l’arte, la storia sarda come un derivato di quella italiana.

C’è un altro aspetto che Casula giustamente ha evidenziato: il fatto che esista una produzione storiografica specialistica considerata di alto livello, quindi ritenuta autorevole, nella quale però il ruolo della popolazione sarda è marginale, ridotto a un mero oggetto narrativo (prevalentemente nell’accezione dell’essere conquistata).

Ciò chiama in causa le élite intellettuali locali, che, nel tempo, hanno partecipato all’occupazione simbolica, all’egemonia del sapere perché ne hanno tratto vantaggio. In questo solco si posiziona la produzione letteraria di Casula: la contro-narrazione vuole esortare a ricostruire un tessuto culturale più democratico ed emancipativo.

Dove il resoconto storico fa spazio alla domanda di memoria collettiva, cresce il valore della “conoscenza esperienziale”, rappresentata da forme di trasmissione della conoscenza storica alternative: la poesia, il racconto popolare.

Memorie personali, racconti di persone i cui nomi rischiano di essere dimenticati, traumi collettivi, aneddoti e conversazioni. Questo humus è vitale e necessario per decolonizzare la relazione tra noi, persone sarde, e la nostra storia, una storia ancora imprigionata in una prospettiva incapace di partorire una memoria collettiva in sintonia con il discorso di alterità che riguarda la Sardegna.

Un racconto di soli uomini?

Il contributo delle donne va considerato se si vuole fare una contronarrazione: ho chiamato in causa il professor Casula su questo, con una domanda al termine della presentazione del libro. La difficoltà di reperire fonti, informazioni documentate e memorie attesta le problematicità del metodo storiografico che, se non sottoposto a revisione, continuerà a restituire un resoconto che riflette le strutture di un potere bianco, abilista, eteronormativo.

Questo aspetto è stato sollevato, ma, una volta tanto, non come giustificazione all’esclusione della figura femminile, bensì come ostacolo a offrire una ricostruzione più ampia e completa della società sarda. Il professor Casula ha dato spazio nelle sue opere a personalità femminili e alle donne in generale, con la volontà di farne conoscere il valore.

Gli va riconosciuto il merito di aver menzionato, tra le altre, Maria Ambrogia Soddu, donna con disabilità, simbolo dei soprusi e delle violenze subite dai sardi durante le varie fasi di repressione della Sarda Rivoluzione. Ambrogia Soddu fu vittima dell’azione militare contro il paese di Bono messa in atto dai piemontesi nel 1796. La popolazione, avvertita dell’arrivo dei soldati, fuggì, lasciando indietro la donna, nell’ingenua fiducia che contro di lei, paralitica, nessuno avrebbe infierito. Invece fu barbaramente uccisa.

Di interesse è stato anche il richiamo allo sguardo razzializzante sulla popolazione sarda, oggetto di sistematici tentativi di ridimensionamento, ma che ha radici storiche ben definite. Il tema è trattato da Casula attraverso citazioni di autori latini come Tito Livio e Cicerone.

Storia e lingua, spazi di resistenza

La lotta per l’autodeterminazione può essere combattuta in molti contesti: nel cammino pedagogico verso la libertà, la storia e la lingua sono contesti di resistenza. Durante la presentazione si è parlato di storia e di lingua sarda anche in sardo, come dovrebbe essere normale in contesti bilingui (il condizionale è d’obbligo in Sardegna, dove anche il sardo è più un argomento di discussione che mezzo di espressione).

La storia è anche il racconto delle vicende umane, delle persone e di ciò che ha cambiato il corso delle loro esistenze, ricorda Francesco Casula, ed è vero: la storia è una storia di fatti politici, ma anche di corpi.

Storia, lingue e corpi sono, in Sardegna, spazi di colonizzazione interna, che è tale anche e soprattutto perché influisce anche sulla mentalità delle persone, che spesso ne replicano i meccanismi senza neanche rendersene conto.

Non è per niente vero che i sardi sono disinteressati alla propria storia: il desiderio di riacquistare una soggettività storica è vivo e forte. È un substrato culturale che si manifesta quando trova spazi per emergere. Questi spazi, e i tentativi di incontrare il bisogno di riscattarsi storicamente, sono preziosi, specie quando sono esterni ai circoli culturalmente elitari.

Ecco perché il lavoro di Casula è meritorio: quando si danno loro gli strumenti per prenderne coscienza, le persone sarde ritrovano facilmente la forza di ribellarsi ai meccanismi che le portano a cedere ad altri il potere sulla propria storia.

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