20 ottobre. Guardare alla radice

16 Settembre 2007

Andrea Pubusa

C’è qualcosa di irritante nelle parole e nell’atteggiamento dell’ala moderata del centrosinistra sul 20 ottobre e su ogni iniziativa della sinistra dello schieramento di governo a difesa del lavoro e dello stato sociale. “Sinistra radicale”, “sinistra massimalista”, “sinistra priva di cultura di governo”, “sinistra irresponsabile”, “sinistra che indebolisce il governo”, “sinistra che ostacola il risanamento del Paese”. Invito alla moderazione e alla ragionevolezza. Fastidio che è più di un messaggio. E’ avvertimento: alla prima occasione, quando è possibile l’allargamento al centro, fuori dal governo! Ma è poi così irragionevole chiedere con forza di rimettere i lavoro e i lavoratori al centro dell’iniziativa di governo? Esula veramente da una cultura di governo combattere il precariato? E’ così incompatibile con una coalizione di centrosinistra, che almeno progressista dev’essere, chiedere di dare risalto nelle finanziarie alle esigenze degli strati più deboli e al Welfare, che è poi la garanzia reale di tutela della salute, del diritto all’istruzione e della sicurezza sociale? Non è questo il risanamento di cui il Paese ha bisogno, liberandolo fai frutti socialmente velenosi del liberismo? E cosa dovrebbero fare le forze della sinistra? Rinunciare ad ogni mobilitazione delle classi popolari? Mutare il proprio DNA? E questo giova al centrosinistra? Ne amplia il consenso e l’influenza? Rafforza il governo Prodi? Ora, a parte il fatto ch’essere radicali significa andare alla radice delle questioni, scansando ogni superficialità, non è chi non veda la disinvoltura di coloro che dimenticano il programma, come se il popolo del centrosinistra avesse scelto Prodi per continuare con qualche impercettibile ritocco la politica dei Berlusconi. No, tutto il popolo progressista ha combattuto il centro destra e votato, talvolta anche turandosi il naso, il centrosinistra, chiedendo di voltar pagina a partire dai temi sociali (ricordate la battaglia in difesa dell’art. 18?), delle istituzioni (ricordate il referendum del giugno 2006?) e della pace (ricordate la mobilitazione contro la guerra in Irak?). Era non solo e più che nel programma nel comune sentire delle mobilitazioni e nella difficile opposizione al centrodestra e a Berlusconi. E’ su questi obiettivi che è partita la riscossa dopo la vittoria elettorale del centrodestra. E’ questo il programma, non solo scritto nelle carte, ma declamato e vissuto nelle resistenza popolare al governo del cavaliere. Ma è massimalismo questo rimettere al centro il mondo del lavoro, i diritti sociali, la pace? O non è forse nel programma, che comunque nessuno può rinnegare nel centrosinistra, quel programma scritto nella nostra Costituzione, legge fondamentale e patto di convivenza fra gli italiani? Non è nella prima parte della Carta che, con solennità e lessico perfino musicale, dolce all’orecchio, si pone ad idea fondante del nostro ordinamento il lavoro? Non è qui che i diritti sociali sono sanciti contro la insaziabile pretesa dell’impresa di far profitti? E non è qui che troviamo vergato il principio che imprime all’ordinamento ai suoi governi, alle sue istituzioni, alle forze sociali quel moto perpetuo che ne segna la prospettiva? Il principio di eguaglianza che, nella mirabile formulazione dell’art. 3, crea una tensione continua verso il superamento degli ostacoli di ordine economico e sociale che privano le classi deboli dei loro diritti, e mette sui lavoratori (sì, alla lettera, sui lavoratori!), sulla loro partecipazione alle scelte politiche, economiche e sociali del Paese, la realizzazione di questo magnifico obiettivo, che dall’Illuminismo è divenuto il motore centrale del costituzionalismo moderno e di tutta la lotta democratica e sociale. No. Se siamo radicali, cioè se guardiamo le questioni alla radice, la manifestazione del 20 ottobre è l’evento più filocostituzionale di quanti se ne possono mettere in campo oggi. Và nella direzione di ridare concretezza alla prospettiva costituzionale che il liberismo e le destre hanno stravolto, rimette il lavoro e non il mercato, la persona e non l’impresa a fondamento dell’ordinamento e della politica di governo. E lo fa chiamando alla mobilitazione i lavoratori, i cittadini di buona volontà, finalmente di nuovo non destinatari, ma protagonisti delle loro conquiste. Altro che battaglia minoritaria! E’ questa l’azione più rispondente agli interessi generali del popolo italiano oggi. Di questo, a sinistra, dobbiamo avere consapevolezza e fierezza contro ogni timidezza o esitazione. Dobbiamo farne la molla della nostra mobilitazione e del coinvolgimento di ampi strati della popolazione, dei cittadini. Dobbiamo porne gli obiettivi al centro non solo dell’azione della nostra rappresentanza parlamentare e di governo, ma dell’unificazione in un grande partito delle forze sparse della sinistra, ormai non più procrastinabile.

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