Neologismi o trasformismi?

1 Giugno 2012

Marco Ligas

Nel lessico politico corrente il termine trasformismo  indica la propensione/disponibilità ad assumere posizioni diverse o addirittura alternative a quelle espresse precedentemente. Ha una connotazione negativa essendo attribuito ad azioni dettate dal solo scopo di mantenere una posizione di privilegio o di potere all’interno degli schieramenti politici. Non a caso chi lo pratica non trova difficoltà a ricorrere a compromessi o clientelismi, né si preoccupa delle incoerenze ideologiche a cui va incontro.
Non usa, per esempio, la prudenza del Depretis il quale, nel tentativo di allargare i consensi intorno al suo esperimento politico, cercò di rassicurare l’opinione pubblica moderata presentando la sua manovra come un’operazione capace di produrre nel Parlamento e nel paese una feconda trasformazione (da qui il termine trasformismo).
Il trasformista di oggi sembra mettere in secondo piano l’aspetto sociale del suo cambiare posizione, non gli attribuisce la possibilità di una feconda trasformazione della società, mette in evidenza piuttosto l’opportunità e l’utilità di un pensiero mutevole. Anzi presenta questo aspetto come una virtù e sostiene che chi non cambia mai opinione è una persona rigida perché non può ripetere le stesse analisi e le stesse proposte in un mondo che cambia continuamente.
La necessità di un pensiero mutevole sta diventando dunque un ottimo rifugio del trasformismo.
Recentemente, nel corso di un congresso di partito, un importante personaggio politico si è chiesto e chiedeva all’assemblea come si possa parlare ancora di lotta di classe dal momento che le nostre società occidentali sono pervase dalla globalizzazione e le attività finanziarie dei grandi gruppi di potere hanno preso il comando di tutte le operazioni che riguardano la vita degli uomini.
Già, tutto vero; al sostenitore di questa analisi sfuggiva però un particolare non irrilevante: queste valutazioni sono condivisibili soltanto se consideriamo il lavoro, i diritti, la democrazia delle variabili dipendenti e al tempo stesso accettiamo la speculazione finanziaria, la disoccupazione, il precariato come principi intoccabili delle politiche economiche. Ma è questa l’ispirazione della nostra Costituzione?
Negli ultimi tempi nella nostra regione il trasformismo si sta arricchendo di alcuni neologismi. Capita infatti di sentire parole nuove come sovranismo. I nostri dizionari non contengono questo termine (io non sono riuscito  a trovarlo). Non è chiaro il perché venga usato al posto di sovranità (credo che sia questo il significato equivalente, il sinonimo). Forse perché quest’ultimo è ritenuto italianista e perciò poco idoneo a rappresentare le rivendicazioni indipendentistiche. Ma al di là della creazione e dell’uso di nuovi vocaboli (non c’è da stupirsi se la lingua si arricchisce di parole nuove) c’è da meravigliarsi piuttosto per come la scoperta e l’uso dei neologismi avvenga strumentalmente, per dissimulare, in questo caso, comportamenti che poco hanno a che fare col sovranismo.
È curioso per esempio che il Psd’az e l’Udc, che stanno nella Giunta regionale dall’inizio della legislatura, parlino oggi di ridefinizione del perimetro programmatico e prendano in considerazione l’uscita dallo schema bipartitico per dar vita ad una innovativa alleanza sovranista(!). Viene spontaneamente da chiedersi, essendo notevole il voltafaccia, se i partiti che avanzano queste proposte siano gli stessi che, in occasione delle ultime elezioni regionali, hanno offerto i simboli delle loro identità all’allora capo del Governo. Al tempo stesso sarebbe opportuno che questi partiti spiegassero agli elettori, a incominciare dai loro elettori, quale modello di sovranismo siano riusciti ad affermare o almeno a delineare.
Le acrobazie di queste settimane, sorrette dall’assunzione dell’antipolitica, rappresentano uno ricerca strumentale di una credibilità ormai compromessa.
Ma se questi funambolismi sono un carattere endemico delle formazioni politiche appena citate, risulta sorprendente l’atteggiamento di SeL, una formazione nata, tra l’altro, con lo scopo di ridare credibilità e unità alle componenti della sinistra radicale troppo spesso dilaniate dalla litigiosità. Ci chiediamo come possa Sel considerare più innovativa l’alleanza col PsD’az e con l’Udc, a meno che non dia al sovranismo un significato riduttivo dei diritti dei lavoratori e di tutti quei cittadini che stanno pagando gli effetti della crisi. Ma in tal caso il sovranismo sarebbe un ossimoro. Una riflessione e un chiarimento su questo tema da parte degli attuali dirigenti sardi di SeL ci sembrano quanto meno opportuni.

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