Pressing review

16 Luglio 2012

Stefano Deliperi

18 mila posti letto in meno negli ospedali, taglio delle spese farmaceutiche e dei servizi ospedalieri (pulizia, mensa, biancheria, ecc.), chiusura di una trentina di Tribunali, 37 Procure e 220 Giudici di pace, taglio delle Prefetture, taglio degli organici (- 10%) delle Forze armate e delle spese per le missioni all’estero, dimezzamento delle spese per le “auto blu”, taglio del personale (- 24.000 dipendenti) e dei dirigenti (- 20%) della Pubblica amministrazione, proroga del blocco dei contratti per i dipendenti pubblici (fermi da 5 anni), blocco degli adeguamenti Istat degli affitti delle sedi delle amministrazioni pubbliche sono solo alcune delle misure stabilite recentemente dal Governo Monti (qui il comunicato del Consiglio dei Ministri sul decreto) per l’obiettivo virtuoso di bloccare il previsto aumento I.V.A. fino al giugno 2013.
Si stima un risparmio di 26 miliardi di euro in tre anni. Ma se ne cercano altri 6 per scongiurare il pericolo.
Ormai s’è perso il conto del numero delle “manovre economiche” per salvare l’Italia dalla bancarotta e dal conseguente disastro economico-sociale. Spesso facendo lo slalom fra agenzie di rating dall’etica dubbia (e interessata) ma inesorabile e strette creditizie che strangolano imprese e famiglie. Questo era nelle prospettive e, soprattutto, nelle richieste delle Istituzioni europee e dei mercati finanziari internazionali.
“Spending review”, han chiamato l’operazione di revisione della spesa, ma in realtà dovrebbero avere l’onestà di chiamarla “pressing again”, spremitura continua.
Infatti, sono sempre le stesse parti della società a sopportarne il peso, ormai quasi insostenibile.
Addirittura nascono nuove categorie di condannati dal vago sapore biblico, gli esodati, i lavoratori dal numero tuttora imprecisato che hanno scelto in accordo con le aziende di lasciare il posto di lavoro e che ora in seguito alla riforma delle pensioni rischiano di restare senza pensione e senza stipendio.
Misure eque, come in tanti, troppi, s’affannano a ripetere come un mantra un po’ autistico, a iniziare dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Misure eque e tagli ragionati. Che significa eque?
Le uniche misure veramente eque (a iniziare da un’imposta patrimoniale sul modello della Tobin tax) sarebbero quelle poste a carico di chi ha condotto l’Italia e gli italiani in questa situazione grazie a una politica di spaventosi sprechi di soldi pubblici e di spudorati privilegi in questi anni, a iniziare da Silvio Berlusconi e dalla sua corte di approfittatori.
Le uniche misure veramente eque sarebbero quelle che vanno a eliminare inutili “grandi opere”, devastanti per l’ambiente e le casse pubbliche.
Qualche esempio di taglio ragionato? Eccoli:
* ponte sullo Stretto di Messina: costo stimato di 5 miliardi di euro;
* risparmi sui “grandi eventi” gestiti dalla Protezione civile;
* linea ferroviaria AV Torino-Lione, oggi messa in dubbio dai francesi proprio per gli alti costi e gli scarsi risultati previsti: costo stimato 35-40 miliardi di euro;
* diga di Monte Nieddu-Is Canargius (Sardegna, basso Sulcis): 56,6 milioni di euro;
Qualche esempio di denaro pubblico gestito in modo “criticabile”? Eccoli:
* programma riunione G 8 a La Maddalena – L’Aquila: 512.474.178,00 euro;
* rimborsi spese elettorali in favore dei partiti: 503 milioni di euro;
* vaccini in gran parte inutilizzati contro il virus H1N1: 24.080.000,00 euro;
* finanziamenti pubblici alle scuole private: 500 milioni di euro;
* costi senza controlli dei Consigli regionali: non quantificabili con esattezza;
* per le sole 626.760 auto blù (un numero superiore a quello dei sette Paesi più industrializzati messi insieme) la Presidenza del Consiglio spende ben 9 milioni di euro all’anno.
Si potrebbe continuare per ore.
Soprattutto si dovrebbe parlare del vero “buco nero” della finanza pubblica nazionale: la spesa fuori controllo delle Regioni e degli Enti locali in nome della sacrosanta autonomia costituzionalmente garantita.
Solo a titolo di esempio, prendiamo il caso della Regione autonoma della Sardegna.
E’ illuminante in proposito la lettura della relazione di verifica del rendiconto regionale 2011 da parte della Sezione di controllo della Corte dei conti.
E’ pur vero che “il credito maturato dalla Regione nei confronti dello Stato al 31 dicembre 2011 … ammonta a 1.459.545.588,80 euro” e che la spesa “reale” consentita dal “patto di stabilità” è pari a 3.295 miliardi di euro su 7,232 miliardi di euro, ma c’è da chiedersi come viene spesa questa comunque ingente “massa” di fondi pubblici. Tutte spese necessarie e virtuose?
Ben 19 società in house (32 sono le partecipazioni detenute) con 4.138 dipendenti a vario titolo “cui si devono aggiungere i dirigenti, le unità a tempo determinato, i consulenti, ecc. con un costo per il personale quantificato per difetto in circa 147,204 milioni di euro”, con una copertura di perdite di esercizio pari a 63,638 milioni di euro per il solo 2011.
La sola SardegnaIT è giunta ad avere 122 unità di personale a tempo indeterminato (assunte senza concorso pubblico), 16 collaboratori, 3 dirigenti con il solo costo del personale pari a 6,288 milioni di euro nel 2011 rispetto ai 5,425 milioni di euro del 2010: “le interlocuzioni intervenute nel corso del 2011 tra società e gli Uffici regionali in materia di questioni assunzionali varie, confermano la mancata chiarezza sui limiti decisionali che la società deve rispettare”. Inoltre, “assai delicati si configurano pure i profili sulle modalità di affidamenti contrattuali/acquisti seguiti dalla società in house … risulta, infatti, che, a fronte di circa 100 milioni” di euro per “contratti per servizi stipulati dal 2006 con la Regione, siano seguiti appalti della società all’esterno con formula selettiva … per soli 17 milioni circa”.
In buona sostanza, disinvoltura in assunzioni, incarichi, spese.
Se aggiungiamo l’aumento di ben 1.980 unità di personale (ora sono 6.617) presso l’Ente Foreste della Sardegna (con costi interamente a carico regionale complessivamente pari a 135,420 milioni di euro, + 8% rispetto al 2010), la restituzione di circa 81 milioni di euro di fondi comunitari (P.O.P. 1994-1999), l’invio “in economia di stanziamenti di bilancio non impegnati per oltre 360 milioni di euro” di fondi comunitari P.O. FESR 2007-2013 abbiamo solo alcuni dei tanti indizi di una scarsa capacità programmatoria e gestionale che si traduce in sprechi e diseconomie.
E’ solo un esempio, ricordiamolo. Ma se l’obiettivo è davvero abbattere sprechi e diseconomie, il Governo Monti – coinvolgendo Regioni ed Enti locali – non ha che l’imbarazzo della scelta. E lo sa benissimo.

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