Contorni. Identità (2)

1 Gennaio 2015
laSposaNera
Giulio Angioni

La generica ed elusiva nozione di identità, della coscienza di sé, e la difficoltà di definirla e soprattutto la difficoltà della sua intersoggettività, della sua comunicazione ad altri, non le impediscono di diventare forza dirompente, nel bene e nel male. Soprattutto non le impediscono di essere fondante: gli uomini devono sempre imparare a essere uomini non genericamente ma in un determinato modo, che dà loro l’imprinting, li fa sentire al mondo in un certo modo, anche secondo uno stile etnico e certi habitus che fanno essere e sentire europei di oggi o cinesi di tremila anni fa. È di natura poco definibile e difficilmente comunicabile la coscienza o il sentimento di essere parte di entità umane singole, e per di più incapsulate a scatole cinesi, man mano più vaste o più ristrette, dalla famiglia al parentado al rione al paese al gruppo coetaneo al mestiere o professione ai parlanti la stessa lingua, ai fedeli della stessa religione e così via fino a compendiare tutte o in parte le identità precedenti nel sentimento sintetico e introverso di popolo o nazione o etnia o tribù o patria o cristianesimo o civiltà occidentale e altro ancora, in una sorta di allargamento e restringimento di cerchi concentrici o elicoidali, a partire dall’identità individuale del singolo,che però non esisterebbe senza questo allargamento concentrico più o meno ampio, in quanto centro delle varie concentricità.
Oggi nel senso comune colto, in luoghi come l’Italia, appare desueto il sentimento d’appartenenza familiare e parentale, quando non in privato e nel domestico, come anche quel complesso di modi di sentire detto patriottismo riferito agli stati detti nazionali. Certo che i nazionalismi-patriottismi, occidentali o no e vecchi e nuovi, hanno minor forza anche perché il mondo oggi è sempre più un tutt’uno, e che è tutt’una l’umanità che ci vive, sebbene l’ecumene sia diviso grosso modo in zone e paesi ricchi e dominanti, da una parte (l’Occidente, il Primo Mondo), e zone e paesi poveri e subordinati, dall’altra: quindi due forti macroidentità di sviluppati e sottosviluppati, di ricchi dominanti e poveri dominati su scala planetaria. Tali relative novità spiegano anche come negli ultimi decenni vecchi sentimenti e rivendicazioni classiste si intreccino anche ambiguamente a sentimenti e movimenti interclassisti o transclassisti di tipo etnico, dove in modi nuovi una parte egemone riesca “a rappresentare il suo interesse come interesse di tutti i membri della società”, come scriveva Marx. Ma ciò non avviene in generale, bensì specie nel caso di minoranze etniche o di identità locali o minoritarie alle prese con maggioranze o metropoli di solito non qualificate come etniche in quanto non minoritarie. Fa problema infatti che per etnie si intendano di solito quelle minori, quasi che le maggiori non avessero coscienza di sé e senso di appartenenza identitaria, non fossero comunità immaginate di solito meglio delle minoranze etniche. I valori decaduti e sospetti del patriottismo e del nazionalismo paiono rinascere con valenze positive tra le minoranze nazionali, linguistiche, religiose e così via, più o meno esplicite e vivaci. E nel caso dei piccoli in Occidente non si lesina la simpatia esplicita o una benevola indifferenza, se non si arrivi al terrorismo basco o corso o nordirlandese, restando in Europa occidentale.
Ci sono dinque ragioni condivise di simpatia verso identità minoritarie, verso minoranze conculcate (o maggioranze conculcate da minoranze). La situazione di svantaggio per identità conviventi con identità maggiori e con maggior potere è ancora un grosso problema dei nostri tempi, sebbene in grande misura ereditato da altri tempi anche primordiali, dato che la storia conosce dappertutto situazioni di convivenza sbilanciata tra gruppi differenziati. Ma con differenze importanti. Oggi per esempio tra situazioni come quella corsa o sarda e quelle sarda e quella palestinese o curda, o basca o nordirlandese. Convergenze e differenze come queste marcano la gravità delle singole situazioni.
Ma le identità che oggi contano di più non sono quelle che diciamo etniche, da modulare da situazioni gravi come quella palestinese o curda a situazioni come quelle dei corsi o dei friulani. Ma delle varie situazioni locali si coglie di più il senso e l’importanza se viste all’interno della macro-identità planetaria e quindi delle due identità di Occidente e Terzo Mondo, prima vigenti in forme embrionali, come nelle grandi religioni del cristianesimo o dell’islam, con aspirazioni o pretese salvifiche per tutta l’umanità, oppure se si considera che ciò che noi diciamo modernità è qualcosa che ha dentro di sé la nozione di superiorità della modernità occidentale. Anche in altri tempi e luoghi esistevano sentimenti di appartenenza all’umanità come totalità o per mcro-identità, salvo poi essere anche più convinti di oggi che il modo migliore o unico possibile di essere uomini era quello proprio.
L’idea, il sentimento, la constatazione di un’umanità come tale (umanità globale) e come totalità planetaria è qualcosa di nuovo, di oggi, forse mai sentito prima con altrettanta cosmica evidenza. Non ha torto chi vede maturare il sentimento di appartenenza all’umanità come specie quando la nostra intera specie, la stessa vita, la stessa terra è minacciata, cioè nel momento in cui la possibilità di autodistruzione è diventata realistica, a partire dalla seconda metà del ‘900 con la bomba atomica, acquisendo nuova consapevolezza di sé dal constatare le ambivalenze dei modi umani di usare il mondo.
In fatto di identità, di appartenenza, questo pare ciò che più conta, per poco che si guardi allo stato del mondo: prima di tutto la consapevolezza più o meno lucida e preoccupata di appartenere all’umanità che vive in un pianeta che ha i suoi problemi di sopravvivenza, dove il destino dell’uomo è sempre più visto legato al destino dell’ambiente locale e globale; e insieme il sentimento vario di appartenere a una delle due parti in cui si divide oggi l’umanità: quella ricca, dominante, di maggiore prestigio, anche democratica, che non ha problemi fondamentali di sopravvivenza quotidiana e di applicazione quotidiana dei diritti umani; e l’altra parte di umanità, che è la maggiore, con più o meno forti questi problemi di povertà, dipendenza, subordinazione, sfruttamento, negazione di democrazia e di diritti individuali e di gruppo. Le appartenenze ‘minori’ sono da vedere e da sentire nella complessità della grande appartenenza all’umanità e quindi alle due grandi appartenenze planetarie in qualche modo inedite di umanità ricca e dominante e dell’umanità povera e dominata. Un progetto che osasse una rilevazione dell’identità curda o palestinese direbbe poco se non riuscisse a ricavare qualche dato intorno al modo di sentire dei curdi o dei palestinesi rispetto a queste due macro-identità odierne vissute localmente. E cioè, trovando le risposte prevalenti alla domanda di quali siano i modi con cui i curdi o i palestinesi oggi si devono variamente situare rispetto all’Occidente e al Terzo Mondo, che non è la stessa cosa di quando un friulano o un sardo se la prende con l’assessore al traffico per lamentare servizi da Terzo o Quarto Mondo.

*Dipinto di Barbara Lecoq – Oriente e occidente, La sposa nera

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