Identità senza tutela

1 Agosto 2008

abandon.jpg
Marcello Madau

Non tira una buona aria per il patrimonio culturale e paesaggistico. La situazione generale è pesante, i tagli gravi. E’ in corso un vero e proprio assalto all’idea dei beni comuni e al sistema cultura ad essi relativa (scuola, università, alta formazione artistica e musicale, ricerca, enti di tutela), a favore di gruppi di potere di natura privata, mascherato dal gioco delle parti della politica (le giaculatorie di Bondi di fronte al cattivo Tremonti, l’attacco della Prestigiacomo al sistema parchi, l’arroganza di un certo sottosegretario Giro verso Salvatore Settis). E’ necessaria una proposta progressista per un sistema della tutela che sta andando a picco.
Sarebbe però riduttivo dimenticare la gestione di Francesco Rutelli: è con questo ministro che le Soprintendenze sarde vengono accorpate. Ed è di questi giorni la destinazione di un solo posto per archeologo in Sardegna nel concorso in atto per le Soprintendenze di tutta Italia: per il patrimonio archeologico a più alta densità mondiale è davvero offensivo, e l’attacco ha un forte taglio antimeridionale, come emerge anche dalla denuncia dell’Associazione Nazionale degli Archeologi.
Si usa dire che la Sardegna spesso funzioni da ‘laboratorio generale’ per il paese: non sempre gli esperimenti sono confortanti. Oggi vi leggiamo forti pericoli, in particolare legati ad un’idea sommaria, giuridicamente precaria e politicamente pericolosa del trasferimento di competenze dallo Stato alla Regione. Il patrimonio culturale e paesaggistico sardo, vettore formidabile di identità, non può essere gestito solo dallo Stato, del quale restano però irrinunciabili le competenze primarie, a meno che non si dia un’aggiustatina all’art. 9 della Costituzione (“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”).
Rischiamo di assecondare nei fatti una precisa direzione di destra che, cavalcando le forti spinte della politica locale e dell’apparato regionale sardo, vuole minare il sistema pubblico della tutela, lasciando alle regioni solo oneri e risparmiando sulla spesa pubblica nazionale. Si va in direzione di un governo del territorio e una gestione dei beni culturali a bassa tutela e di tipo commerciale. La sinistra dovrà riprendere in Sardegna a fare una politica ‘di sinistra’, se vorrà evitare i nuraghi fosforescenti di Mauro Pili o i modelli tutti economicistici di Paolo Savona. Rilanciando i nessi fra tutela, valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, senso pubblico degli stessi. Contribuendo alla costruzione di politiche europee e mondiali che non si limitino a fregiarsi di qualche sito mondiale dell’umanità, ma propongano al mondo, dal basso di un patrimonio sterminato, un sistema esemplare di tipo pubblico e non privatistico.
– – –
Nodi centrali di tutto ciò sono il sistema dei parchi nazionali e la gestione di aree archeologiche e musei. Sul sistema parchi andrebbe definita una posizione ufficiale e chiara: l’allontanamento dal modello dei parchi nazionali è fatto grave. Attorno ad Asinara e Maddalena si preparano forti grumi di interesse attenti alle debolezze di un sistema pubblico che doveva essere migliorato con un maggior potere degli enti locali, non irresponsabilmente buttato a mare.
Di passaggio, sarebbe utile chiedere se FAI, WWF e Legambiente, così solerti nel certificare la correttezza ambientalista dei preparativi per il G8 a La Maddalena, abbiano allora abbandonato la tradizionale battaglia sui parchi nazionali e sui bacini museali, visto che non vi è un euro, a mia conoscenza, nei fondi gestiti da Bertolaso per il compendio garibaldino di Caprera e Museo, e recupero, delle navi romane di Spargi; che lo stesso Soru non ha mai nascosto il suo poco amore per il Parco Nazionale della Maddalena.
In questa ottica, va anche rimodulato lo stesso Piano Triennale (Piano Regionale per i beni culturali, gli istituti e luoghi della cultura) mettendo al centro con coraggio la tutela delle aree e la valorizzazione del lavoro sardo, evitandone la svendita colonialista. Perché nella dissennata ‘divisione’ di competenze fra tutela (al centro) e valorizzazione (alle periferie), la parte ricca di quest’ultima tenderà ad essere comunque gestita dal centro: potenti associazioni, fondazioni e federazioni culturali preparano da tempo lo sbarco. Le visite, le relazioni, i progetti e le posizioni espresse pochi giorni fa dal Ministro Bondi alle assemblee di Civita e Federculture appaiono significative. L’accelerazione verso potenti Fondazioni, sia per il sistema universitario che per il patrimonio culturale e paesaggistico, è evidente. Nella stessa rivendicazione del Comitato ‘Nessuno a casa’ che ha occupato e scioperato in aree archeologiche e musei della Sardegna, vanno valorizzate e colte alcune esigenze. Si trovi un sistema che stabilizzi i lavoratori precari organizzandone competenze e formazione meglio di come sinora fatto, costituendo sistemi consortili che raccolgano le migliori risorse d’impresa prodotte dal territorio e le rappresentanze dello stesso. Non convincono le denuncie di poca redditività rivolte agli operatori che gestiscono aree e musei: quanto costerebbe la tutela che tali operatori in ogni caso garantiscono almeno nei livelli di guardianìa? Non solo: di fronte a una crisi di introiti/ingressi generale, certo non esclusivamente sarda, bisogna dire che musei ed aree monumentali, per dare un vero contributo alla ricchezza economica producibile nel sistema cultura e paesaggio, debbono essere innanzitutto ben tenute e ben illustrate ai visitatori. La cultura servirà al meglio lo sviluppo economico ad essa possibilmente legato facendo bene il suo mestiere.
Un governo regionale che investe con decisione e a ragione, sull’identità (sino a progettare un museo ad esso dedicata che mi sembra un assurdo, non perché lo sia l’identità, ma perchè ogni museo sardo può essere un museo dell’identità), non può ignorare quella del lavoro sardo, le competenze formatesi, certo a fatica, in questi ultimi decenni, che hanno lavorato in una dimensione precaria talora ‘assistita’ ma più spesso severamente sfruttata. E’ necessario capire che la tutela dei luoghi e dei beni identitari, da mettere al centro, acquistano pienamente senso ed efficacia se vi opera chi è dentro i luoghi, chi ne conosce patrimonio, lingue, segreti e contraddizioni. Da una tutela per troppi anni senza identità, non vorremo passare ad un’identità senza tutela.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI