Il coraggio delle fanciulle

1 Dicembre 2013
copia del tiepolo annunciazione (D'alpaos Alba)
Silvana Bartoli

Chiedo scusa per l’autocitazione del titolo ma mi sembrava il più pertinente per riflettere su alcuni episodi riportati dai giornali, per sottolineare il coraggio di Malala, Suraya, Nadezda, Manal, Fawzia, la ragazza di Modena, Joumana, Zahra, Elif, Julia, Sara, Michela, Sadaf, Laxmi, Semin, Amina, Linor, Nada, Tang Hui, Natalja
foto SilvanaMalala Yousafzai è la ragazzina ferita dai Taliban pakistani che non le perdonano l’impegno a favore dell’istruzione femminile. Armata della forza che viene dall’amore per lo studio, è sopravvissuta alle armi dei religiosi. Se la cultura insegna a fare confronti, la Santa Ignoranza ha paura di qualunque confronto: verrà un giorno in cui le religioni che si dicono rivelate si accorgeranno di quale e quanta violenza la loro rivelazione ha inflitto per secoli alle donne?
Malala difende la cultura come diritto di ogni persona, uomo o donna. Vietare lo studio alle ‘donne perché donne’ è una mutilazione intellettuale che non ha nulla da invidiare alle mutilazioni genitali. Il 12 luglio 2013, davanti all’Assemblea generale dell’Onu, indossando il velo che fu di Benazir Buttho, la giovane attivista pakistana ha pronunciato il suo primo discorso pubblico da quando i Taliban hanno tentato di ucciderla. Come altri fanatici usano la religione per i loro fini e, come tutti i maschi ignoranti e pigri, hanno bisogno di femmine che sappiano essere solo suddite. Questa volta i Taliban hanno fallito e Malala ha chiesto all’Occidente le armi più efficaci per difendere se stessa e le altre: libri, penne, quaderni; con queste armi uomini e donne possono affrontare i nemici comuni: ignoranza, ingiustizia, povertà.
Sadaf Walizada è una ragazzina afgana, profuga a Berlino con la famiglia, alla quale la Germania ha negato l’asilo. Sadaf si è recata a una celebrazione in cui era previsto l’arrivo del capo dello Stato. È sgusciata tra le guardie del corpo ed è corsa incontro al presidente Gauck: “La prego non mi faccia rispedire in una terra in cui non potrei mai studiare e sarei costretta ad accettare un matrimonio combinato”. Sadaf ce l’ha fatta, il presidente si è mosso per lei e per altri rifugiati nelle sue stesse condizioni.
Ce l’ha fatta anche Nada Al Ahdal, la bambina yemenita che, a undici anni, è riuscita a scappare dalla casa dei genitori che volevano farla sposare a un uomo di quaranta, in cambio di denaro.
Viene alla mente la figlia di santa Giovanna di Chantal che a dodici anni dovette sposare il fratello quarantenne, e violento, di san Francesco di Sales. La bambina morì di parto a diciotto anni: era la sua quinta gravidanza.
“Vissero a lungo felici e contenti” vale da sempre solo nelle favole pensate per truffare le ragazze. Le quali, nonostante un addestramento secolare e mondiale alla sudditanza, e in situazioni oggettivamente drammatiche, riescono a tirar fuori un coraggio da leonesse. Come Amina Sboui che, incarcerata per condotta immorale, ha osato presentarsi davanti al tribunale di Tunisi ancora senza velo ma con immorali jeans e camicia.
Un coraggio quasi incredibile ha dimostrato anche la ragazza di Modena, violentata durante una festa da cinque “ragazzi di buona famiglia” (sic! chissà cosa sono quelli di cattiva famiglia!) che ha osato non solo denunciarli ma presentarsi a scuola incurante di essere segnata a dito come “quella”. Nella civilissima Modena lo stupro deve restare un fatto privato: meno se ne parla, meglio è.
In gran parte del mondo e delle culture, le tradizioni più sante sono quelle fondate sulla sudditanza femminile e, anche chi non conosce Tucidide, sembra perfettamente d’accordo con lui: la gloria più grande di una donna sta nell’essere nominata il meno possibile, sia per cattive sia per buone ragioni.
Ma: “la ribellione è donna” scrisse Luce Irigaray, e Tahar Ben Jalloun conferma: “sono le ragazze le più coraggiose”, che osano incrinare i meccanismi del potere.
Chissà se le giovani donne che ho raccontato hanno sentito parlare di Antigone? Anche lei una ragazza di fronte al potere: paîs, bambina, la chiama affettuosamente il coro.
La figura femminile creata da Sofocle ritorna ad ogni generazione, nelle situazioni drammatiche, ricordando la pienezza dell’essere e della dignità umana ad uomini che, diventati burattini in nome del potere, quando si esaurisce la carica di timore e arroganza che li muoveva, ridiventano inerti fantocci in attesa di un altro burattinaio.
La figura di Antigone si presenta ogni volta non come simbolo dell’opposizione allo Stato ma come modello di comportamento femminile capace di rivelare la debolezza di una politica prodotta unicamente dallo sguardo maschile sul mondo, che, in quanto parziale, è più esposta ai ricatti della cosiddetta ragion di stato.
Solo una cultura politica che comprenda pienamente il femminile, una cultura di effettive pari opportunità, può avere le carte in regola per farsi interprete della coscienza morale di tutta l’umanità.
In ogni donna è presente Antigone, il problema è avere il coraggio di lasciarla parlare in se stesse. Non tutte hanno la forza per farlo. Molti passaggi storici hanno evidenziato quanto sia più facile giustificarsi col dire “ho ubbidito” oppure “mi hanno stregato”, piuttosto che riconoscersi responsabili delle proprie scelte. E, qui da noi, la religione che si dice cattolica insegna a non assumere la responsabilità personale, privilegiando i vantaggi dell’obbedienza ai superiori; la confessione è poi un ulteriore alibi per la deresponsabilizzazione.
Ma solo l’assunzione di responsabilità personale è indice di maturità civile, individuale e collettiva; Antigone aiuta a sperare in un futuro se non magnifico almeno progressivo: negli ultimi mesi l’economia mondiale è stata affidata a mani femminili: Janet Yellen guida la Federal Reserve americana, Christine Lagarde il Fondo Monetario Internazionale, Sri Mulyani Indrawati dirige la Banca Mondiale, donne dalle quali speriamo cambiamenti non solo di genere …
Mentre riflettevo su questi ultimi elementi che speriamo positivi, la cronaca mi ha buttato in faccia la storia di due ragazzine di 15 anni che si prostituivano, una per fame di soldi, l’altra sfruttata dalla madre.
Come si fa a dire a queste persone che il loro comportamento è male mentre ci sono avvocati, seduti anche in parlamento quindi rappresentanti del “popolo”, che usano le loro competenze per raccontare all’Italia intera che una ragazza di 17 anni, pronta a vendersi a un miliardario, non fa niente di male?
I giornali si sono sprecati a crocifiggere la madre che non ha saputo dare un ‘buon esempio’, ma che esempio viene, alla ragazzina e alla madre, dai rappresentanti del popolo che stanno in parlamento, nelle regioni, nelle province, nei comuni.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI