Il coronavirus e l’Unione Europea

1 Maggio 2020
[Marco Ligas]

Nel corso di questi mesi parliamo spesso del coronavirus e dei pericoli che le nostre società, non solo in Europa, subiscono a causa della diffusione del virus. Siamo al tempo stesso consapevoli di come sia difficile fare previsioni sulla sua durata, tanto più che registriamo opinioni e modalità diverse sul come intervenire per contenere e sconfiggere la pandemia.

Il buon senso suggerisce che l’obiettivo preliminare che tutti dovremmo condividere sia quello di approfondire gli studi e le riflessioni necessarie per capire e contrastare le cause dell’epidemia. Certo, non possiamo neppure sottovalutare la necessità, sottolineata da molti, di passare alla “fase 2”, cioè alla ripresa seppure graduale delle attività presenti prima della comparsa e diffusione del virus. Anche questa sollecitazione merita attenzione da parte di tutte le istituzioni. La impone soprattutto il buon senso: quando si vogliono affrontare i problemi di una crisi sociale come quella che stiamo subendo in questi mesi, qualunque ne sia la causa, è opportuno non perdere di vista i bisogni fondamentali del paese e dei suoi cittadini, soprattutto di quelli che subiscono maggiormente gli effetti della crisi. Questo obiettivo non può essere mai sottovalutato, e al tempo stesso non può diventare strumentale o funzionale alle aspettative di crescita elettorale che esprimono certe formazioni politiche.

E’ probabile che questa affermazione dia luogo a interpretazioni di alleanze improprie. Il pericolo lo intravvede soprattutto chi pone al primo posto del proprio impegno politico il raggiungimento di obiettivi che poco hanno a che fare con la crescita del paese. Sappiamo, perché spesso registriamo questa tendenza, che alcune formazioni politiche si accontentano di aumentare il proprio consenso elettorale persino dello 0,5%, o conquistare una posizione di maggiore rilievo all’interno della propria maggioranza di appartenenza.

Altri amici e compagni nel corso di queste settimane hanno affrontato, approfondendoli nel Manifesto sardo, i temi della sanità e della sua inadeguatezza, quelli relativi alla tutela dell’ambiente sempre più esposto e soggetto alle diverse forme di speculazione, quelli della difesa del territorio e altri ancora, non ultimi quello del lavoro e della disoccupazione per la quale è prevista purtroppo una crescita molto preoccupante a partire dai prossimi mesi.

Non entro oggi nel merito di questi temi. Ne voglio affrontare un altro, superficialmente, in qualche modo collegato alle questioni sinora esposte. Lo pongo in forme interrogative: l’Unione Europea che cosa ha fatto nel corso dell’ultimo decennio e attualmente quando alcuni paesi, in particolare il nostro, hanno sottolineato e chiesto un intervento specifico finalizzato alla fuoriuscita dalla crisi del coronavirus? Ha risposto in modo esauriente o ha badato ancora una volta a difendere gli interessi dei paesi del nord, quelli più forti? Non ha fatto niente che possa affrontare e correggere le cause della subalternità dei paesi del sud o ridimensionare gli interessi dei grandi gruppi economici. L’Ocse continua ad essere un pilastro delle politiche neoliberali.

Penso comunque che sia importante ricordare ai nostri lettori e a tutti coloro che sono interessati due temi che sono stati oggetto di gravi decisioni sia da parte dei governatori della Bce ((Trichet e Draghi), sia dai rappresentanti delle nostre Istituzioni. Siamo nel 2011. Li sintetizzo così:

1)La concessione della “piena liberalizzazione dei servizi pubblici” da attuare attraverso privatizzazioni su larga scala,

2)L’attuazione della riforma del sistema di contrattazione salariale collettiva in modo da adattare le condizioni di lavoro alle esigenze delle aziende.

Ritengo che su questi due temi che affronteremo nei prossimi numeri del manifesto sardo sia opportuna un’adeguata riflessione per capire se l’Ue sia davvero un’Unione che lavora per tutelare gli interessi dei cittadini europei o no.

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