Il G20 dell’inconcludenza

16 Settembre 2016
(Front row L-R) Chinese President Xi Jinping, Turkish President Recep Tayyip Erdogan, US President Barack Obama, Brazilian President Dilma Rousseff, Russian President Vladimir Putin, (2nd Row L-R) Australian Prime Minister Malcolm Turnbull, German Chancellor Angela Merkel, Japanese Prime Minister Shinzo Abe, Indian Prime Minister Narendra Modi, Singapore's Prime Minister Lee Hsien Loong, (3rd row L-R) Guy Ryder, Director General of International Labour Organisation (ILO), UN Secretary-General Ban Ki-moon, World Bank President Jim Yong Kim, Angel Gurria (L), Secretary-General of Organization for Economic Co-operation and Development (OECD), Bank of England Governor and Financial Stability Board (FSB) Chairman Mark Carney pose for a family photo during the G20 Turkey Leaders Summit on November 15, 2015 in Antalya, Turkey. AFP PHOTO / POOL / BERK OZKAN

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Graziano Pintori

Riferendosi a Hangzhou, dove è stato tenuto il primo G20 in terra cinese, Ugo Tramballi sul Sole 24h ha definito il summit: “…una sorta di assemblearismo globale che elenca i problemi senza risolverli”. 20 è il numero del Gruppo dei paesi che ufficialmente organizzano e partecipano al Summit, poi ci sono altri otto paesi ospiti con altrettanti organismi multilaterali e, dulcis in fundo, è presente anche l’UE, che esercita la sua sovranità salva quella dei singoli stati che la compongono. Ossia: non ha voce in capitolo.

I partecipanti da G20 sono diventati G37 quasi a voler confermare il pensiero di Tramballi, giacché l’inconcludenza ha avuto di che alimentarsi. Eppure questi Stati rappresentano i due terzi della popolazione mondiale, l’80% del PIL mondiale e sostituiscono il già famoso G8, (Consiglio Economico delle Nazioni più Sviluppate). Lo slogan lanciato alla vigilia del Summit cinese è stato quello delle quattro “i”, che in lingua italiana recita: ”Costruire un’economia mondiale innovativa, vitale, collegata e inclusiva”; a margine del quale, rivolgendosi all’umanità tutta, si sarebbero affrontate questioni come quella del Mar cinese meridionale, ossia delle tensioni che friggono tra Cina e Giappone; del massacro quotidiano che si consuma in Siria grazie alle mai placate tensioni geo-economiche-politiche tra Stati Uniti e Russia. Dall’agenda diplomatica, tra le altre cose, non poteva mancare l’impegno sulla crescita e il rilancio dell’economia verde, affinchè l’evento cinese sia ricordato come “una pietra miliare per la ripresa dell’economia mondiale e per l’ambiente”. Peccato che tutta l’enfasi sulle buone intenzioni abbiano cozzato con il giudizio espresso da importanti testate giornalistiche, che seguono l’evento in modo diretto “…una specie di luogo dove si svolgono centinaia di colloqui bilaterali in cui domina la scarsa fiducia fra le parti, anche perché su questo vertice pesa l’assenza di leader prestigiosi e carismatici”.

L’inconcludenza, infatti, del G20 (o G37) è stata messa in risalto dalla reciproca scarsa fiducia fra uno Stato e l’altro, tanto è che sette paesi del meridione europeo: Grecia, Cipro, Malta, Italia, Spagna, Portogallo, Francia, una volta lasciata la Cina si sono incontrati per i fatti loro, in Grecia, per parlare dei mal di pancia provocati dall’austerity, e, per non smentire un certo populismo di sinistra, hanno parlato di coesione sociale e crescita uguale per tutti, sicurezza e gestione migranti ecc. Quasi un controvertice a quello dei “Falchi di Bratislava”, così definiti, da un quotidiano on line, i restanti capi di stato o di governo che si incontreranno il16 settembre nella capitale della Slovacchia. Sulle sponde del Danubbio intanto si sono dati appuntamento i ministri dell’eurogruppo, falchi e non falchi, con sorrisi e strette di mano hanno suonato le trombe per annunciare al mondo “nuovi impulsi e riforme” dopo Brexit.

Hanno posto l’accento per far si che “le diversità contribuiscano a potenziare la crescita economica e renderla più sostenibile, definire obiettivi comuni, così da poter ricostruire un senso di unità politica nei prossimi mesi”. A Bruxelles, quindi, si parla bene, mentre nei singoli stati si razzola secondo le proprie opportunità a dimostrazione che 60 anni di storia di UE a ben poco sono serviti. Prova ne sia la controversa questione degli immigrati, nei confronti dei quali le buone intenzioni annunciate nei summit mondiali o europei vanno a farsi benedire quando i confini di certi stati iniziano a essere “minacciati” dalle orde aliene del terzo mondo, dai portatori di miseria che subiscono guerre, morte e distruzione grazie all’occidente, insaziabile consumatore di energia altrui. In questi frangenti si mostra la vera faccia della civiltà culturale, democratica e perbenista europea che alimenta le paure contro il diverso e lo straniero, dipinto come colui che usurpa le nostre ricchezze, il nostro lavoro, la nostra religione le nostre storie e abitudini.

Da qui il passo verso la xenofobia, il puro razzismo è breve e le destre, forti e determinate su questo fronte, hanno la meglio: producono consenso condizionando, dove non governano, scelte legislative per dare corpo alla politica del filo spinato contro i nuovi invasori. Infatti, gli enunciati e i buoni propositi dei leaders che si incontrano, nel presente come nel passato, a Bruxelles o a Hangzhou o a Bratislava sono diventati ferrocemento, fili spinati e pietre: barriera greco-turca; barriera greco-macedone; muro turco-bulgaro; confine militarizzato serbo-macedone; muro ungherese; muro serbo-croato; muro sloveno; muro austriaco; fortificazioni di Melilla e di Ceuta (enclave spagnola in Marocco); muro e fortificazione porto di Calais. Per la costruzione di queste dighe antiumane alcuni stati hanno fruito del finanziamento della Comunità Europea.

In sostanza abbiamo assistito a tre vertici differenti nell’arco di una settimana, con protagonisti sempre gli stessi capi di stato o di governo, con i soliti codazzi di ministri, ambasciatori, industriali, affaristi e giornalisti, che hanno ripetuto sempre le stesse cose, senza concludere nulla di concreto. Mentre, per fornire ulteriore prova dell’inutilità dei Summit mondiali e/o europei, a vertice concluso russi e americani si stringono la mano per un “cessate il fuoco” su quanto resta della Siria; si scopre che Stati Uniti e Cina firmano un serio accordo sull’ambiente; la Turchia non vuole sentire ragioni per fermare la sua guerra contro i curdi.

Evidentemente inconsapevole, o per finta, di tutto questo, Renzi, il nostro tronfio capo di governo, rientra in Italia da Hangzhou sprizzando ottimismo perchè sicuro di convincere gli italiani che l’Italia è l’ombelico del mondo. Annuncia, per esempio, che anche la Cina è interessata alla riforma della Costituzione, così a un miliardo e duecento milioni di cinesi ha dovuto spiegare che solo cambiando le regole del sistema economico, velocizzando i processi legislativi, si otterrà una crescita virtuosa. Ciò può avvenire cambiando innanzi tutto la Costituzione, da cui derivano le leggi e conseguentemente le regole. L’occasione gli ha permesso di annunciare agli italiani con due o tre salti mortali, da vero acrobata della parola, che l’Italicum può essere cambiato a patto che….e giù un torrente di parole fino all’apoteosi della logorrea, per concludere con una nuova idea di sviluppo basato sulla “bellezza come dimensione etica”. Patetico!

 

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