Il lavoro aggredito

1 Maggio 2017

Foto Roberto Pili – Industria

Amedeo Spagnuolo

L’aggressione al mondo del lavoro e all’unità dei lavoratori, autentiche forze di progresso e di cambiamento sta assumendo in questi ultimi anni dimensioni a dir poco preoccupanti. Isolare i lavoratori significa renderli deboli e quindi facilmente manipolabili e ricattabili, proprio per questo oggi l’obiettivo principale dei poteri forti dell’economia internazionale sono proprio gli organismi associativi dei lavoratori.

Se, però, i lavoratori “garantiti” riescono ancora a opporsi a tale aggressione grazie a una qualche forma di resistenza che ancora sopravvive, ma che scricchiola pericolosamente a causa del grave arretramento delle forze sindacali tradizionali burocratizzate, allora il moloch capitalista, attraverso le forze politiche reazionarie e populiste, comincia ad aggredire partendo dai più deboli, da quei lavoratori meno tutelati o non tutelati per niente ovvero cominciando dai precari, dalle donne, dai migranti. Il senso di tale aggressione nei confronti di questi lavoratori deboli è, tra le altre cose, quello d’insinuare il dubbio e la paura tra tutti i lavoratori anche quelli che si sentono ancora tutelati solo perché iscritti a un sindacato che però sempre più spesso protegge più i privilegi dei suoi dirigenti piuttosto che i diritti dei suoi iscritti.

Che fare? Innanzitutto creare occasioni sempre più frequenti per far incontrare di nuovo i lavoratori, in modo che sia possibile tornare a discutere, a sviluppare riflessioni su temi caldi e importanti come ad esempio il reddito di cittadinanza che non può più aspettare essendo uno strumento essenziale per ridare dignità all’individuo che un lavoro non ce l’ha ma che intende trovarlo con un minimo di serenità e cercando di sfruttare le sue capacità.

La scomparsa del lavoro non significa semplicemente la perdita dalla propria sfera esistenziale di un impiego che garantisce un reddito. Non avere un lavoro significa non esistere giacché il lavoro porta con sé diritti, garanzie, uno stato sociale, tutte caratteristiche che non erano previste prima delle conquiste del movimento dei lavoratori poiché in precedenza il lavoratore era sfruttato e quindi senza diritti.

Quello che le forze neocapitaliste stanno tentando di fare è proprio questo, tornare lentamente a una visione ottocentesca e paternalistica del lavoro, esso deve tornare a essere una concessione non un diritto e in tal senso non deve includere diritti e garanzie ma solo sacrifici, doveri e sfruttamento.

Tutto il mondo del lavoro è sotto attacco, ma più di tutte a soffrire sono quelle categorie di lavoratori poco o per niente tutelati ed è proprio da queste che bisogna partire, dalle categorie più deboli perché solo in questo modo sarà possibile superare le odierne barriere tra i cosiddetti lavoratori “garantiti” e i lavoratori “deboli”, barriere che ad arte sono state innalzate subdolamente dalle forze del capitale per dividere, come si diceva poc’anzi, i lavoratori. Il capitalismo, che è sempre stato “selvaggio”, è stato però aiutato in questo processo involutivo, dai finti partiti di sinistra e dagli ancora più finti sindacati che si sono resi corresponsabili dello sfascio economico – sociale della classe lavoratrice.

Quali sono dunque i lavoratori deboli maggiormente sfruttati? Cominciamo dai lavoratori precari, giovani soprattutto, cominciamo dall’aberrazione dell’ideologia della precarizzazione del lavoro che non consente una vita dignitosa giacché sottopone i giovani a una continua corsa alla ricerca di un sostentamento precario che assorbendo tutto il loro tempo rende la loro vita un inferno di frustrazione e rabbia. Inutile dire che in questa situazione le passioni, le capacità, i talenti si smaterializzano giorno dopo giorno lasciando il posto a una vita grigia e senza sogni.

Uno degli interventi più devastanti del governo Renzi è stato il Jobs Act che ha tentato di rendere istituzionale la precarizzazione del lavoro, ma è proprio di questi giorni la notizia del suo totale fallimento, esso ha tolto diritti senza creare quel circuito “virtuoso” informato dalla logica della flessibilità che avrebbe dovuto creare migliaia di posti di lavoro.

Vogliamo poi parlare del lavoro delle donne? O per meglio dire della graduale espulsione di queste dal mondo del lavoro a causa del graduale smantellamento dello stato sociale che non consente più alle donne di assolvere serenamente al proprio diritto alla maternità e alle cure famigliari. Discriminazioni di genere, salariali, mancanza di riconoscimenti sul posto di lavoro sono ormai all’ordine del giorno e hanno subito una forte accelerazione con il duo Renzi – Poletti e che continua anche con l’apparente volto “rassicurante” di alias Gentiloni.

Abbiamo poi un vero e proprio laboratorio che ricerca le pratiche più subdole di sfruttamento del lavoro le cui cavie preferite sono i migranti, i disperati che cercano di sfuggire alla fame e alla guerra. Questi lavoratori vengono lasciati volutamente senza alcuna forma di tutela e di diritti, preda delle organizzazioni mafiose e del lavoro nero, sfruttati fino al punto di causarne la morte per eccessivo lavoro. Le forme odierne del capitalismo selvaggio stanno tentando di rendere stabile la loro instabilità in modo da poter sfruttare questo enorme bacino di forza lavoro sfruttato e malpagato e quindi erodere, allo stesso tempo, i diritti dei lavoratori tutti, conquistati con decenni di lotte politiche e sindacali.

Per opporsi a tutto ciò da dove bisogna cominciare? Innanzitutto, è necessario ribadirlo, bisogna contrastare la strategia volta a dividere i lavoratori per metterli in competizione tra loro a scapito della salvaguardia dei diritti e della solidarietà, promuovendo tutte quelle forme di aggregazione tra lavoratori, utili a riportare al centro la discussione, il confronto e la ricerca di strategie nuove atte ad arginare l’attacco devastante delle nuove forme di capitalismo selvaggio che stanno avanzando prepotentemente in tutta Europa.

 

In secondo luogo, a un governo che fosse disposto a muoversi in una direzione diametralmente opposta a quella in cui si è mosso finora il governo guidato dal PDRenzi, si dovrebbe chiedere innanzitutto l’istituzione di un Reddito di Cittadinanza, realtà ormai acquisita, in forme diverse, in tutti i paesi dell’Unione Europa, a eccezione di Italia e Grecia! Questa soluzione non crea assistenzialismo e, addirittura, come qualche pseudopolitico ha affermato, parassitismo. In realtà consente alle persone di non vivere sotto ricatto e sfruttamento, dà ai giovani la possibilità di poter utilizzare al meglio i propri talenti e di provare a realizzare le proprie passioni, consente ai meno giovani di ricollocarsi nel mondo del lavoro con meno ansia e preoccupazioni. Intanto, a conferma di tutto ciò, gli studi affidati ad agenzie specializzate dalla Commissione Europea hanno dimostrato che il Reddito di Cittadinanza “riduce in maniera sostanziale l’intensità della povertà”.

Scrivi un commento


Ciascun commento potrà avere una lunghezza massima di 1500 battute.
Non sono ammessi commenti consecutivi.


caratteri disponibili

----------------------------------------------------------------------------------------
ALTRI ARTICOLI