L’arena illuminata

16 Aprile 2011

Marcello Madau

E’ piuttosto importante che la Procura della Repubblica abbia avuto dal Soprintendente ai beni archeologici di Cagliari e Oristano Marco Minoja l’analisi e il parere dell’ISCR (Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro). I rischi che corre l’anfiteatro romano di Cagliari, per via delle superfetazioni in legno (e metallo), sono gravissimi, i danni evidenti.
Aiuta a porre in maniera diretta uno dei termini della questione, visto che l’indicazione del nuovo Ministro dei Beni e delle Attività Culturali di continuare gli spettacoli rischia di apparire come un invito a violare il Codice dei Beni culturali e del paesaggio, e ad ignorare i pareri tecnico-scientifici di uno dei più prestigiosi Istituti Centrali del Ministero.
Non stupisce che il rispetto della legge dia molto fastidio ad una concezione della politica che nell’elusione delle regole giuridiche e della Costituzione trova strumento centrale per la tutela degli interessi forti. Da poco si è aggregato l’onorevole Mauro Pili, che nel suo non certo indimenticabile governo regionale ebbe nel 2002 la luminosa idea, senza riuscirci, di illuminare a giorno tantissimi nuraghi: per l’illuminato esponente berlusconiano non è la società dello spettacolo a sovrapporre (vedere l’immagine sopra!) le sue regole a un monumento pregevolissimo e vincolato, ma il soprintendente Minoja a imporre la sua ideologia ‘a nostre spese’.
Fra poco Minoja diventerà un soprintendente comunista, come fra non molto sarà comunista – avendo un’evidente architettura sovietica – l’anfiteatro romano di Cagliari.

Forse è preferibile tornare alle radici del problema (per altre cose, comprese quelle più tecniche e giuridiche, rimandiamo ad altri scritti dedicati dal Manifesto sardo al monumento cagliaritano come Anfiteatro di Cagliari e Liberate l’Anfiteatro di Cagliari), ovvero:

1. Come si inserisce un monumento archeologico nella nostra ‘cittadinanza’;
2. cosa significa per la città di Cagliari;
3. cosa significa per lavoro e sviluppo economico questo monumento.

Nel primo punto non vi sarebbe molto da discutere: un monumento archeologico va conosciuto, protetto e vincolato, e trattato di conseguenza a norma di legge. Le leggi e gli orientamenti scientifici sono chiari e non possono essere elusi: la legge 42/2004 (alias, il Codice dei beni culturali e del paesaggio), le Carte del Restauro, la dichiarazione di Segesta 1995 (per i teatri), le convenzioni europee di Granada 1985 e Malta 1992.
Il monumento cagliaritano è stato gravemente danneggiato. La situazione è intollerabile (iniziando dalle strutture), e chi ha responsabilità dovrebbe pagare. Persino l’ assessore comunale prof. Giorgio Pellegrini se n’è accorto qualche tempo fa, suonando le sirene dell’allarme sui danni al monumento.
Ma è stato opportuno dubitare della sua illuminazione, una conversione quasi damascena: perché la porta per lasciare aperti gli spettacoli non veniva affatto chiusa.
Per quanto riguarda il secondo punto, è noto come l’anfiteatro romano rappresenti una risorsa archeologica molto forte per Cagliari, e perciò andrebbe restituita alla sua integrità, perché le strutture per lo spettacolo contemporaneo ne impediscono irreparabilmente il godimento.
Un monumento può rappresentare in via eccezionale una location prestigiosa, e in questo caso le installazioni sono generalmente caratterizzate dalla reversibilità dell’intervento, cosa che non succede se il monumento viene destinato stabilmente allo spettacolo, come la sorte dei poveri muri originali ha dimostrato. Inoltre il non saper costruire da parte dei contemporanei propri luoghi per lo spettacolo è fatto grave. Usare esclusivamente ciò che da altri arriva è in questo caso una prassi poco meno che parassitaria.
Infine, è dimostrabile che la restituzione del monumento alla sua funzione principale può portare utili ben superiori dell’uso come luogo di spettacolo. Cambierebbero semplicemente i destinatari degli utili stessi.
Una delle ragioni più forti e attraenti di chi vorrebbe che gli spettacoli all’anfiteatro romano di Cagliari continuassero si avvale dei nomi di celebri esecutori e artisti, del numero degli spettatori (una media di 150mila e oltre) e dei relativi incassi.
Ma non sono numeri impossibili per un anfiteatro che ritorni alla sua vera configurazione: le aree archeologiche di Barumini e Torralba, ad esempio (e con forti margini di miglioramento imprenditoriale nella gestione e valorizzazione), hanno superato assieme le centomila presenze annue, come la casa di Garibaldi a Caprera (che arrivò qualche anno fa sino alla soglia delle 150 mila presenze). Visite attente che spendono poi una o più giornate nei luoghi.
La restituzione dell’area permetterebbe infine una maggiore intensità di lavoro per tutta la filiera che opera nei beni culturali: dalle figure specializzate (archeologi, restauratori) alle guide a quelle che sono presenti nel campo della comunicazione (editoria, web, promozione turistica etc.).
Sarebbero numeri certamente superiori a quei 200 visitatori che sprezzantemente una volta ebbe a ipotizzare l’ex sindaco Mariano Delogu.
Come mai allora non si recupera davvero il monumento? Poca fantasia, arretratezza culturale e imprenditoriale e la ‘forza’ degli attuali destinatari degli utili. assieme alla debolezza politica e strutturale di chi crede nei beni culturali come beni pubblici e comuni.
E’ auspicabile perciò che la difesa dell’anfiteatro che sembra emergere dall’azione del Soprintendente Marco Minoja si consolidi, che gli appoggi crescano. Che il dibattito che si sviluppa per le elezioni del prossimo sindaco abbia la forza di misurarsi su questo tema.

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