In difesa di Cospito e di tutte le persone segregate in un regime che non ha più ragione di esistere

18 Gennaio 2023

[Elton Kalica]

Venezia è forse l’unica città dove camminare di notte nel freddo non mi mette tristezza. La pioviggine si deposita silenziosamente sullo schermo del cellulare mentre seguo il google maps verso la Calle dei bari.

Dopo l’ultima svolta nell’oscurità, le sagome di alcuni ragazzi che fumano sotto la luce sbiadita di una lampadina mi rassicurano di aver trovato l’indirizzo. Saluto e spingo la porticina. Entro. Il locale è caldo. Una ventina di sedie disposte in quattro file. Di fronte un piccolo podio dove stanno conversando alcuni ragazzi. Li raggiungo e mi presento.

Da quando ho pubblicato la mia tesi di dottorato sul 41 bis sono stato invitato a presentare il mio lavoro in giro per l’Italia da molti circoli, associazioni e collettivi universitari. Ma il recente sciopero della fame di Alfredo Cospito ha suscitato in particolare l’interesse di alcuni circoli anarchici. Tra i quali anche questo gruppo veneziano che mi ha invitato a parlare della mia ricerca. Quasi tutti studenti universitari provenienti da varie facoltà. Sono indignati del trattamento inumano riservato ad un militante, e vogliono che spieghi al gruppo le ragioni teoriche dell’esistenza di un dispositivo di tortura come si può definire il 41-bis. Si tratta di un discorso tanto giuridico e filosofico quanto politico. E non è sempre facile spiegare in pochi minuti.

Ma credo che il caso di Cospito mi faciliti in qualche modo la spiegazione del diritto penale del nemico: un diritto non scritto che si rivolge a coloro (come Cospito appunto) che non riconoscono l’ordinamento giuridico dello Stato e, pertanto, devono essere messi in condizione di non nuocere. Ecco perché lo Stato ricorre ad un sistema repressivo diverso da quello predisposto dal diritto penale “normale”. Si tratta di una logica politica dell’amico/nemico: è amico quando una persona si giudica solo per il reato commesso; è nemico quando si giudica per quello che rappresenta, per quello che fa, per quello che è, per quello che pensa e per quello che scrive. Il 41-bis fa parte di un dispositivo più complesso costruito con una logica di guerra al quale lo Stato non intende rinunciare. Creare la figura del nemico serve proprio per giustificare l’utilizzo di un “diritto penale della pericolosità” che si manifesta sospendendo per alcuni soggetti le garanzie previste per tutti gli altri nel processo penale e nell’esecuzione della pena.

La mia dissertazione è seguita immancabilmente dal dibattito dei presenti sul caso concreto. Non conoscendo tanto della storia politica e processuale di Cospito, mi limito ad ascoltare. E mi immergo in lontani ricordi scolastici che affiorano improvvisamente. Cresciuto nell’Albania del socialismo reale, la mia infanzia è stata plasmata dalla letteratura russa e quando sento parlare di anarchia evoco irrazionalmente San Pietroburgo con i suoi demoni di Dostoevskij e le incitazioni sovversive di Bakunin rivolte ai contadini e penso a Pugaçev, il bandito rivoluzionario raccontato da Pushkin così come alle povertà sociali e morali raccontate da Gogol e Lermentov. In questo ritorno mentale ai banchi di scuola mi torna in mente anche il principe Andrej ferito ad Austerlitz e penso alla religiosità anarchica di Tolstoj, che considera Cristo ribelle e riformatore sociale, per cui gli ultimi saranno i primi in questa vita.

Tutti elementi che appartengono ad un’idea romantica di lotta dove la narrazione accosta l’impotenza e la tragedia di singoli sognatori al potere istituzionale organizzato e determinato nella repressione e nella vendetta. Certamente, è impensabile tracciare qualche relazione tra i demoni di Dostoevskij con gli idealisti odierni che non devono lottare per liberare i servi della gleba, mentre è più facile trovare analogie nel potere punitivo, capace di annientare chi gli è ostile con estrema violenza.

Alla fine saluto gli organizzatori e ripercorro le calli fredde e silenziose verso la stazione. Mentre sono in treno mi assale il desiderio di tornare in carcere e parlare di questo con i detenuti, quelli che forse non hanno mai voluto sovvertire l’ordine sociale, ma che hanno comunque vissuto la sofferenza delle repressioni draconiane.

La mattina successiva il carcere di Padova mi accoglie con un’aria quasi familiare. Ogni volta che ritorno, ripercorro il lungo corridoi che porta nella redazione di Ristretti Orizzonti con la stessa serenità di undici anni fa, quando ci andavo da detenuto. Intorno al tavolo una decina di persone. Vedo diverse persone nuove ma anche alcune vecchie conoscenze, che sono entrate in carcere prima di me e che sono ancora lì. Racconto subito del mio desiderio di analizzare con loro la questione Cospito. Hanno letto i giornali. Sanno tutto. Mentre cominciano a commentare io annoto sul taccuino: “Va bene che si mobilitano così tante persone per l’anarchico, però dovrebbero farlo anche quando ci finiamo noi altri! Il 41-bis è una tortura per tutti, non solo per i detenuti politici”.

“Quella persona forse è stata messa in 41 perché ha tanto seguito tra i giovani. Hanno voluto colpire il simbolo per dare un messaggio”.

“Voi pensate che quello di Cospito sia un caso isolato, ma quando ero al 41-bis ho visto arrivare ragazzi di vent’anni che poi sono stati assolti, ho visto arrivare anche albanesi che portavano l’erba con i gommoni che non appartenevano a nessuna grande organizzazione criminale, ho visto arrivare gente arrestata per estorsione con “metodo mafioso. In 41-bis ora ci mettono di tutto. Hanno bisogno di riempirlo”.

“Quello che mi fa specie è che per Cospito sono tutti disposti ad esporsi perché non è mafioso e non ha reati di sangue. Invece, se credono che il 41-bis sia una barbarie devono trovare il coraggio di esporsi anche per noi, indipendentemente dal reato.”

A parlare sono principalmente persone che hanno vissuto il 41-bis in prima persona anche per periodi lunghissimi. Mentre scrivo penso a quando lavoravo sulla mia tesi di dottorato e mi sentivo dire che non dovevo difendere i mafiosi e che il 41-bis era una vittoria sulla criminalità organizzata. “Sei diventato amico dei mafiosi?” hanno chiesto anche a qualche parlamentare che manifestava contrarietà al carcere duro. Perché chi tocca il 41-bis si ritrova tutti contro, sempre.

Chi studia la criminalità organizzata sostiene che la mafia è cambiata, che non spara più, che ormai si confonde con la criminalità dei colletti bianchi, e che non fa più paura per le strade. Chi studia i movimenti sostiene che l’anarchismo ormai non solo non pratica più il terrorismo, ma non ha più la presa che aveva sui giovani durante le proteste studentesche e operaie del ‘68. Ciò nonostante le leggi emergenziali sono diventate permanenti. È chiaro che mandare Cospito al 41-bis è stato un errore: certo, potevano impedirgli di pubblicare le sue lettere sugli opuscoli anarchici semplicemente mettendo la censura sulla posta anche tenendolo in Alta Sicurezza, dove stava prima; sospendergli i diritti penitenziari è diventato un boomerang tale da rimettere in discussione (giustamente) l’esistenza stessa del 41-bis. Ora che tanti capimafia sono morti è chiaro a tanti che il 41-bis non ha più motivo di esistere. E non è allargando la sua applicazione agli anarchici che si possa tenere in vita un dispositivo di tortura che sarebbe dovuto uscire di scena insieme a Riina e Provenzano.

Finita la riunione con i detenuti torno a casa e mi metto al computer per leggere gli ultimi articoli e l’appello del Manifesto che chiede al Ministro di revocare il 41-bis a Cospito. Scorro la lista, forse centinaia, di firmatari costituita da giuristi, accademici, politici, scrittori, artisti e altre categorie di spicco della società civile. Forse Cospito nella sua cella non sa cosa sta succedendo fuori, ma io sento di dovergli riconoscere il merito di aver fatto nascere una campagna che va oltre la difesa del suo diritto di espiare la pena in condizioni umane; una campagna che sta mettendo finalmente in discussione l’esistenza stessa del carcere duro e che esige il ripristino dei diritti penitenziari per tutti i detenuti seppelliti al 41-bis.

Di fronte a questo drammatico sacrificio di Cospito penso alla scena in cui il dottor Zivago, che viaggia sul treno per la Siberia, incontra un anarchico in catene che urla “Io sono l’unico uomo libero su questo treno”. Ecco spero tanto che, dopo più di cento anni dalla repressione bolscevica degli anarchici, i magistrati si rendano conto che non c’è più nessuna guerra da combattere e che non è più tempo di neutralizzazione del nemico, e che non ha più senso colpire le persone per quello che sono oltre che per quello che hanno fatto.

Elton Kalica è un ricercatore all’Università di Padova.

L’articolo è stato pubblicato da Ristretti Orizzonti.

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