La lingua sarda contro l’Alzheimer

1 Luglio 2019
[Francesco Casula]

Il Bilinguismo? Serve ai vecchi come ai bambini. Oltre che agli adulti. Offrendo loro immensi vantaggi.

Parlare due lingue protegge il nostro cervello dalla neurodegenerazione e dalle forme di demenza più gravi e diffuse come il morbo di Alzheimer. Ad affermarlo è stato il professor Roberto Pili, medico e presidente dell’associazione internazionale “La Comunità della Longevità” in occasione di un meeting tenutosi al centro Culturale “Casa Frau” di Pula, in provincia di Cagliari. Il palcoscenico prescelto non è stato casuale, dato che in Sardegna vivono molti centenari che parlano due lingue: l’italiano e il sardo.

Il fattore protettivo del bilinguismo sulle nostre funzioni cognitive risiede nel fatto che si tratta di un vero e proprio allenamento per il nostro cervello, paragonabile all’attività svolta in palestra per sviluppare i muscoli. “La mente se adeguatamente sollecitata può non invecchiare. Fattori di crescita e cellule staminali si fanno carico di sostituire i neuroni perduti, rendendo il cervello plastico e rinnovabile sino a tarda età”, ha dichiarato lo specialista ai margini dell’incontro, durante il quale è stata presentata la favola bilingue – in italiano e sardo – “Fidelidade”, inserita nel progetto scientifico Pro.me.te.o.

A studiare il fenomeno sono stati i ricercatori italiani dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’Università Vita-Salute San Raffaele che hanno scoperto che le persone che parlano quotidianamente due lingue sono più protette dalle degenerazioni cerebrali tipiche dell’Alzheimer rispetto a coloro che invece conoscono una lingua soltanto. I risultati della ricerca sono stati pubblicati all’interno dello studio intitolato “The impact of bilingualism on brain reserve and metabolic connectivity in Alzheimer’s dementia” e pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.

Ma come è possibile? Le persone che parlano almeno due lingue quotidianamente – è detto nella ricerca – hanno funzioni cerebrali modificate rispetto alla norma, sia per quanto riguarda l’attività metabolica frontale sia in relazione alla connettività tra specifiche aree del cervello. Questa caratteristica permetterebbe ai pazienti malati di Alzheimer di essere più protetti dai danni prodotti dalla malattia stessa: che colpisce duramente proprio l’attività del cervello. Per comprendere gli effetti del bilinguismo sul cervello dei pazienti malati di Alzheimer, i ricercatori hanno sottoposto questi ultimi, e un gruppo di controllo di monolingue, (85 in tutto) ad alcuni test cognitivi utili a valutarne la memoria verbale e quella visuo-spaziale (riconoscere volti e luoghi). L’attività cerebrale durante i test è stata misurata attraverso una tecnica di imaging che si chiama FDG-PET e che misura il metabolismo del cervello e la connettività funzionale tra le sue diverse aree. (https://scienze.fanpage.it/parlare-due-lingue-protegge-dallalzheimer-e-i-sardi-ce-lo-dimostrano/).

Ma il bilinguismo, offre grandi vantaggi anche ai bambini. Antonella Sorace, di origini sarde, docente di Linguistica Acquisizionale all’Università di Edimburgo e animatrice di “Bilingual matters”, il programma lanciato dal suo ateneo e dal governo locale scozzese, ha studiato a lungo il fenomeno con svariate ricerche. Negli anni scorsi dopo Trentino, Paesi Baschi, Norvegia e Grecia, è approdata anche in Sardegna, su iniziativa della Regione sotto il nome di “Bilinguismu Creschet”.

Secondo la studiosa non solo gli studi dell’Università di Edimburgo, ma anche le ricerche di altri centri dimostrano che “il bilinguismo modifica il cervello in modo significativo, rendendolo più flessibile: crescere un bambino “esponendolo” a due lingue è un investimento per tutta la società.

E non è vero che crescerà confuso, non è vero che l’impegno di passare da una lingua all’altra può ritardare lo sviluppo cognitivo né può andare a scapito del rendimento scolastico nella lingua maggioritaria. Ed è falso, infine, che il bilinguismo è utile solo se entrambi gli idiomi sono di larga diffusione. È vero, casomai, che avere presenti due sistemi linguistici fa capire meglio come funzionano le lingue e quindi rende più facile apprenderne anche una terza e una quarta; ed è vero che i bambini bilingui imparano a leggere prima degli altri”.

Ma secondo le ricerche citate dalla Sorace, i vantaggi del crescere sentendo i genitori e i maestri che parlano tanto in inglese quanto in gaelico (o tanto in italiano quanto in sardo) ha vantaggi non solo culturali, ma anche neurologici e politici. Nel senso che “il bilinguismo è un investimento per la vita, non solo per la carriera scolastica, visto che rallenta il declino delle proprietà cognitive. Ma soprattutto il bambino che parla più lingue deve scegliere di volta in volta quella più adatta per comunicare con gli interlocutori che gli si presentano: un’abilità che consiste nell’assumere il punto di vista del prossimo, riuscire a immedesimarsi nell’altro, e al tempo stesso controllare, monitorare se stessi per accertarsi del fatto che si sta usando il modulo comunicativo corretto o più efficace. Quanto alla diffusione delle lingue padroneggiate dal bambino, è del tutto indifferente che si tratti di un idioma parlato da tre miliardi di persone o di una minuscola lingua comunitaria con 50 parlanti: l’effetto benefico sulla capacità cognitive è lo stesso. Quel che cambia, e direi in modo sensibile, è l’effetto sulla lingua: nessun idioma sopravvive se non ci sono bambini che lo sanno parlare. Oggi bilinguismo significa anche tutela di un sistema e di un’identità culturale”.

E tutto il ciarpame e la montagna di pregiudizi, presenti nel passato nei genitori (o ancora oggi?) e alimentati dalla scuola italica e dai docenti con il “Non parlare in dialetto!”, perché avrebbe compromesso e ostacolato l’apprendimento? Mandati al macero. Nei cassonetti dell’immondizia.

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