Le tensioni dei tempi attuali

1 Aprile 2020
[Federico Palomba]

La storia dice che nessuna epidemia dura all’infinito. Anche quella da Covid 19 passerà. Non sappiamo quando; e ciò ci crea ansia.

Ma stiamo combattendo, quasi tutti e ognuno a modo proprio, per sconfiggerla; e nel frattempo stiamo cercando di ridurre il danno per evitare che ci siano troppe vittime innocenti, per tentare di salvare imprese e lavoratori, per sostenere l’economia nel suo complesso. Intanto, come era prevedibile, si sono innescate forti tensioni: nel mondo sanitario, non tarato per simili eventi disastrosi nei mezzi e nei protocolli operativi; nel mondo scientifico, comprensibilmente non unanime; nelle istituzioni politico-amministrative di trincea, anche nei rapporti tra livelli nazionale e regionale; nei rapporti tra maggioranza e opposizione, quest’ultima in cerca del ruolo giusto in simili frangenti; nel mondo dell’impresa e del lavoro; nella stessa cittadinanza, sospesa in un mondo surreale che dà incertezza e quindi ansia. Ma la tempesta passerà, come ha invocato Papa Francesco, incurvato, nella piazza San Pietro vuota richiamandosi al vangelo di Marco 4.39. Ci rimetteremo al lavoro; ricorderemo i nostri morti, a cominciare da quelli sacrificatisi per dare la vita agli altri; speriamo anche di uscirne avendo capito quali sono le cose vere della vita e quanto sia bello viverla ugualmente senza orpelli e falsi bisogni. Magari il mondo moderno, soprattutto quello che ha troppo, ha bisogno non di aggiungere, ma di togliere, per lasciarne a chi non ne ha.

Di quelle tensioni resterà l’esperienza vissuta, sperando che diventi patrimonio acquisito. Ma facciamo attenzione a quelle scaricatesi sui livelli istituzionali. Perché nel diritto costituzionale e in quello parlamentare i precedenti contano. In buona compagnia di illustri costituzionalisti e di una prima giurisprudenza ho scritto su La Nuova che l’affievolimento di diritti e libertà, anche costituzionalmente protette, era legittimato dalla stessa Carta fondamentale. Lo confermo. Era necessario. Ma occorre evitare che ciò risulti come consolidamento della tendenza all’espansione del ruolo dell’esecutivo a scapito del controllo parlamentare. Già questo è limitato dal bipolarismo che vede la stessa maggioranza parlamentare sostenere il governo e vede quest’ultimo dettare l’agenda del Parlamento; e vede l’azione di governo esercitata ormai prevalentemente con decreti legge da convertire in sessanta giorni, cosa che ha spesso determinato l’illanguidimento dello stesso bicameralismo. In un’ottica di ripresa della normale dialettica istituzionale l’ultimo decreto legge riconduce la regolazione, in questi tempi legittimamente affidata ad atti del livello esecutivo-amministrativo, nell’ambito delle fonti primarie soggette al necessario controllo del Parlamento. E’ in corso un’ampia dialettica su come garantirne il funzionamento. Il problema, in presenza delle disposizioni anti-contagi, sarebbe forse risolvibile col procedimento di voto a chiamata, con modalità che garantiscano il prescritto distanziamento (magari con corsie nel Transatlantico: non sia considerato troppo!).

Ma solo se la forza del morbo colpisse in modo da impedire radicalmente la presenza fisica, numericamente richiesta per i vari numeri legali, sarebbe giocoforza trovare i rimedi perché il Parlamento deve funzionare, Si può cominciare ad esplorare la praticabilità del voto ponderale, rappresentativo della forza politica di ciascun gruppo, ma garantendo il diritto alla dissociazione individuale (il voto ponderato è già conosciuto dai regolamenti delle Camere). Altrimenti è necessario studiare le modalità di espletamento del voto a distanza con collegamenti telematici già adoperati per le videoconferenze (peraltro già usati dagli organismi europei e da alcuni stati). So che i costituzionalisti sono divisi su questo punto. Ma privilegiando l’ottica funzionalistica su quella formalistica l’obbligo della “presenza” al voto, prescritto dall’articolo 64 della Costituzione, potrebbe essere interpretato come garanzia di “partecipazione” al voto. Una modifica regolamentare fulminea, che anche le opposizioni dovrebbero votare avendo invocato la funzionalità del Parlamento, potrebbe ciò disciplinare in attesa di una norma costituzionale che esplicitamente preveda le modalità di funzionamento in particolari situazioni, come le epidemie.

Senza Parlamento non c’è democrazia. Lo ha ripetuto in questi giorni la Presidente della Corte Costituzionale, Cartabia. Dobbiamo custodirla gelosamente, evitando che le tensioni si trasformino, anche involontariamente, in torsioni delle istituzioni. Queste rischierebbero di produrre seri danni, oggi evitati da un Capo dello Stato prezioso garante della Costituzione e da un governo a sicura impronta democratica. Domani esse potrebbero essere sfruttate se si verificassero situazioni opposte. In Europa si aggirano pulsioni malsane, per il momento non sufficientemente contrastate: Ungheria docet.

 

Il manifesto sardo, data l’attualità del tema, ha chiesto a Federico Palomba di inviare un intervento ampliato, sulla scorta di quello pubblicato il primo aprile 2020 su La Nuova Sardegna.

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