Preparare tempi nuovi

16 Novembre 2008

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Francesco Cocco

C’è da chiedersi per quale motivo articoli di grande spessore, pur ponendo seri interrogativi, restino privi di qualsiasi intervento dei lettori, mentre il dibattito si anima ogniqualvolta  vi è un articolo imperniato su taluni aspetti della politica regionale. Credo che un esempio in tal senso  sia stato offerto dallo stimolante saggio del direttore dal titolo “soriani o antisoriani” sul numero di metà ottobre “.
Purtroppo non sempre nei numerosi contributi è stato presente un desiderio di effettivo confronto, come lo scritto di Marco, per i toni pacati e riflessivi, suggeriva. Evidentemente non in tutti gli interventi vi era la volontà di ascoltare l’altro. In fondo quello del non ascolto è un vecchio vizio denunciato da Vittorio Foa nella sua opera “Passaggi” che ho sentito il bisogno di rileggere in occasione della sua recente scomparsa. Si chiedeva Foa :”….perché non si ascolta? ……..Se l’ascolto non è reciproco vuol dire che non cerco nulla in lui perché non cerco nulla in me” (pag.30). Certo sarebbe bello che tutti gli interventi sul “Manifesto Sardo” fossero improntati all’ascolto e mai all’invettiva, ma bisogna prender atto della realtà e andare avanti.
Fatta questa breve digressione sul metodo torniamo al contenuto. Mi rendo conto che può sembrare riduttivo e provinciale affrontare questi temi. Lo è certamente se non si comprende che l’interrogativo contenuto nel saggio di Marco attiene al più ampio problema della piena salvaguardia della democrazia partecipativa, soprattutto se aprioristicamente si negano le conseguenze nefaste di certo imperante  autoritarismo. Si è voluta ridurre l’attuale vicenda regionale ad una sorta di conflitto tra i vecchi “oligarchi” ed il “principe” innovatore. La sinistra (quella che, per non ingenerare confusione, chiamo di classe) non può restare intrappolata in una tale contesa, che, per sua natura, non crea né tempi né condizioni nuove di lotta, anche perché si limita a riproporre sostanzialmente la dimensione del cliente subalterno  tipico della vecchia politica:  subalterno  prima all’ oligarca ed ora al principe.
La sinistra di classe (è anche questa  una categoria obsoleta?!), che voglia fare una politica alternativa, non può farsi condizionare dall’attuale  carenza di uomini elettoralmente forti.  Sarebbe  un perpetuare  all’infinito l’attuale  situazione,  quasi la rassegnazione ad un male ineludibile.
Può darsi che certe categorie, alle quali  sono stato educato, abbiano fatto il loro tempo. Personalmente le ritengo ancora fondamentali. Nella mia lunga militanza nel movimento operaio, sono stato abituato a ritenere del tutto inconcepibile una qualche commistione tra interessi privati e interessi dell’ente che si è chiamati a rappresentare. Poi nella realtà accadeva che taluni tralignassero, ma significava venir meno ad una fondamentale regola ideale, ed era folle pensare di affermare la trasgressione come nuovo principio etico e politico.
Oggi tutto pare esser diverso. Quando si sancisce il principio, come fa la legge statutaria, che il presidente della giunta e gli assessori possono partecipare con le loro società alle gare d’appalto bandite dalla Regione, credo non si facciano “cose di sinistra”.  Semplicemente s’innescano meccanismi che col tempo finiranno per portare verso un grave imbarbarimento nella gestione della cosa pubblica.
Purtroppo debbo costatare che certa visione berlusconiana sta facendo breccia anche a sinistra. Non si riesce più né a distinguere, né a sentire indignazione per la questione morale.
Ormai siamo alla “morte dello spirito pubblico”. E’ accaduto nel giro di pochi anni. Nei primi anni Novanta le grandi idealità che avevano animato la Resistenza e la nascita della Repubblica erano ancora in campo, in grado di indignare e  mobilitare le masse. Ora è subentrato il silenzio e persino il fastidio, soprattutto a destra ma la sinistra non ne è esente.
In tale contesto dobbiamo guardare alle nostre vicende regionali con la capacità d’inquadrarle nella più ampia vicenda nazionale e soprattutto  nell’ orizzonte drammatico della crisi economica mondiale. Non possiamo più procedere con sguardo miope che poi significa sfuggire alle responsabilità che incombono sulla sinistra.
Dobbiamo saper pensare con logiche di lungo periodo perché i segni di svolta sono  evidenti. La vittoria di un “uomo di colore” nelle presidenziali americane deve fondatamente indurre a nuove speranze. Soprattutto  importante segno di tempi nuovi è il rinnovato interesse per  Marx. Significa che si vogliono individuare le cause alla base della profonda crisi che investe l‘economia globale e, in ultima istanza, le società capitalistiche nel loro complesso. La rilettura di Marx è certamente uno strumento utile per analizzare e capire il tempo presente, a condizione che si eviti il dogmatismo ed una schematica riproposizione di modelli del passato.
La ricerca e l’organizzazione del nuovo è compito soprattutto dei giovani. Tra essi non vedo il deserto culturale ed ideale che taluno lamenta. Al contrario vi sono presenze molto interessanti. Già questo periodico vanta contributi di livello di giovani preparati e capaci di vivere l’impegno politico con passione e disinteresse personale.
Ai giovani il compito di far propria la miglior tradizione del movimento operaio, respingendo la falsa illusione che il nuovo implichi un acritico rifiuto del positivo costruito con la lotta dalle generazioni che li hanno preceduti. Ciò potrà consentire la formazione di gruppi dirigenti incentrati sulle nuove generazioni. A tal fine è necessario un lavoro di lunga lena (anche questo fa parte di quella tradizione alla quale accennavo), ma è l’unica modo per iniziare un percorso proiettato alla costruzione di una nuova egemonia della sinistra.
Anche gli interventi sul Manifesto Sardo possono essere momenti significativi di questo processo costruttivo se finalizzati a tale obiettivo. Saranno piccole tessere di un mosaico sempre più grande se a dominarli sarà la volontà di costruire nuovi percorsi e non la logica dell’invettiva.

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