Quel ragazzo gentile

2 Maggio 2023

[Amedeo Spagnuolo]

Ci sono delle immagini scolastiche che rimangono scolpite per sempre nella nostra mente: il primo sguardo della compagna di banco che ti fa capire che non sei poi così invisibile, il prof. di matematica del liceo che ti guarda con disprezzo perché non hai capito la sua illuminante spiegazione, la docente di filosofia che ti osserva con ammirazione dopo una bella interrogazione sulla Critica della ragion pura di Kant, il giorno in cui finalmente avresti voluto dire la tua, durante una discussione politica, e sei rimasto con la bocca aperta.

La scuola occupa una parte importante della nostra vita e non credo di esagerare se affermo che dal modo in cui l’affrontiamo dipende, in parte, anche il nostro destino futuro. Tra le tante immagini però che in maniera ricorrente mi ritornano alla mente ce n’è una che ancora adesso dopo decenni, mi provoca rabbia e frustrazione. Ricordo che ero in seconda liceo scientifico, in classe con noi c’era un ragazzo dolcissimo, dotato di una sensibilità spiccata, oggi si parlerebbe, nel freddo linguaggio degli psichiatri, di un’intelligenza emotiva di livello medio – alto che però non rientrava negli standard tipici della nostra scuola ancora troppo “cognitivocentrica”.

Ebbene questo ragazzo era capace di socializzare con tutti, ma proprio con tutti, dalla burbera bidella al simpatico professore di filosofia fino ad arrivare al Preside che in più di un’occasione s’intratteneva con l’alunno in questione in lunghe chiacchierate durante le quali parlavano di tutto. Però per il gruppo di bulletti della nostra classe quel ragazzo tanto sensibile era, per i suoi modi gentili, solo una brutta checca da prendere in giro di continuo anche perché, come si diceva, aveva bisogno di un po’ di tempo in più per comprendere, ad esempio, i concetti astratti della matematica.

Per tutto l’anno scolastico gli rivolsi la parola di rado, pur redarguendo puntualmente quei quattro imbecilli che si divertivano in quel modo così stupido, ero troppo preso dal mio egocentrismo adolescenziale e dalle graziose ragazzette del liceo per poter dedicare un po’ di più del mio tempo al ragazzo gentile. Iniziata la terza liceo, venni a sapere che quel ragazzo buono e sensibile si era trasferito in un’altra scuola, i genitori non volevano più sottoporlo alle angherie di quattro giovinastri figli di una subcultura che vedeva e vede la diversità come un indicatore fondamentale dell’inferiorità da tenere lontana, per paura, ovviamente, paura di scoprire le nostre inevitabili fragilità.

Comunque sia, quando appresi quella notizia fui assalito da una profonda frustrazione, la frustrazione di chi era consapevole di non aver fatto quasi nulla per rendere più facile la vita di quel ragazzo. A partire da quel momento decisi che non avrei più ripetuto quell’errore che, volendo essere indulgente con me stesso, probabilmente, fu provocato dalla superficialità tipica di alcuni momenti della nostra adolescenza. Posso affermare con modesto orgoglio che nei decenni successivi della mia vita ho fatto di tutto affinché non mi lasciassi più distrarre dalla complessità bella e difficile della vita e che qualunque forma d’ingiustizia avrebbe trovato in me una persona che, con i suoi ovvi limiti, avrebbe fatto di tutto per combatterla.

Ciò è avvenuto in molti campi della mia esperienza esistenziale: nell’impegno sociale, in quello politico, in quello famigliare e nella dimensione scolastica, il micromondo nel quale tutto accade, anche l’ingiustizia. Ho cercato di combattere l’ingiustizia anche facendomi aiutare da studiosi illustri che si sono occupati di queste tematiche e tra i tanti personaggi di grande spessore culturale ce n’è uno che mi è rimasto nel cuore e della quale ho già parlato in alcuni miei scritti precedenti. Si tratta della filosofa statunitense Martha Nussbaum. 

Martha Nussbaum ha sviluppato la sua filosofia intorno al tema della disabilità, una dimensione nella quale, purtroppo, le ingiustizie si manifestano a diversi livelli: umano, istituzionale, politico, etico, culturale. La filosofa statunitense afferma che il tema della disabilità dovrebbe essere centrale affinché si arrivi al più presto a un mutamento del modello politico dominante in Occidente ovvero il modello liberale soprattutto nella sua espressione contrattualista, quella classica di Locke e Hume fino a quella neocontrattualista di Rawls.

La Nussbaum afferma che l’errore originario del modello contrattualista risiede nel fatto che il contratto socio – politico che viene stipulato nelle democrazie occidentali è un contratto tra “pari” cioè tra individui “liberi, uguali e indipendenti”. Ciò ha come inevitabile conseguenza quella di escludere da questo contratto tutte quelle persone che non rispondono a questi requisiti come appunto le persone disabili.

Non rispondono a questi requisiti soprattutto perché nella società liberale occidentale la caratteristica principale di chi sottoscrive il contratto politico è la produttività intesa ovviamente nel senso di valorizzare il soggetto capace di produrre un profitto, per ovvie ragioni chi è portatore di una qualche forma di disabilità, in molti casi, non può rientrare in questa categoria. Secondo la Nussbaum il peccato originale del contrattualismo sta proprio nell’affermazione che un sistema liberale può essere formato esclusivamente da persone “libere, indipendenti e uguali” tutte caratteristiche che ovviamente, spesso, escludono l’individuo disabile.

Per superare questa marginalizzazione dei soggetti disabili all’interno del sistema liberale bisogna adottare un nuovo modello politico che tenga conto delle caratteristiche minime essenziali che rendono la vita di un uomo dignitosa, si tratta insomma di superare il pensiero unico centrato sulla capacità di produrre profitto. La filosofa americana, infatti, elenca ben dieci capacità fondamentali che una società civile e democratica deve favorire per potersi considerare veramente degna, esse sono: Vita; Salute; Integrità fisica; Immaginazione; Sentimenti; Ragion pratica; Appartenenza; relazionarsi con altre specie; Gioco, Controllo del proprio ambiente.

L’idea centrale che emerge da questo elenco è che una vita priva di una di queste capacità è una vita umanamente poco dignitosa. Insomma, secondo la Nussbaum, la giustizia sociale si realizza solo quando si garantisce a tutti, dunque anche alle persone con disabilità, una buona qualità della vita e non quando si garantiscono ricchezza e privilegi a una piccola categoria d’individui “liberi, uguali e indipendenti”.

Nell’immagine il murale di 200 metri quadrati realizzato dal pittore e street artist salernitano, Antonio Cotecchia, sulla facciata della scuola secondaria di I grado Montagnola-Gramsci di Firenze e dedicato alla figura di Antonio Gramsci da cui la scuola prende il nome.

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