S. Raffaele/Bambin Gesù di Olbia: una proposta utile ai sardi?

1 Luglio 2014
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Antonello Murgia

Per valutare l’opportunità di un investimento privato in sanità, occorre anzitutto verificare la sua rispondenza agli interessi della collettività. Non si tratta soltanto di sottoporre l’iniziativa al vaglio dell’art. 41 della Costituzione (“L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale…”), ma di tenere presente che la separazione fra ordinatore di spesa (il prescrittore delle prestazioni) e cliente/utente, comporta il fatto che in sanità la spesa possa, molto più facilmente che negli altri settori economici, essere guidata da interessi diversi da quelli del cliente. Ricordo, solo a mo’ di esempio, uno dei casi più eclatanti, lo scandalo della Casa di cura S. Rita di Milano, in cui il principale imputato, l’ex Primario di Chirurgia Toracica, lo scorso aprile è stato condannato all’ergastolo per la gravità dei reati commessi (4 morti e 40 casi di lesioni) al fine di realizzare un guadagno illecito a spese delle ASL.
Del resto, che in sanità l’intervento pubblico risulti più economico e più efficace, lo dimostra il confronto fra due Paesi omogenei per livello ecomomico e cultura come Usa e Gran Bretagna, ma con una sanità prevalentemente privata il primo (52,2%: dati OECD 2011) e prevalentemente pubblica il secondo (82,8%). L’OECD ci informa che la spesa sanitaria complessiva pro capite degli USA nel 2011 è stata di 8.507,6 $ contro i 3405,5 $ della Gran Bretagna: negli USA, la spesa pro capite è dunque esattamente due volte e mezza quella della Gran Bretagna. Ma una spesa sanitaria così ingente come quella USA non si traduce in maggiore salute. Anzi, nello studio effettuato dall’OMS nel 2000 e incentrato sulla performance dei Servizi Sanitari dei 191 Paesi membri, gli USA, nonostante fossero di gran lunga il Paese che spendeva di più, presentavano una performance complessiva scadente: 37° posto. E la posizione in graduatoria arretrava ulteriormente prendendo in considerazione solamente il livello di salute, sganciato dall’efficienza: 72° posto (dietro anche diversi Paesi del terzo mondo). Mentre la Gran Bretagna si collocava molto più avanti: 18a come performance complessiva e 24a come livello di salute (ricordo che il risultato dell’Italia fu rispettivamente 3a e 2a).
Questi dati significano non che in sanità non ci sia posto per il privato, ma che il suo ruolo deve essere integrativo e non sostitutivo di quello pubblico, altrimenti i costi aumentano e la qualità diminuisce (la qualità media, quella che interessa la gran parte della cittadinanza).
La valutazione dell’intervento del Qatar ad Olbia va fatta alla luce di tale dato, dello stato attuale della sanità sarda e dei bisogni di salute della popolazione.
I posti previsti per l’ex S. Raffaele sono passati dai 150-180 del PSR del 2007 ai 262 della delibera della Giunta Regionale (poi rinviata) del 17 giugno scorso e ai 292 della delibera del 26 giugno: 242 convenzionati e 50 a pagamento. I posti letto attuali della ASL di Olbia sono 350, ma era previsto l’aumento a 573 per portare l’indice di posti letto a 3,96 (un po’ di più del limite di 3,7 previsto dalla normativa vigente). Di questi 573 posti, 150 avrebbero dovuto spettare all’ex S. Raffaele: ora, con i 292 previsti, la struttura privata di Olbia dovrebbe coprire più della metà dei posti letto dell’intera ASL. Un intervento di questo tipo non può certo essere definito integrativo di quello pubblico. E i posti letto totali arriverebbero almeno a 642 con un indice che salirebbe a 4,46 p.l./1000 abitanti: rispetto al tasso previsto dalla normativa vigente si tratta di un numero molto alto, che fa ipotizzare, per bilanciare, la necessità di tagli più pesanti del previsto nelle altre ASL (non essendo comunque sufficiente il pur possibile ridimensionamento dei posti letto pubblici di Olbia, Tempio e La Maddalena). In questi giorni si è parlato di esubero (pre-operazione ex S. Raffaele) di 280 p.l. In realtà, la tabella del Ministero aggiornata al gennaio 2013 e rispetto alla quale non mi risulta siano intervenute nel frattempo variazioni significative (sarei felice d’essere smentito in proposito), parla di un esubero totale regionale di 572 p.l. Il progetto ex S. Raffaele rischia perciò di avere un effetto devastante sulla fragile sanità sarda che, anche per l’incuria e le scelte sbagliate della precedente amministrazione regionale, ha accumulato un considerevole deficit sanitario (360 milioni di € nel 2012). Il Governo nazionale ha comunicato che, se l’operazione ex S. Raffaele andrà in porto, concederà una deroga, ma il problema non riguarda tanto la possibilità di sforare il tetto stabilito dalla Spending Review, quanto di chiarire con precisione chi, con quali mezzi e per quanto tempo coprirà le spese relative (ricordo, per inciso, che la nostra Regione provvede direttamente al finanziamento della spesa sanitaria). E poi, qual è il senso di autorizzare un numero di posti letto sensibilmente più alto, quando sono decenni ormai che si parla di territorializzazione della sanità per avvicinarla ai cittadini? Dal PSR del 2007, che prevedeva appunto il ridimensionamento di un ospedalocentrismo ormai antiquato, si fa presente che questo cambio d’indirizzo richiede investimenti sul territorio i quali nel tempo produrranno non solo una sanità più vicina ai cittadini, ma anche un notevole risparmio economico. La Giunta precedente ben poco ha fatto in questa direzione, ma non si capisce dove potrà la Giunta attuale trovare le risorse per farlo. Ciò che conta, dal punto di vista economico, non è quanto denaro dichiarano di voler investire nell’operazione, ma soprattutto quanti posti letto la Regione convenzionerà (e in quali discipline) perché da questo dipenderà l’ammontare della cambiale che noi sardi saremo tenuti a pagare ogni anno al Qatar Foundation Endowment. Somma che difficilmente sarà inferiore agli 80 milioni di € l’anno. La Giunta ed il Consiglio Regionale ci devono dire quanti posti letto ritengono siano adeguati per le singole ASL e per l’intera Regione, tenendo conto che un numero eccessivamente alto comporta o il sottoutilizzo delle strutture o il peggioramento dell’appropriatezza delle prestazioni (trattamenti in regime di ricovero ordinario a scapito di quelli ambulatoriali o di DH): in entrambi i casi con spreco di risorse. E devono anche garantirci che l’assetto sanitario degli altri territori non sarà stravolto per fare spazio all’ex S. Raffaele.
L’operazione col Qatar ha avuto sia fuori della Sardegna (l’articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 12 giugno, ad esempio) che all’interno (il sindaco di Olbia, Giovannelli: “La Sardegna può davvero diventare la Silicon Valley della ricerca sanitaria a livello mondiale”) commenti molto favorevoli basati sulla grande capacità di spesa dell’emirato mediorientale e sull’efficienza dell’intervento. Penso che non si diffiderà mai abbastanza del mito efficientista secondo il quale un aumento dell’efficienza si traduce in aumento anche dell’efficacia. E’ necessario evitare le confusioni: l’efficacia esprime il raggiungimento degli obiettivi prioritari (nel nostro caso, la salute), l’efficienza esprime l’ottimizzazione degli strumenti adottati, cioè il miglior rapporto qualità/costo. E’ non solo corretto, ma necessario tendere alla maggiore efficienza possibile; avendo però presente che se gli strumenti adottati sono inefficaci, nessun innalzamento dell’efficienza anche a valori altissimi potrà consentire il raggiungimento degli obiettivi di salute. E nel caso in esame, il contesto locale e regionale nel quale viene calata l’operazione Bambin Gesù (o come si chiamerà il futuro Ospedale), fa sospettare con forza che anche l’efficienza, almeno per la popolazione sarda, sarà piuttosto bassa. Tra l’altro, le professionalità (sarebbe utile sapere anche per fare cosa) non si inventano dall’oggi al domani e per realizzare un polo di eccellenza sarebbe verosimilmente necessario che professionisti affermati venissero a svolgere la loro attività professionale prevalente se non esclusiva ad Olbia. E’ più facile pensare che, a parte l’attività routinaria convenzionata da cui verrebbe tratta la gran parte degli introiti, le altre prestazioni saranno fornite da qualche luminare o presunto tale che venga in Sardegna a svolgere un’attività di consulenza per programmare poi gli interventi ulteriori all’esterno, in una sorta di agenzia di viaggi per trattamenti sanitari.

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