Il Sì come legittimazione politica

1 Novembre 2016
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Ottavio Olita

Ma quale derby ‘futuro-passato’! Questo pasticcio pericoloso che viene definito ‘riforma costituzionale’ sarebbe il futuro? Che la demagogia abbia esaltato le folle della Leopolda – osannanti il nuovo duce – ci può stare, ma chi, con il cervello sgombro da condizionamenti, può ritenere credibile questa contrapposizione fondata su un assioma privo di contenuti politici e programmatici?

Evidentemente egli stesso si autodefinisce ‘futuro’, indicandosi come forza salvifica del Paese. E per questo viene il sospetto che la vittoria del Sì gli interessi soprattutto per avere una legittimazione, visto che il posto che occupa lo ha raggiunto con quella che un tempo si sarebbe chiamata ‘camarilla di palazzo’ e di cui non si parla mai. Basterebbe ricordare che le elezioni del 2013, se pure per una manciata di voti, le vinse Bersani, grazie ad un progetto politico che non prevedeva certo alleanze con il centro-destra e la conseguente realizzazione dei suoi programmi economici. Bersani stoppato da Grillo e Napolitano a cui seguì Enrico Letta, poi ‘serenamente’ spodestato dal prode Matteo. Capito come funziona il ‘futuro’?

Ci si può fidare di modifiche costituzionali varate da questo signore e dalla sua squadra, o è meglio restare fermamente attaccati ad una Carta Costituzionale studiata e progettata da uomini e donne che uscivano dal fascismo e dall’autoritarismo e che vollero per questo porre le solidissime basi di una moderna democrazia parlamentare?

Certo, fa comodo alle forze politiche e ai loro rappresentanti che non sanno attuarla o che non vogliono farlo, scaricare proprio sulla Costituzione le proprie incapacità e responsabilità; ma chi è che ha ridotto il Paese nello stato in cui si trova? Disoccupazione, povertà, corruzione, diritto allo studio trasformato in donazione di 500 euro ai diciottenni, undici milioni di cittadini che non si curano più perché non sono in grado di pagare il ticket.

Ma l’importante è votare Sì, per il ‘futuro’! E come dimenticare che la cancellazione di certezze obiettive (dagli uffici di collocamento, ai concorsi pubblici, alle graduatorie, alla progressione di carriera costruita sul merito) ha favorito a dismisura la corsa alla ricerca di un appoggio – politico o economico – e alla necessità di diventare ‘clientes’ di qualche potente? Perché ci si ostina a non ricostituire uno ‘Stato di diritto’ che restituirebbe ai cittadini la certezza dell’uguaglianza, della parità, almeno delle pari possibilità?

Tutto questo viene implicitamente definito con il termine di ‘crescita esponenziale del debito pubblico’ a cui contrapporre una salutare ‘spending review’ in ogni settore del welfare. Ma perché non si considera il fatto che, ad esempio, il recupero dell’etica fondato sulla nuova certezza del diritto sarebbe molto più efficace, nella lotta alla corruzione, dei commissari straordinari e delle continue, quotidiane misure repressive operate con determinazione da magistratura e forze dell’ordine, ma che continuano a dimostrarsi, da sole, inefficaci?

Rimettere in funzione uno Stato efficiente, secondo le modalità progettate dai Padri Costituenti, o mettersi nelle mani di un uomo solo al comando, che oggi potrebbe essere Renzi, ma domani chissà? E’ ovvio che nella sua enorme, narcisistica autostima, il Presidente del Consiglio vorrebbe essere incoronato, con la vittoria del Sì, il nuovo profeta della Patria; giova però ricordargli i versi scritti da uno suo concittadino, Andrea Casotti, nell’opera teatrale ‘La Celidora’, del 1734, nella quale si occupava proprio di problemi di governo, e che sembrano calzargli a pennello: Chi troppo in alto sal/Cade sovente precipitevolissimevolmente.

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